Live Report: Metalitalia.com Festival 2023 @ Live Club, Trezzo sull’Adda, 16-17 settembre
Il Metalitalia Festival gli scorsi 16 e 17 settembre si è guadagnato, meritatamente, la prima stella. L’edizione 2023, infatti, è stata la decima di una saga iniziata nel 2012.
E meglio non poteva andare, avvicinandosi a due sold out consecutivi. Più precisamente quasi sold out la giornata di sabato con i Venom headliner e sold out pieno nella domenica con i Folkstone in cima al bill.
I maligni e i polemici in servizio permanente effettivo potranno obiettare che è facile vincere quando si ha a disposizione un locale ottimale come il Live Club di Trezzo sull’Adda non sapendo, o per meglio dire, facendo finta di non sapere, il mazzo che ci si deve fare a tutti i livelli per organizzare e portare a termine un evento di tale portata.
Noi, su queste pagine truemetallare, a giugno di quest’anno fornimmo volentieri spazio ad Alessandro Corno e Luca Pessina per poter parlare del loro festival: qui l’intervista.
Al di là della location e delle varie band coinvolte è risultata assolutamente vincente l’idea di organizzare i meet’n’greet in maniera istituzionale, con fotografi ufficiali impegnati a immortalare il momento di ciascuno e la regola tassativa di poter far autografare un pezzo a persona, così da soddisfare più fan possibili. Molti vecchi caproni più o meno dell’età dello scrivente caprone si sono infatti fiondati in quel di Trezzo prevalentemente per avere un autografo su cimeli d’annata DOCG custoditi da decenni da parte di Cronos, Di’Anno o Mameli, considerando poi il concerto quasi un qualcosa in più rispetto alla possibilità di incontro.
Qui di seguito la cronaca del primo giorno e appena dopo quella del secondo, sapendo che in casa Metalitalia sono già partiti i lavori per l’edizione 2024.
Spazio quindi ai live report curati, secondo lo stile di ciascuno, da Jennifer Carminati, Nicola Furlan, Giulio Miglio Taminelli e il sottoscritto.
Buona lettura,
Steven Rich
PS: in fondo al live report la gallery delle fotografie legate alla prima giornata realizzata da Davide Sciaky. Si ringraziano inoltre i colleghi di Metalitalia e in particolare Benedetta Gaiani, Moira Carola ed Enrico Dal Boni per la fornitura delle foto della giornata di domenica.
Sabato 16 settembre 2023
Giornata da incorniciare quella del primo giorno del Metalitalia Festival, vicinissima a registrare il sold out. Un ottimo risultato per nulla scontato, va sottolineato. Evidentemente un bill di fracassoni (si prega di leggere con la giusta dose di ironia, please, anche le righe successive… ) inframezzato da vecchie autorevoli triglie dell’Acciaio (Paul Di’Anno, Pestilence) con in cima alla lista i pluricampioni mondiali del rumore in musica, i Venom, paga alla grande. Chapeau quindi ai colleghi di Metalitalia per la sagacia dimostrata.
Alle 14 spaccate tocca agli italiani Miscreance dare fuoco alle polveri. Evidentemente e giustamente emozionati sfruttano un’occasione del genere al meglio delle loro possibilità. Ad aiutarli il fatto di poter beneficiare di un suono assolutamente all’altezza, altro particolare non da poco che sottolinea come non sia stato messo in atto alcun tipo di boicottaggio da parte di chicchessia nei loro confronti, come avviene purtroppo spesso in molte altre situazioni. Un’ulteriore testimonianza dell’onestà intellettuale degli organizzatori e delle altre band in cima al bill. Tornando ai Miscreance, risulta poi sempre stuzzicante ritrovare un cantante, Andrea Feltrin, anche in veste di batterista, così come insegnò per bene Dan Beehler degli Exciter tempi addietro, a conferire ulteriore fascino ad uno show intenso e massiccio che ha radunato di fronte al palco un decisamente buon numero di persone. Bravi e convincenti.
