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Live Report: Metal Park @ Romano d’Ezzelino (Vi), 6-7 luglio 2024

Di Marco Donè - 14 Luglio 2024 - 18:00
Live Report: Metal Park @ Romano d’Ezzelino (Vi), 6-7 luglio 2024

Live Report: Metal Park @ Romano d’Ezzelino (Vi), 6-7 luglio 2024

E finalmente è arrivato il tanto atteso primo weekend di luglio! Sì, perché i giorni di sabato 6 e domenica 7 luglio rappresentano il battesimo di fuoco (e visto il sole e le temperature infernali il termine calza a pennello, n.d.a.) per il Metal Park, il nuovo festival di musica dura che punta a diventare il riferimento per i metalhead italiani, e non solo. Il bill di questa prima edizione è davvero ambizioso, con il sabato dedicato alle sonorità più classiche, con il leggendario Bruce Dickinson in veste di headliner, e la domenica caratterizzata da tinte più oscure e violente, con i seminali Emperor a ricoprire il ruolo di attori principali. La location scelta per ospitare il Metal Park è ben nota ai metalhead del Nord-Est – visto che si tratta dell’area usata dall’AMA Festival – un vasto parco adiacente alla splendida Villa Ca’ Cornaro, a Romano d’Ezzelino, in provincia di Vicenza. Lo scorso anno, in questa stessa area, abbiamo vissuto uno show incredibile, con protagonisti Megadeth e Lacuna Coil (qui il nostro report, n.d.a.). Conoscendo la location e a fronte di una line-up stellare, credo sia inutile nascondere che le aspettative per questa prima edizione del Metal Park siano davvero alte. Eccovi, quindi, il resoconto della due giorni vissuta in provincia di Vicenza, con alcune considerazioni sul festival in coda all’articolo.
Non rimane che augurarvi buona lettura!

 

 

Live report a cura di Marco Donè, Valeria Usiello, Elena “Draconian Hell” Pisu

 

SABATO 6 LUGLIO

Qui trovate il photo report della giornata.

 

MOONLIGHT HAZE

Agli italiani Moonlight Haze spetta il difficile compito di inaugurare il Metal Park in una calda giornata di luglio, tra le colline vicentine. Il compito è delicato perché la prima band che sale sul palco è quella che detta il mood della giornata e testa anche l’architettura sonora presente. Dopo i primi secondi tutto sembra scorrere perfettamente, il PA fa il suo lavoro e la band, in divisa tinta unita nero che sfida il solleone, foraggia il pubblico con il suo power metal dall’accento italiano. La setlist è piuttosto striminzita, hanno solo trenta minuti a loro disposizione, ma ci sono tutti i brani più rappresentativi della loro carriera, con un tema lunare ricorrente, essenza primordiale della band. L’esibizione non è affatto morbida, anzi: la chitarra pulita e pesante di Marco Falanga e i ritornelli sanno coinvolgere il pubblico, che risponde all’invito di Chiara e, nonostante il parterre del festival stia appena iniziando a riempirsi, la accompagna a gran voce. Ed è proprio la capacità di Chiara di alternare inserti in growl a un cantato epico che ci porta a ricercare le suggestioni dei Moonlight Haze in band come Angra e Stratovarius (che arriveranno solo nel tardo pomeriggio, n.d.a.). Troviamo la doppia cassa, gli assoli di chitarra, il Metal e tutto quello che serve per un headbanging di inizio giornata. Se questo è il principio… chi ben comincia è a metà dell’opera!

Valeria Usiello

 

TYGERS OF PAN TANG

Secondi in scaletta sono i Tygers di Robb Weir e Iacopo ‘Jack’ Meille, i nostri coraggiosi eroi che affrontano e vincono la sfida del momento più caldo della giornata. Hanno a disposizione solo sette brani per dare ai presenti una ripassata veloce di tutta la loro carriera, a partire dall’attacco familiare di ‘One, two, three, four… Euthanasia!’ e tornare indietro al 1980. Nonostante il sudore, Iacopo sembra sempre felice di interagire con il pubblico quando gioca in casa, così come Francesco alla chitarra: i due italiani, con Robb Weir, i cui riff sono l’essenza degli anni Ottanta, riconfermano la potenza e la portata della New Wave del British Metal che ancora infiamma le orecchie dei presenti. Mi è mancata ‘Only The Brave’, ovviamente, che ha lasciato però spazio all’inno della NWOBHM ‘Suzie Smiled’, in versione energica e violenta, ‘Hellbound’ e l’amatissima ‘Love Potion No. 9’, con i fan che conferiscono il giusto tributo ai Tygers Of Pan Tang. Ode e lode a questi musicisti più anziani che sanno rimanere rilevanti proponendo uno stile collaudato, rivisto attraverso gli strumenti tecnologici moderni, con canzoni immediate quasi quanto i singoli Pop, ma molto più pesanti e con l’aggiunta di alcuni incredibili assoli di chitarra, trovando quel giusto mezzo tra l’Hard Rock incisivo, il Metal e l’energia del Punk. Lunga vita ai Tygers!

