Djent Melodic Death Metal

Live Report: Meshuggah+The Halo Effect+Mantar @Alcatraz, Milano – 20/03/2024

Di Vittorio Cafiero - 23 Marzo 2024 - 11:37
Live Report: Meshuggah+The Halo Effect+Mantar @Alcatraz, Milano – 20/03/2024

Le immagini della serata nel photoreport curato da Michele Aldeghi.

In un mese di Marzo congestionatissimo a livello di appuntamenti dal vivo, tocca questa sera ai Meshuggah tornare nuovamente dalle nostre parti. E il risultato a livello di pubblico è impressionante, con un sold out annunciato qualche giorno prima del concerto. Ad accompagnarli, gli svedesi The Halo Effect di Mikael “Prezzemolino” Stanne e i tedeschi Mantar.

Mantar 

Mancano pochi minuti alle 19 quando, sul palco di un Alcatraz già abbastanza pieno, si presentano i Mantar con il loro  approccio mininalista. Il duo, a torso nudo, con pochissime luci e contornati da fumo artificiale, scaricano sugli astanti la loro proposta fatta di sludge, doom e black metal, con influenze di punk e rock ‘n’ roll. Chitarra e batteria, nel bislacco posizionamento frontale, uno di fronte all’altro, dando il fianco al pubblico, i Mantar danno l’impressione di essere un act decisamente anti-mainstream e forse più adatto a contesti diversi, come quelli dei centri sociali e dei locali più underground. Il pubblico rimane decisamente inerme durante le canzoni, ma come ormai sempre accade, esprime il giusto tributo al termine di ogni brano, forse più di incoraggiamento ed educazione che di reale apprezzamento. Il magrissimo Hanno tenta di coinvolgere il pit con un discreto Italiano, prima di far partire le note della potente e ritmata “Era Borealis”, che, specialmente dal vivo, risulta decisamente coinvolgente. In una delle loro primissime apparizioni in Italia nonostante la carriera decennale, tra volumi altissimi e notevole sforzo fisico, i Mantar offrono una mezz’ora intensa ma un po’ sui generis, mentre l’Alcatraz continua a riempirsi.

Mantar setlist:
Pest Crusade
Spit
Age of the Absurd
Egoisto
Hang ‘Em Low (So the Rats Can Get ‘Em)
The Knowing
Oz
Era Borealis
White Nights

 

The Halo Effect

Al loro secondo passaggio a Milano in due anni, i The Halo Effect di Mikael Stanne e Jesper Stromblad (che dal vivo è sempre sostituito da Patrik Jensen) sembrano essere il prototipo di band professionista dei tempi moderni: elementi dal sicuro curriculum (la band è stata fondata da Niclas Engelin una volta uscito dagli In Flames), canzoni dalla presa immediata, costante presenza sui social e sui palchi di mezza Europa, esordio istantaneo su etichetta importante…tutto molto funzionale, quindi, anche se in un certo senso privo di quel background e di quella sostanza che rende grandi i gruppi musicali. Bravissimi ad instaurare subito un clima di festa già a partire dalle note introduttive attraverso un coinvolgente battimano, i The Halo Effect, guidati dal sorridente Stanne (ho perso il conto di quanti concerti abbia suonato da queste parti negli ultimi anni, considerando anche i Dark Tranquillity) propongono il loro melodic death metal made in Gothenburg “pronto per la consumazione”; formalmente perfetto, senza evidenti difetti, ma decisamente inoffensivo, specialmente per chi ha vissuto la nascita e lo sviluppo del genere. Di fatto, un buon mix delle cose più standard e facili di In Flames e degli stessi Dark Tranquillity.

Il biondo e carismatico singer, invero un animale da palco, ci tiene a far capire quanto con i compari abbia dato il via al filone made in Sweden ad inizio anni ’90, tutto molto bello ed apprezzabile, ma 30 e passa anni dopo forse serve qualcosa di diverso, perché per ascoltare l’archetipo di un genere musicale alla fine vale la pena fiondarsi sui classici. Ma questo è un discorso valido un po’ per tutti i filoni della nostra Musica.