Steven Rich
Tocca ora al secondo gruppo in cartellone. Sono solo le 14.45 quando i Whiskey Ritual irrompono sul palco di questo primo giorno del MetalItaliaFest23, ma il pubblico presente è già numeroso, e questo non può che caricare al massimo la band nata nel 2008 a Parma, con cinque full-length all’attivo e centinaia di concerti su e giù per lo stivale, e non solo.
I cinque, che ho già avuto modo di vedere live in passato, si dimostrano essere una garanzia in quanto ad attitudine e passione dimostrata on-stage, e per i prossimi 40 minuti ci schiaffano addosso con estrema foga tutta la loro irriverenza punk, mischiata ad un black’n’roll sporco e senza compromessi.
Il pogo delle prime file si scatena sin dalle prime note di Too Drunk for Love e non poteva essere altrimenti, il buon Dimitri al basso sorseggia dall’immancabile bottiglia di whiskey e brinda con il pubblico che risponde entusiasta, dimostrando il gradimento più che meritato per una band che dal vivo vale sempre la pena di vedere, il divertimento e lo scapocciamento con loro son garantiti.
I loro testi, irriverenti, parlano di puttane, droga e Satana (i titoli e le copertine sono auto esplicativi in tal senso), sono coinvolgenti di per sé, e il massiccio frontman Dorian Bones, un vero aizzatore di folle, li interpreta con una violenza distruttiva che ti arriva dritta in faccia, non smettendo neanche per un secondo di incitare i qui presenti a far casino insieme alla band.
Chiudono con un tributo a GG Allin eseguendo la cover di Bite Your Scum, a sottolineare ancora una volta la loro attitudine cattiva, punk, spregiudicata e senza regole.
I Whiskey Ritual con il loro sporco e grezzo black’n’roll ci piacciono assai, sono come quegli amici ubriachi, marci e beceri, che incontri sempre volentieri, perché con loro sei sicuro che la serata finirà bene e i tuoi 666 Problems si risolvono, almeno momentaneamente, con un bicchiere in mano e la giusta compagnia.
Jennifer Carminati
Dopo i nostrani Whiskey Ritual è la volta dei polacchi Witchmaster: marcissimi! Tre quarti d’ora di fuoco e fiamme speed’N’thrash’N’black come se non ci fosse un domani. Vecchie volpi dell’estremo, attivi dal 1996, vantano a loro favore sei album ufficiali più qualche Ep. Sebastian “Bastis” Grochowiak, il cantante, è un muscoloso animale da palcoscenico dal growl incorporato nel gargarozzo probabilmente sin dalla nascita e la loro performance, essenziale e violentissima, non lascia prigionieri. Giù “dritti” dall’inizio alla fine. Delle garanzie. Grandi.
Steven Rich
I Malevolent Creation, prima di tutto, sono una grande band, da sempre. Dal vivo mi hanno sempre convinto. Ho avuto pure la fortuna di parlare con loro in occasione di interviste e non posso che confermarvi che sono delle gran belle persone, una band alimentata da uno spirito ben focalizzato sull’attitudine al divertimento. Questa volta però non mi hanno totalmente convinto ovvero, mi spiego meglio, mi aspettavo di più. Nei primi brani di scaletta ci sono stati parecchi brani pescati dai primi dischi di carriera, oggettivamente i pezzi più devastanti della loro corposa produzione (senza nulla togliere ai dischi da “In Cold Blood” i poi). Ma da brani pescati da album come “The Ten Commandments”, “Retribution” e “Stillborn” mi sarei aspettato di più. Quello che non mi ha convinto è che ‘il tiro’ percepito nelle occasioni passate, qui, non è stato presente, se non solo parzialmente. Sarà stata una questione di aspettativa, ma pezzi come ‘Remnants of Withered Decay’, il classico ‘Multiple Stab Wounds’, ‘Coronation of Our Domain’ o ‘Carnivorous Misgivings’ sembravano quasi ‘più lenti e meno impattanti’ delle versioni originali. Pure i suoni erano un po’ ovattati (tanto per farmi capire… Di’Anno e Unleashed erano spettacolari a livello di suoni!).
Sia chiaro, uno show di tutto rispetto, una band che ancora mette a letto oltre la metà dei musicisti deathster contemporanei, ma un po’ d’amaro in bocca è rimasto… e non era quello della birra di accompagnamento.