Valeria Usiello

 

RHAPODY OF FIRE

Sono circa le 14:30 quando i Rhapsody of Fire entrano in scena. Il sole picchia duro, la temperatura è elevata, ma sotto il palco un pubblico esagitato sta già incitando i propri beniamini. La band di Alex Staropoli apre le danze con un pezzo da novanta, ‘Unholy Warcry’, che rende subito l’atmosfera rovente. I Rhapsody of Fire appaiono in gran forma, in particolare uno strepitoso Giacomo Voli al microfono, capace di raggiungere vette assurde con la propria voce. I suoni sono ben bilanciati e permettono ai Nostri di sfoggiare tutta la loro carica epica. Il tempo a disposizione è poco, giusto mezz’ora, quindi i Rhapsody of Fire vanno di corsa. In rapida successione arrivano ‘I’ll Be Your Hero’ e ‘Challenge the Wind’, pescate dagli ultimi due lavori della formazione triestina, per poi piazzare i classici immortali nel finale. Ecco quindi una monumentale ‘Dawn of Victory’ e, soprattutto, ‘Emerald Sword’, autentico inno e simbolo di un certo modo di intendere il power metal. Durante ‘Emerald Sword’ Giacomo Voli si assenta dal palco, entra nel backstage e ne riesce accompagnato da due giovani metalhead, impugnando la Emerald Sword. Giacomo li fa inginocchiare e li rende cavalieri. I due ragazzi rimangono per qualche minuto sul palco, brandendo la Spada di Smeraldo, per poi rientrare dietro le quinte. Sono circa le 15:00 quando i Rhapsody of Fire ricevono il meritato plauso da un pubblico davvero soddisfatto. Foto di rito dal palco e appuntamento al prossimo live. Circa venti minuto dopo, nel tendone dell’area ristoro principale, ci sono ancora fan che intonato ‘Emerald Sword’: pazzesco!

Marco Donè

 

RITCHIE KOTZEN

Non ha bisogno di presentazioni Richie Kotzen. Basta l’entrata sul palco di questo virtuoso della chitarra, accompagnato dalla sua caratteristica Fender Telecaster, a far tremare gli animi. Kotzen apre il set con ‘Losin’ My Mind’, suonando senza plettro e facendo magie con le dita, infilando uno dietro l’altro i suoi classici ‘Love Is Blind’, ‘War Paint’, ‘Fooled Again’. Kotzen è accompagnato dal bassista Dylan Wilson e dal batterista Kyle Hughes, che completano alla perfezione il suo genio musicale. I testi confermano il talento di Kotzen come cantautore e la scaletta rappresenta un vero e proprio viaggio attraverso le sue influenze musicali. Le sue ispirazioni provengono da diversi generi, rendendo ogni canzone diversa ma pur sempre un omaggio ai suoi molteplici stili chitarristici che convergono in un Blues minimalista e un sorprendente Jazz-fusion, senza mai essere ripetitivo. Vederlo sul palco è un vero spettacolo, Richie si perde nella musica scatenando la sua Telecaster: è come se stesse evocando lo spirito di Jimi Hendrix in una seduta medianica con sé stesso. Quello che mi agita profondamente è la sua voce, se mi distraggo per un attimo ho la sensazione di ascoltare Chris Cornell e mi vengono i brividi. Il pubblico sembra adorare ogni canzone e Richie sa come coinvolgerlo, con i fan in palese adorazione della potenza di fuoco strumentale, la sua capacità di scrivere e cantare canzoni sono una combinazione imbattibile e rivelano un tocco a dir poco magistrale. Gli hook di chitarra sono ultra-espressivi e la sua voce carica di sentimento riesce a fondere l’Hard Rock e il Pop classico della chitarra in un modo sorprendente, rispettandone gli stili e creando combinazioni ispirate. Assieme alla sua Fender Stratocaster, Richie e la band sono completamente fradici di sudore ed esausti alla fine di questi brevi ma serrati quaranta minuti. La genialità di Kotzen resta sempre una boccata d’aria fresca nella scena mondiale dei portatori di shredding!