Tutto molto Metal, tutto perfetto, tutto dannatamente al posto giusto, sembra mancare quel quid che ha fatto grandi le loro band “madrine” (i nomi li potete trovare su Metal Archive al link “Similar Artists”). Detto questo, in “Become Surrender” viene fuori alla grande il basso di un imponente Peter Iwers e con “Conditional” i bpm aumentano considerevolmente. Le canzoni dal vivo funzionano e il pubblico risponde bene, dando il via a continui episodi di crowdsurfing. Concerto senza sbavature, concluso da una prolungata fase di saluti finali che l’Alcatraz accoglie e restuisce affettuosamente. Già sappiamo che questo è solo un arrivederci.

The Halo Effect setlist:
Days of the Lost
The Needless End
Feel What I Believe
Become Surrender
Conditional
Last of Our Kind
Gateways
Shadowminds

Meshuggah

Alle 21 spaccate le note registrate di “Careless Whisper” degli Wham! e una lunga introduzione fanno da apertura allo show dei Meshuggah e la stessa “Broken Gog” con il suo incedere ritmato sembra una propaggine dell’introduzione stessa. Immobili davanti a teli illuminati con l’ultimo artwork, gli Svedesi sono la rappresentazione fisica della loro musica: solidi, statuari, privi di orpelli ed essenziali. Musica ossessiva al parossismo, tempi dispari, assoli dissonanti…il pubblico è catturato all’istante e poco importa se mosh e circle-pit si formino in maniera completamente fuori tempo rispetto a ritmiche così complesse. L’interazione è davvero al minimo, i movimenti praticamente azzerati, Jens Kidman e soci sono completamente concentrati sugli strumenti, con Thomas Haake solito metronomo impazzito a guidare, caso abbastanza unico dove si sente che la musica è costruita attorno alla batteria. Solo dopo una manciata di pezzi ci sono le prime parole scarne e di saluto, ma nessuna sorpresa, questi sono i Meshuggah, è il frastuono della musica a farla da padrone, assieme ad un comparto di luci ed effetti davvero impressionante. Tanto sfruttavano lo spazio del palco i The Halo Effect, così limita gli spostamenti la band di Umeå. Assistere ad uno show dei Nostri significa intraprendere un viaggio, dove per poco più di un’ora il rischio catalessi è alto e probabilmente l’unica reazione è la testa che inconsciamente inizia a muoversi su e giù cercando di seguire il ritmo della musica, che cambia di continuo.

Nelle pause tra un pezzo e l’altro, le luci – fino ad un momento prima accecanti – si spengono completamente, consentendo agli artisti sul palco di prendere fiato senza darlo a vedere al pubblico e questo aumenta la sensazione di trovarsi davanti a delle macchine suonanti, piuttosto che ad una band in carne ed ossa. Lo show riprende ogni volta come se non si fosse mai interrotto e l’unica differenza tra una canzone e la successiva, a livello scenico, sembra essere lo scambio di posto tra cantante e bassista che avviene di tanto in tanto…

Dopo una versione registrata di “Mind’s Mirrors”, è il turno della doppietta “In Death – Is Life”/”In Death – Is Death” proposte ovviamente senza soluzione di continuità e fa specie osservare quando al momento giusto si origini un wall of death in completa autonomia (semplicemente impensabile immaginare i Meshuggah che lo “chiamino” dal palco!). Questa doppia traccia è un lunghissimo viaggio che senza intervalli trasporta dal djent al progressive e viceversa, rappresentando perfettamente l’anima musicale e stilistica del gruppo svedese. Con “Humiliative” dall’album “None” viene fuori una rabbia più cruda e istintiva, dal retrogusto quasi thrash che conduce al gran finale: “Future Breed Machine” scatena l’inferno prima del ritorno in scena conclusivo. “Bleed” è da apoteosi (chi scrive ritiene l’album “Obzen” come il climax della produzione targata Meshuggah) e si chiude definitivamente con “Demiurge” la solita prestazione monolitica, quadrata, impeccabile e senza sbavature. Dopo tanti anni dall’esordio e dall’esplosione, i Meshuggah sono ancora loro, per la gioia dei tanti fan sopraggiunti per l’occasione.

Meshuggah setlist:
Careless Whisper (intro)
Broken Cog
Rational Gaze
Perpetual Black Second
Kaleidoscope
God He Sees in Mirrors
Born in Dissonance
Mind’s Mirrors (reg.)
In Death – Is Life
In Death – Is Death
Humiliative
Future Breed Machine
Encore:
Bleed
Demiurge 

Vittorio Cafiero