Nicola “Nick” Furlan
Pestilence: quando annunci un ‘old school set’ e senti scorrere fuori dagli amplificatori la ferocia e la classe di brani come ‘Dehydrated’, ‘Twisted Truth’, ‘Land of Tears’, ‘Lost Souls’, ‘Chronic Infection’ e ‘Out of the Body’ (per citarne alcuni), già capisci di essere di fronte ad un appuntamento con la Storia del death metal. Un po’ perché i primi quattro dischi della band olandese sono, ancora oggi, una tappa imprescindibile, non solo per la comprensione del genere e per la bellezza dei loro contenuti, bensì perché sentire un tale concentrato di bellezza in sequenza è qualcosa che raramente capita di incontrare on-stage. Patrick Mameli e i suoi scugnizzi hanno spaccato di brutto ripentendo sul palco quello che viene ascoltato da disco. Questo regala quelle sensazioni di musica ‘vera’, suonata da gente che da sempre propone musica senza orpelli tecnici a mascherare limiti di abilità e competenza musicale (sezioni soliste eseguite alla perfezione!). I Pestilence hanno suonato da paura curando atmosfere e suoni, gestendo il palco da leggende. Uno show indimenticabile.
Nicola “Nick” Furlan
Paul Di’Anno.
Commovente.
Il live report riguardante il sessantacinquenne Paul Andrews, da molti amatissimo ex cantante degli Iron Maiden potrebbe finire qui.
Lacrime vere quelle da lui spese sul palco del Metalitalia Festival dopo l’ennesimo, possente coro a lui indirizzato “Paul!, Paul!, Paul!” gridato a squarciagola dalla maggior parte degli astanti.
Pur non essendo mai stato un esempio di rettitudine (eufemismo) in termini di rispetto verso sé stesso e delle proprie finanze ancora oggi, nel 2023, riesce a raccogliere gli osanna pressoché unanimi da parte dei convenuti n quel del Live Club.
Atteggiamento d’affetto nei suoi confronti che scaturisce senza dubbio per aver regalato delle perle inarrivabili durante la sua milizia negli Iron Maiden ma forse e soprattutto anche per la sua fragilità, messa a dura prova dai problemi di mobilità che lo costringono su di una sedia a rotelle da tempo.
La musica, in questi casi, passa in secondo piano.
La gente è lì per lui, per vederlo dal vivo dopo anni di battaglie metalliche e non solo.
Sigarette, acqua minerale e un’ottima padronanza dell’anglobestemmiese, lingua ampiamente codificata tempo fa da Gianmarco Pozzecco, attuale CT della nazionale di pallacanestro, quella sfoderata dal buon vecchio Paul.
Ah, già la musica… ad accompagnare Di’Anno un gruppo di quattro, onesti norvegesi. Da “Sanctuary” in poi, manco a dirlo ,un classicone via l’altro tratto da Iron Maiden (1980) e Killers (1981), con il buon Paul ancora in grado di elargire emozioni per quanto possibile.
E’ sempre toccante vedere certi eroi ancora su un palco, anche se finiscono prima del previsto il concerto e il meet’N’greet, per poi cercare di recuperare in zona Cesarini.
Steven Rich
Unleashed: la penultima band per questo primo giorno del MetaltaliaFest23 quasi giunto al termine, vicinissimo al sold out, come scritto nell’incipt. Dalla posizione in cui sono, ovvero sul terrazzo al primo piano, per l’occasione aperto e ospitante il MetalInk, ovvero uno spazio dedicato ad artisti/tatuatori, la distesa di persone che vedo sotto di me è veramente fitta fitta, fatico a vedere spazi liberi tra la folla, a dimostrare che questo Festival, di edizione in edizione, ha aumentato sempre più i consensi tra gli appassionati del metal che come me amano la musica dal vivo.