Valeria Usiello

 

MICHAEL MONROE

È lui: la personificazione del Glam Rock, Mr. Michael Monroe. Ma, in cuore mio, è anche il ‘vero inizio’ del Festival: signori e signore entra in scena l’Arte! Michael è una icona da palcoscenico e l’attacco è a mille: lo spettacolo prende il via con un brano amatissimo ai tempi di MTV, ‘Dead, Jail or Rock ‘n’ Roll’, e le sue famose ‘spaccate’ aerobiche, che lo rendono in assoluto il cantante più flessibile della storia del Rock. È decisamente un inizio impressionante, a partire dall’orecchiabile riff di chitarra che si è intensificato in un ritornello dal suono pieno. Non c’è dubbio: alla sua età Michael ha ancora tanto da insegnare in termini di stile e di energia, e resta un vanto europeo, unico nel suo genere, dato che potremmo trovare i suoi corrispettivi solo oltreoceano, pensando a Steven Tyler e Iggy Pop. Il suo Glam-Pop Rock misto Punk fa la voce grossa nel materiale solista ma in scaletta c’è spazio anche per brani di Demoltion 23 e ovviamente degli Hanoi Rocks. Karl, il cui stile ricorda tanto quello di Razzle, insieme a Sami formano una sezione ritmica perfetta, mantenendo alto il ritmo per tutta la durata del concerto. Da non dimenticare l’influenza di Conte, forte e genuina, che contribuisce ad amalgamare il tutto nel corso dell’intero spettacolo. Michael non è di tante parole, è la presenza scenica a parlare per lui. È un vero artista, colmo di carisma e passione, che può anche sembrare anacronistico nel panorama musicale odierno per la cura dello show, per gli oggetti di scena mai improvvisati. Per tutto il tempo è sul bordo del palco e usa il suo microfono come una bacchetta magica che ipnotizza il pubblico, si arrampica sulla struttura portante in equilibrio precario cantando ‘’78’ e salutando il pubblico. Trasuda da ogni sua cellula (e se sei in prima fila puoi vederlo gocciolare seriamente!, n.d.a.) l’anima del Rock. Traccia dopo traccia il ritmo frenetico sembra non calare mai, tanto da far sentire una mancanza di varietà e la possibilità di prendere fiato. E, come se l’atmosfera non fosse già al culmine, la chiusura del set con ‘Up Around The Bend’ travolge il pubblico. Anche se il volume e l’energia a volte sono sembrati eccessivi, è proprio per questo che vale la pena vedere Monroe: è lì per dare tutto ciò che ha. La sua presenza scenica e la sua versatilità musicale sono quelle di una icona vera e originale. La gente canta, balla e salta. Tutte le canzoni di Michael sono un mix di Glam Punk e Heavy Metal con riff e melodie accattivanti che ti restano in testa per molto tempo dopo lo spettacolo ed è la prova migliore che il Rock non è morto e che ha ancora tantissime cose da dire!

Valeria Usiello

 

STRATOVARIUS

Alle 18:15 tocca agli Stratovarius entrare in scena. Credo sia inutile girarci attorno: l’esibizione della formazione finlandese è una delle più attese di questa prima giornata del Metal Park. La band capitanata da Kotipelto, d’altronde, a cavallo del nuovo millennio aveva il mondo in pugno, ha scritto degli inni immortali, canzoni che tutt’ora sanno scuotere il cuore di tantissimi appassionati. Tutti sappiamo cosa sia successo agli Stratovarius, quanto abbiano rischiato di cadere da un precipizio e non riuscire più a risollevarsi. Beh, gli Stratovarius non solo non sono caduti, hanno anche saputo ricrearsi e continuare a comporre ottima musica. Una cosa non è cambiata tra passato e presente della formazione di Helsinki: la capacità di mettere in scena performance devastanti. E anche oggi rispettano questa tradizione. Aprono le danze con ‘Survive’, in cui quel “Only the strong will survive” è talmente carico di significato che viene cantato con enfasi da Kotipelto. La scaletta scelta per la giornata odierna è di quelle che lasciano il segno, visto che i Nostri sparano a raffica classici su classici: ‘Eagleheart’, ‘Speed of Light’, ‘Paradise’, con il pubblico che, cantando il ritornello, sovrasta la band per alcuni istanti: l’atmosfera è da pelle d’oca. Sul palco, intanto, gli Stratovarius stanno mettendo in scena uno show stellare, sia per quanto riguarda la precisione, che la presenza scenica. E se puoi contare su un animale da palco come Kotipelto, beh, vinci facile. Il frontman finlandese è un’autentica macchina da guerra, capace di coinvolgere e aizzare il pubblico con un semplice gesto della mano: che attitudine, che classe! Lo spettacolo prosegue su livelli altissimi, generando a profusione scariche di adrenalina, con un pubblico che non smette di cantare e incitare la band. Viene dato spazio all’ultimo lavoro della formazione scandinava con ‘World on Fire’ e ‘Frozen in Time’, inserendo anche un’apprezzatissima ‘Unbreakable’. Certo che se puoi contare su dei macigni come ‘Black Diamond’, ‘Legions’ e chiudere con una ‘Hunting High and Low’ che rischia di far crollare i colli che circondano Villa Ca’ Cornaro… Eh, credo sia inutile aggiungere altro. Ci soffermiamo sui suoni che sono stati ottimi per tutta la durata dello show. Fino a questo momento i migliori di giornata, senza se e senza ma.

Marco Donè

 

THE DARKNESS

Dopo un veloce cambio palco, verso le 19:45 tocca ai The Darkness salire sullo stage del Metal Park. La formazione inglese è la più sfortunata di giornata, in quanto a inizio show, per i primi dieci minuti, la pioggia decide di fare visita al Metal Park. Il meteo non ha però spaventato il pubblico che, anzi, non è arretrato di un centimetro, rimanendo sotto il palco a incitare la formazione dei fratelli Hawkins. Per molti i The Darkness sono la band del fortunato “Permission to Land”, in realtà la formazione inglese è tanto, molto di più. E oggi la band aglosassone offre l’ennesima conferma di quanto appena scritto. La prestazione dei The Darkness è convincente sotto ogni punto di vista, mettendo in mostra un’attitudine rock puro sangue, un’enorme voglia di divertirsi suonando e, soprattutto, tanta autoironia. Una caratteristica, quest’ultima, messa in evidenza già a inizio show, quando alla fine di ‘Growing on Me’, parlando della pioggia, Justin Hawkins dice che hanno portato in Italia il meteo inglese! La scaletta è incentrata sul primo, fortunatissimo album, canzoni che fanno cantare a gran voce il pubblico del Metal Park. Ecco quindi in rapida successione pezzi del calibro di ‘Friday Night’, ‘Give in Up’, ‘Love Is Only a Feeling’, tracce che non hanno certo bisogno di presentazioni. Sul palco la scena è dominata da Justin Hawkins, ma è tutta la band a girare alla perfezione, muovendosi e aggredendo lo stage con esperienza. Il pubblico apprezza, si diverte, canta, incita i The Darkness. Dopo un’immancabile ‘One Way Ticket’ la prova della formazione inglese si avvicina alle battute conclusive, non prima di suonare il classico ‘I Believe in a Thing Called Love’, con Richie Kotzen in veste di guest, e chiudere con ‘Love on the Rocks With No Ice’. Altra prestazione convincete, ben supportata da dei suoni calibrati a puntino. E tutto questo è avvenuto nonostante la pioggia: senza l’acquazzone chissà quali livelli avremmo potuto raggiungere. Giornata che continua a regalare emozioni!

Marco Donè

 

BRUCE DICKINSON

Passeggeri, benvenuti a bordo: il Capitano Bruce Dickinson si prepara al decollo. I cuori esplodono dentro le t-shirt degli Iron Maiden quando parte il riff di ‘Accident of Births’ e il pubblico canta insieme a Bruce. Dickinson alza le mani, i fan alzano le mani; lui tiene il ritmo con le mani, loro tengono il ritmo con le mani: controllo totale! È Bruce Dickinson, con il suo “The Mandrake Project Tour”, o meglio: è Bruce Dickinson senza Iron Maiden, spogliato dalle scenografie maestose e imponenti. Con la sua divisa che lo rende riconoscibile tra mille – giacca di jeans smanicata e berretto (di lana?!, n.d.a.) – è un Bruce che vuole raccontarci la sua storia, la sua musica, anche con brevi intermezzi di storytelling a dare il giusto senso ai brani. Sul palco c’è la sua House Band of Hell. Manca il chitarrista e produttore Roy Z, tuttavia sono presenti i talentuosi chitarristi Phillip Näslund e Chris Declercq, la bassista Tanya O’Callaghan, il batterista Dave Moreno e il Maestro Mistheria. Lo precede il suo straordinario carisma e la sua umiltà ne fa una Rockstar con i piedi per terra. Si muove sul palco con l’energia di un bambino, a volte anche un po’ goffo. Si diverte a interagire con la sua band e incoraggia una folla in delirio. La scaletta ci porta in viaggio attraverso tutte le sue avventure da solista, una rivalutazione approfondita della sua carriera attraverso brani che sono rimasti archiviati per anni o non hanno mai avuto l’opportunità di essere suonati dal vivo. La produzione musicale di Dickinson unisce alla melodia e alla forza le suggestioni dei Maiden, è una performance viva, energica e molto più sperimentale. Le sue estensioni vocali estreme vengono lasciate ai Maiden, la sua voce calda e senza tempo invece fa da contrappunto a brani come ‘Afterglow of Ragnarok’ – dal titolo e dalle sonorità più Heavy Metal di qualsiasi canzone mai scritta in precedenza – e la commovente ballata ‘Navigate the Seas of the Sun’. La scaletta prevede pezzi tratti dalla gran parte dei suoi album, tra cui interpretazioni potenti di ‘Abduction’ del 2005 e ‘The Alchemist’ del 1998, assieme a ‘Rain on the Graves’ dell’ultimo album, canzoni che supportano i classici ‘Tears of the Dragon’ e ‘Darkside of Aquarius’. Tutta la band mostra le proprie abilità: il Maestro Mistheria fa sfoggio del simbolo della cultura degli anni Ottanta, il Keytar, e l’assolo di batteria di Dave Moreno spettina i presenti, così come l’accompagnamento di Tanya al basso che martella puntuale nelle casse toraciche. Degna di nota l’apparizione in scena di uno strumento magico e difficilissimo come il Theremin, che fa sembrare Dickinson uno stregone o uno sciamano sul palco (“Oh my God, it’s a Theremin”…appare scritto alle sue spalle!, n.d.a.). L’esecuzione da parte della band di queste gemme è stata d’ispirazione e Dickinson chiude questi novanta minuti di potenza sfrenata con “Book Of Thel” e “The Tower” che fanno impazzire il pubblico. Sì, Bruce Dickinson è ancora una forza della natura nel panorama Metal, un pilota che, sulle ali del tempo, porta i fan nel suo passato, scoprendo assieme a loro quante meraviglie in musica possa contenere. A luci spente mi e vi chiedo: abbiamo sentito la mancanza degli Iron Maiden? Degna chiusura di questa prima, lunga, calda e piovosa (tutto assieme!, n.d.a.), giornata di Metal Park!