All’inizio dell’esibizione degli Unleashed i suoni non erano perfetti, un po’ troppo impastati e soprattutto la voce risultava sacrificata dal suo stesso basso, tanto è vero che temevo che Johnny Hedlund avesse qualche problema. Fortunatamente la situazione va migliorando di pezzo in pezzo, e la band svedese può scaraventarci addosso il suo death metal senza fronzoli, con tutta la maestria di cui sono capaci, da veterani della scena quali sono, essendo in giro ormai dal lontano 1989, con l’unico altro membro fondatore ancora presente oltre il già citato Hedlund, Anders Schultz alla batteria, mentre i due chitarristi Tomas Olsson e Fredrik Folkare sono in pianta stabile nella band dai primi anni ’90, poco dopo quindi. Una continuità nella line-up che ha sicuramente ben inficiato sulla stabilità della band stessa, mai un cedimento mai un passo falso in carriera.
Gli svedesi suonano con una precisione chirurgica i loro strumenti, con numerose coreografia di headbangers in cui a ritmo muovono i capelli in ogni direzione, per invidia di molti dei presenti; battute a parte, i nostri, allo stesso tempo riescono a mantenere alto il coinvolgimento del pubblico, che sembra non averne mai abbastanza del loro death metal intransigente, coerente sia dagli esordi, con elementi viking espressi palesemente nell’immancabile bevuta dal corno per poi riversarla inevitabilmente sulle prime file che sempre diverte.
Devo ammettere che mi ha stupito la scelta degli Unleashed come band co-headliner di questa prima giornata, non tanto per i miei gusti, personalmente li ho sempre seguiti e visti anche in altre occasioni, ma in effetti qui da noi non hanno mai avuto un gran seguito tale da giustificare siffatta scelta. Quel che è certo, è che si inserivano alla perfezione nella line-up della giornata come genere proposto e la loro esperienza e professionalità ha fatto si che questi 75 minuti in loro compagnia scorressero via veloci, con grande partecipazione del pubblico, anche dei più scettici inizialmente.
La loro setlist pesca dai ben quattordici album in carriera ed è farcita dei loro classici di grandissimo livello, portati su palco con precisione maniacale e una capacità d’esecuzione invidiabile da molte altre band ben più osannate di loro, ahimè; nel loro suono potente e compatto, pulito e preciso, non manca certo la melodia, con il frontman che da sempre ha un cantato perfettamente intelligibili e inconfondibile nella timbrica.
Johnny Hedlund e compagni hanno dato nuovamente prova di essere dei mostri sacri, a mio parere indiscutibili, in questo genere che ormai in troppi fanno, e molte sono le band che li hanno presi d’esempio, per non dire, quasi plagiato. Dai Maestri si deve imparare, non copiare, e lo dico da ascoltatrice non da musicista, sia chiaro, ma le orecchie le ho ben sviluppate.
Gli Unleashed hanno contribuito in maniera decisiva alla nascita e al successivo sviluppo del death metal, e non sono solo io a dirlo, ma la storia di questo genere che i tanti qui con me amano, e oggi lo hanno solo dimostrato nuovamente.
Il combo svedese ha spaccato questa sera e con la loro prestazione, oggettivamente, credo abbiano fatto cambiare opinione sul loro conto a più di una delle facce che ora vedo uscire compiaciute a prendersi una boccata d’aria e bere una birra prima dell’arrivo sul palco dei tanto attesi headliner della giornata.
Bene così, io già ero entusiasta prima che salissero sul palco, figuriamoci ora.
Skål!!! …e brindiamo tutti insieme alla Nostra e alla Vostra.
Jennifer Carminati
Venom
Reduci da una tutt’altro che memorabile prestazione al Rock The Castle l’anno scorso, ove diedero l’idea di svolgere il proprio compitino, seppur bene, Cronos e compagni (John Stuart “Rage” Dixon, chitarra e Daniel John “Danté” Needham, batteria) hanno dimostrato una volta di più che per rendere al meglio debbono esibirsi in posizione di headliner. Evidentemente il decolorato (stavolta di una sorta di strano arancione a differenza del viola precedente) Conrad Lant solo quando la sua band è posta lassù in cima nelle locandine è in grado di sfoderare delle prestazioni da incorniciare. Cosa che ha puntualmente fatto anche in quel di Trezzo, senza risparmiarsi e riuscendo a convincere nonostante le sessanta primavere sul groppone.