Setlist:

Accident of Birth
Abduction
Laughing in the Hiding Bush
Afterglow of Ragnarok
Chemical Wedding
Tears of the Dragon
Resurrection Men
Rain on the Graves
Frankenstein
The Alchemist
Darkside of Aquarius

Encore:

Navigate the Seas of the Sun
Book of Thel
The Tower

Valeria Usiello

 

DOMENICA 7 LUGLIO

Entriamo all’interno dell’area concerti verso le 12:30, pronti a vivere una domenica che ha tutte le carte in regola per bissare il successo e le emozioni assaporate sabato (qui trovate il photo report della seconda giornata, n.d.a.). Veniamo però travolti da un’autentica mazzata: i Moonspell, una delle band più attese di questa seconda giornata, non saranno presenti al Metal Park. La formazione portoghese è stata vittima di un seccante inconveniente: un volo aereo cancellato all’ultimo minuto, senza preavviso. Un fenomeno molto diffuso nell’ultimo anno, che sta creando più di qualche problema a chi decide di viaggiare nei cieli d’Europa e che non ha permesso ai Moonspell di raggiungere l’aeroporto di Venezia. Fernando Ribeiro e compagni hanno cercato delle soluzioni alternative ma non hanno trovato nulla di praticabile. Tramite un post sui social hanno avvisato i propri fan, scusandosi. Un notizia che ha creato qualche muso lungo tra i presenti al Metal Park. Bisogna però saper andare oltre, soprattutto in questo periodo, in cui l’annullamento dei voli è quasi l’ordine del giorno. È sufficiente una birra, un’occhiata al bill odierno e lo sconforto è superato: di qualità ve n’è davvero tanta, a tonnellate. Che la domenica del Metal Park abbia allora inizio!

SLUG GORE

I Death Grinders Slug Gore sono i primi a calcare il palco della seconda e ultima (purtroppo, n.d.a.) giornata del MetalPark. Devo ammettere che questi ravennati la sanno davvero lunga, riescono a far piacere il Grind anche a chi, come me, non mastica molto il genere. Sul palco arrivano decisamente emozionati ma estremamente carichi, con tanta voglia di divertirsi e far divertire. Con pezzi come ‘Hungry Parasitic Beast’, ‘The Parasite Murder’, ‘The Dust Says You’re Fucked’ e ‘Necrophiliattitude’ hanno evidenziato a tutti il grande potenziale di questa formazione.

Elena “Draconian Hell” Pisu

 

MORTUARY DRAPE

Lasciati i “Giovani” del Metal, ora si parla di Storia con la “S” maiuscola, anzi possiamo definirli senza troppi giri di parole una vera band Culto, sin dal lontano 1986: i Mortuary Drape. Il cielo diventa istantaneamente più plumbeo e il folto pubblico presente è pronto per essere investito da una colata di lava nera. I Mortuary lanciano sul pubblico capolavori assoluti come ‘Necromaniac’, da quel gioiello che, a mio avviso, è “Secret Sudaria”, edito nel lontano 1997. Tocca poi a ‘Vengeance from Beyond’ da “Into the Drape”, ‘Restless Death’ e ‘Rattle Breath’ tratte dall’ultima fatica “Black Mirror”. ‘Abboth’, ‘Evil Death’, ’Primordial’ sono la conferma che siamo al cospetto di grandi artisti. Con i loro suoni cupi e taglienti come accette, i Mortuary Drape ci fanno sprofondare nelle sabbie mobili del girone dei dannati, senza via di ritorno. Il loro show è stato caratterizzato da suoni pressoché ottimi. Wildness Perversion e soci hanno dato vita a uno spettacolo unico e imperdibile. Grandiosi!

Elena “Draconian Hell” Pisu

 

FLESHGOD APOCALYPSE

Mentre il cielo si scatena, rovesciando sul Metal Park autentiche secchiate d’acqua, arrivano sul palco i Fleshgod Apocaplypse. I fan non si fanno bloccare dal mezzo diluvio e arrivano velocemente sotto lo stage. Ero curiosa di capire se sarebbe stato annunciato un nuovo bassista dopo la dipartita di Paolo Rossi, avvenuta qualche mese fa. Mi ritrovo invece davanti a quel camaleonte di Francesco Paoli armato di basso. ‘Healing Through War’, ‘Sugar’, ‘No’, ‘Pendulum’, ‘The Fool’, ‘Minotaur’ sono una mazzata in pieno viso. Davvero splendida la versione di ‘The Violation’ con gli acuti di Veronica Bordacchini, con la cantante in splendida forma. Purtroppo il loro show è stato caratterizzato da suoni non eccelsi che hanno tolto moltissima qualità alla loro performance. La voce di Veronica nei cori si perdeva, così come le orchestrazioni di Francesco Ferrini e, a tratti, spariva la chitarra: un vero peccato… Fortunatamente avevamo sul palco dei grandi professionisti, che hanno dato il trecento per certo. Con i Fleshgod Apocalypse si conclude la carrellata di band italiane in questa prima grandiosa edizione del Metal Park. È sempre un piacere vedere le nostre band calcare palchi così importanti e riuscire poi a varcare i confini internazionali ed entrare con gran merito tra i Big del nostro amato genere. Loro, come altre perle, sono la riprova che la costanza ripaga sempre e che l’ Italia non ha nulla da invidiare sotto il profilo qualitativo nell’universo Metal.

Elena “Draconian Hell” Pisu

 

DARK TRANQUILLITY

Sono le 16:25 quando i Dark Tranquility entrano in scena. Fin dalle prime battute è evidente come questo momento fosse uno dei più attesi della seconda giornata del Metal Park. L’atmosfera si fa subito rovente, con un pubblico presissimo. La formazione capitanata da Stanne apre con ‘Encircled’, pescata da “Atoma”, ricevendo una gran risposta dalla folla assiepata sotto il palco. Risposta che cresce in maniera esponenziale con la successiva ‘Hours Passed in Exile’, il cui ritornello viene cantato a gran voce da tutto il Metal Park. I suoni, dopo un inizio altalenante, migliorano repentinamente, supportando alla perfezione la mastodontica prestazione offerta dai Dark Tranquillity. Come ben sappiamo, la formazione svedese dal vivo ha una marcia in più ma quest’oggi sembrano davvero appartenere a un’altra dimensione. Il dominatore assoluto è Stanne, dotato di un carisma incredibile, assoluto trascinatore di un pubblico che risponde a ogni suo minimo gesto. La scaletta odierna dà ampio spazio ad “Atoma” da cui, oltre alla già citata ‘Encircled’, la compagine di Göteborg propone anche le splendide e decadenti ‘Forward Momentum’ e ‘Atoma’. Trovano spazio tutti i singoli estratti dall’attesissimo “Endtime Signals” ma, soprattutto, i Dark Tranquility pescano a piene mani dal proprio passato. Stanne e compagni regalano alcune gemme assolute, che mandano in visibilio un pubblico completamente asservito alla volontà dei Dark Tranquillity. Stiamo parlando di canzoni del calibro di ‘Nothing to No One’, ‘Cathode Ray Sunshine’, la splendida ‘Final Resistance’. Sotto il palco succede di tutto: ripetuti crowd surfing, ritornelli cantati a squarciagola, un’autentica folla esagitata, pronta a incitare senza remore i propri beniamini. Bellissimo vedere tanti bambini sulle spalle dei papà incitare a loro volta i Dark Tranquillity: spettacolo assoluto! Arriva poi il momento del classico immortale ‘ThereIn’, il cui ritornello è intonato a gran voce dal pubblico. A fine pezzo c’è un attimo di silenzio, come se i Dark Tranquillity volessero temporeggiare un attimo: il Metal Park capisce immediatamente cosa stia chiedendo la formazione svedese e senza perdere un secondo intona il coro “Dark Tranquillity, Dark Traquillity”. Stanne e compagni piazzano quindi una violentissima ‘Lost to Apathy’ e chiudono lo show con la splendida ‘Mysery Crown’, che mette a ferro e fuoco l’intera area concerti. Show strepitoso, tra i vincitori di giornata.