Certo, qualche effetto speciale non avrebbe sfigurato, durante il loro concerto, ma azzardo che probabilmente le attuali norme di sicurezza non permettano l’uso di flash bomb e altre diavolerie assortite. Cronos & Co. si sono quindi esibiti in modalità minimalista fra due pile di Marshall e nulla più. Spettacolare viceversa il drum kit di Danny Needham, a ricordare per imponenza e utilizzo quanto fatto dal suo illustre predecessore, Anton “Abaddon” Bray. Possedere nel carniere pezzi immortali che hanno indirizzato la storia della musica estrema quali “Black Metal”, “Bloodlust”, “Countess Bathory”, “Warhead” e “In League With Satan” è già di per sé garanzia di successo e i tre hanno dato tutto quanto potevano per farli rendere al meglio.
Inutili e controproducenti i confronti con il passato remoto della band, oggi, nel 2023 dal momento che ha dimostrato sul campo di possedere la forza e l’ascendente necessario per poter suonare ancora da headliner in un festival di questa portata. Alla prossima, Conrad “Orange” Lant…
Steven Rich
Domenica 17 settembre 2023
Live report a cura di Giulio Miglio Taminelli
Siamo alla seconda giornata del Metalitalia festival e ci attende una domenica carica di cornamuse, liuti e ghironde. Come i lettori avranno già capito, questa rassegna sarà interamente dedicata, salvo un’eccezione, alla corrente Folk/Viking Metal. Tanti nomi storici in line up, tanti momenti epici da raccontare e quell’enorme incognita che è il concerto reunion dei Folkstone, un nome ancora così importante da aver reso sold out la data in poche ore dall’inizio delle prevendite. Ma diamoci da fare, che il tempo è tiranno e le cose da dire sono molte.
Draconicon
L’eccezione di cui parlavo nel cappello introduttivo sono proprio i Draconicon, band Power metal italiana nata nel 2021 che, nella mezz’ora a disposizione per via del ruolo di “apripista” dello show, ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per poter diventare una presenza fissa del futuro panorama metal italiano (o almeno io me lo auguro).
Nonostante la costruzione base delle canzoni sia quella classica del power metal degli inizi del duemila – di stampo “Rhapsodyco” per intenderci – sono stato piacevolmente colpito dagli inserti prog e dalla varietà vocale del frontman Arkanfel che, in un genere storicamente legato a voci bianche che gorgheggiano nello spettro degli ultrasuoni, riesce ad inserire parti in scream di buon livello senza che queste risultino sgradevoli o fuori contesto. Ottima esibizione quindi per i Draconicon nonostante qualche problema di volumi durante l’esecuzione del primo brano. Spero di poterli rivedere con un minutaggio meno stringente perché se lo meritano.
Scaletta:
Fiery Rage
Heresy
Blackfire
Draconis Theocracy
Edge of Power
Dark side of magic
Kanseìl
La seconda Band a salire sul palco trova le proprie radici in quel di Fregona, nel Trevigiano. Sette elementi sul palco per un’esibizione profondamente legata al territorio di appartenenza e alla lingua in esso parlata. La prima cosa a colpire lo spettatore è la ritmicità sostenuta dei brani in versione live, molto più “metal” rispetto alle registrazioni senza però togliere spazio alla magia di strumenti come la cornamusa (che scopro essere realizzata a mano proprio dal cornamusista della band Luca Zanchettin). A riprova dell’approccio incalzante al genere, con i Kanseil avremo il primo pogo della giornata, che ha visto la sala (piuttosto gremita nonostante fossimo a metà pomeriggio) dividersi in due per creare un wall of death discretamente animato.
Anche in questo caso, interessanti gli inserti vocali sporcati, ben eseguiti e ben inseriti nel contesto. Vero che nel Folk metal questa tendenza esiste da parecchi anni ma, in questo periodo, grazie a determinate correnti musicali sta ritrovando nuova linfa oltre che nuovi sbocchi concettuali. Anche per questa band quindi non posso che esprimermi positivamente sperando, al pari dei Draconicon, in un minutaggio maggiore.
Scaletta:
Ah, Canseja!
Ciada Delamis
Rivus Altus
Antares
Vallorch
Hrodgaud
Panevin
Diabula Rasa
Qui si entra nella leggenda.