Marco Donè

 

CORONER

Subito dopo tocca ai Coroner entrare in scena. Sono le 18:00, circa, quando la compagine svizzera sale sul palco del Metal Park. Rispetto ai Dark Tranquillity vi è un completo cambio di sonorità e attitudine: qui si punta sulla classe, sulla precisione maniacale dell’esecuzione, su trame intricate e visionarie, quasi a tracciare dimensioni parallele. Questo porta la band di Vetterli a essere un po’ più statica sul palco, perdendo un pizzico di incisività e adrenalina. Insomma: i Coroner fanno i Coroner. La formazione svizzera regala ai fan lo show che stavano aspettando, ottenendo una grandissima risposta dal pubblico. La scaletta scelta dal combo svizzero è ormai rodata e pesca a piene mani da quei due gioiellini intitolati “Mental Vortex” e “Grin”. Ecco quindi classici del calibro di ‘Internal Conflicts’, ‘Divine Step (Conspectu Mortis)’ e ‘Semtex Revolution’, accolta con un boato dal pubblico. Non può mancare ‘Sacrificial Lamb’, pezzo che comparirà nel prossimo disco dei Coroner. Stando alle dichiarazioni di Ron Royce l’album è finalmente pronto, completo e prossimo alla pubblicazione. Staremo a vedere! La precisione con cui i Coroner eseguono i pezzi è a tratti disarmante, con un Metal Park quasi incantato ad ammirare tanta perfezione. Giusto un salto nel passato con l’aggressiva ‘Masked Jackal’ e i Coroner chiudono il proprio set con ‘Grin (Nail Hurts)’. Il pubblico non smette di applaudire e acclamare i propri beniamini. Royce ringrazia i presenti per il supporto e l’organizzazione per essere stati chiamati a sostituire Kerry King. Chiede al pubblico se desidera ancora un pezzo e i Coroner piazzano una ‘Reborn Through Hate’ da paura: che finale di concerto! Altro show di livello in questa seconda giornata di Metal Park, un festival che sta regalando tonnellate di qualità.

Marco Donè

 

CAVALERA

Sono le 19:45 quando un autentico uragano si abbatte sul Metal Park. Non stiamo parlando di un evento meteorologico, ci stiamo riferendo allo show dei Cavalera. Sì, perché la band di Iggor e Max ha letteralmente spazzato via ogni cosa, mettendo in scena una performance devastante per intensità, tiro, coinvolgimento del pubblico, qualità e resa sul palco. A trainare il convoglio brasiliano ci ha pensato un Iggor in formato “Attila flagello di Dio”: la prova del batterista è stata totale, un assalto frontale all’arma bianca, un panzer pronto a travolgere tutto e tutti. Max appare risuscitato dalle proprie ceneri, come una sorta di fenice, e piazza una prestazione convincente, aggressiva e precisa. Ricordo ancora una sua prova poco prima della pandemia, di come evidenziasse qualche difficoltà fisica. Beh, qui al Metal Park è un autentico fiume in piena, in grado di coinvolgere il pubblico grazie a un carisma unico. Durante lo show, poi, lo sentiremo urlare più di una volta “Cavalera è Sepultura”, dialogare un po’ in italiano e un po’ in portoghese con il pubblico, bestemmiare ripetutamente, a volte chiedendo e ottenendo un coro blasfemo da tutto il Metal Park. Ad accompagnare i due fratelli, sul palco troviamo Igor Amadeus Cavalera – figlio di Max – al basso e Travis Stone alla chitarra. I due ragazzini malvagi tengono il palco come si usava fare negli anni Ottanta, evidenziando un’attitudine in your face propria della vecchia scuola. Certo, sono relegati in secondo piano dall’ingombrante presenza dei due Cavalera senior, ma la loro performance dona solidità e aggressività alla prestazione del combo brasiliano. E che i Cavalera stiano regalando uno show al fulmicotone lo si può capire dal nugolo di persone accalcate dietro le quinte, lì assiepate per assistere alla prova dei Cavalera. Sotto il palco, intanto, ha vita un autentico massacro. La scaletta, d’altronde, è pensata proprio per scatenare un girone infernale tra il pubblico. Il primo atto è incentrato tutto su “Morbid Vision” e “Bestial Devastation”, il secondo sul seminale “Schizophrenia”, che miete il numero maggiore di vittime tra le prime fila. I suoni sono ottimi, la scenografia, scarna ma efficace, richiama chiaramente il periodo “Morbid Vision”. Il set dei Cavalera si conclude con la sassata ‘Inquisition Symphnony’ in medley con ‘Escape to the Void’. La band esce dal palco, il Metal Park rumoreggia e i Cavalera ritornano in scena con ‘Refuse Resist’, che lascia il posto a ‘Territory’. Il pubblico, presissimo, canta a squarciagola questi inni immortali, generando un’atmosfera d’altri tempi. Tocca poi alla leggendaria ‘Troops of Doom’, la band esce nuovamente ma viene richiamata a gran voce dal Metal Park. I Cavalera si ripresentano sul palco e chiudono con un medley caratterizzato da ‘Morbid Vision’, ‘Dead Embrionic Cells’ e ‘R.I.P. (Rest in Pain): monumentali! I Cavalera ringraziano un pubblico esagitato, Iggor e Max si fermano a centro palco e ricevono il meritato plauso dai fan in estasi. Prima di lasciare lo stage Iggor si avvicina alla batteria e mette in bella mostra una bandiera antifa: totali.

Marco Donè

 

EMPEROR

Riecheggiano le prime note di ‘Into the Infinity of Thoughts’ e il pubblico è letteralmente in delirio. Gli Emperor, d’altronde, non hanno bisogno di presentazioni! Ci si può solo inchinare davanti alla loro grandezza e supremazia. La setlist è incentrata sui pezzi iconici della discografia di Ishahn e Samoth. Gli Emperor dedicano la maggior parte dello show al capolavoro ‘In The Nightside Eclypse’, oscurando le menti e i cuori dei fan con pezzi come ‘The Majesty of the Nightsky’ e ‘The Burning Shadows of Silence’. Le porte dell’inferno si aprono però con l’immensa ‘Inno a Satana’ e ‘I Am the Black Wizards’, due autentici inni della dimensione oscura. Il pubblico è completamente assorbito dallo spettacolo che gli Emperor stanno regalando sul palco. I suoni sono curati ed eleganti, pronti a valorizzare le atmosfere maestose e mistiche dei demoni norvegesi. Un Ishahn in grandissima forma ci ha fatto tornare adolescenti con pezzi come ‘Thus Spake the Nightspirit’, ‘Ensorcelled by Khaos’ e ‘With Strength I Burn’ tratte dallo splendido “Anthems to the Welkin at Dusk”. C’è solo una parola per definire il loro show: impeccabili!

Setlist:

Into the Infinity of Thoughts
The Burning Shadows of Silence
Thus Spake the Nightspirit
Ensorcelled by Khaos
The Loss and Curse of Reverence
With Strength I Burn
Curse You All Men!
The Majesty of the Nightsky
I Am the Black Wizards
Inno a Satana

Encore:

In the Wordless Chamber
Ye Entrancemperium

Elena “Draconian Hell” Pisu

 

CONCLUSIONI

Un weekend davvero intenso quello vissuto al Metal Park, con band di prim’ordine che hanno calcato il palco di questa prima edizione. Il festival ha evidenziato una mentalità europea, staccandosi dal modello italiano. Bellissima la cornice che ha ospitato l’evento: l’area verde adiacente a Villa Ca’ Cornaro è vasta e splendida ed è davvero affascinante poter assistere ai concerti con i monti che si stagliano all’orizzonte. Un qualcosa che crea un’atmosfera davvero suggestiva, in particolare all’imbrunire. Ottima la scelta da parte degli organizzatori di fornire dei bracciali al pubblico per permettere l’uscita e l’entrata all’area concerti in qualsiasi momento. L’area verde è stata inoltre occupata molto bene, creando varie zone d’ombra e varie aree per la ristorazione, un particolare che ha evitato il formarsi di fastidiose code per l’acquisto delle bevande, permettendo di poter vivere il festival al meglio. Da sottolineare la scelta plastic free, con bicchieri personalizzati per il festival, che ha permesso di mantenere l’area verde pulita. Altro plus che merita di essere segnalato è l’acqua gratuita, messa a disposizione in un punto vicino il palco, che ha dato la possibilità di rinfrescarsi a tutti i partecipanti, così come i nebulizzatori piazzati vicino alla zona ristorazione. L’area campeggio situata a pochi metri dall’ingresso alla zona concerti è un altro aspetto che merita di essere segnalato. Insomma: una prima edizione del Metal Park davvero riuscita, sotto ogni punto di vista. La speranza è che il festival possa avere vita lunga e diventare il riferimento per gli eventi open air italiani. Questa prima edizione fa ben sperare, davvero.