I Diabula Rasa hanno una storia ventennale e, partendo dalle rievocazioni storiche, sono arrivati a calcare i palchi più importanti del folk italiano ed europeo.
Anima dello show come sempre Luca Diabula, musicista, liutaio, showman. Quest’uomo fa talmente tanta roba che pensavo di trovarmelo anche nella zona tattoo a tatuare qualcuno. Dal punto di vista prettamente musicale è difficile contestualizzare la ricerca sonora, poiché la formazione prende a piene mani da prog, rock, metal, musica post anno mille e chi più ne ha più ne metta. Anche in questo caso saremo su un minutaggio “ristretto” ma comunque sufficienti per mettere in mostra le doti del combo.
Per quanto sia decisamente facile soffermarsi sugli strumenti musicali antichi nella ricerca dei fattori caratterizzanti un’esibizione folk, ritengo che a questo giro l’elemento che più caratterizza i Diabula Rasa live sia la presenza di un percussionista a supporto della batteria, poiché sé il metal non può fare a meno di una ritmicità potente e moderna tipica della batteria come la conosciamo, determinati generi musicali nati in altri contesti sia geografici sia temporali giovano nell’inserimento di timpani, tamburelli e in generale percussioni in qualche modo più grezze ma “calde”.
Di conseguenza, quale miglior modo di unire il metal alla musica medioevale se non trovando una comunione tra la figura del percussionista e del batterista? (sì, lo so che lo fanno tanti gruppi metal, ma anche in quelle situazioni la ricerca più o meno cosciente è quella di un suono tribale). Dato che lo spazio è poco e le mie divagazioni rischiano di diventare un problema (ma Si potrebbe davvero passare ore a parlare delle scelte stilistiche di ogni singola canzone di questo gruppo), segnalo come apice della carica emozionale il momento in cui, durante la meravigliosa Skott-X, Luca Diabula si è messo nel centro della sala del Live a suonare la cornamusa con tutto il pubblico che saltava intorno a lui creando una sorta di girotondo.
Semplicemente Epico!
Scaletta:
Ghirondo
Astarte
Congaudentes
Miouno
In taberna
Diabula rasa
Tsanich
Skott-X
Furor Gallico
Ed eccoci arrivati ai cattivi ragazzi del Folk metal.
I Furor Gallico arrivano da oltre quindici anni di attività e, tra cambi di formazione e continue elaborazioni sul genere, credo che al momento siano la formazione Folk Metal italiana più vicina allo standard nordeuropeo per completezza e aggressività (non che lo stile medio italiano sia da buttare, ma in nord Europa hanno avuto molti più anni per sviscerare ed evolvere determinate sonorità. Avere una band con un tiro simile nel nostro paese non è assolutamente una cosa scontata).
Cinquanta minuti di esibizione a ritmi serratissimi che hanno permesso alla formazione di inserire ben otto tracce dalla durata media di oltre cinque minuti ciascuna senza però mai perdere di vista il contatto con il pubblico in sala (praticamente considerabile il sesto elemento della band per quanto coinvolto emotivamente). Quello che colpisce all’ascolto dal vivo è la capacità di questi ragazzi di riuscire a rendere ancora più impattante il contrasto tra folk e metal su cui giocano per creare i propri pezzi.
Se normalmente tendo ad apprezzare l’armonia con cui due realtà musicali vengono riunite, qui non posso che trovarmi meravigliato di fronte all’utilizzo delle spigolosità dei due generi per dare maggior carica e cattiveria alle parti più violente. Ovviamente è una sensazione riscontrabile anche all’ascolto in cuffia, ma vi posso assicurare che dal vivo l’effetto è fuori scala. Oltre a congratularmi quindi per un concerto a cui ho assistito molto volentieri e ovviamente consigliare il gruppo ai quattro gatti che ancora non conoscono i Furor Gallico, mi sento di consigliare l’ascolto della band nei locali al chiuso, poiché l’utilizzo di uno stile metal molto più moderno e deciso riesce a conferire delle vibes particolarissime che, ovviamente a mio mero gusto personale, nei classici concerti estivi all’aperto rischiano di perdersi.
Scaletta:
Nebbia della mia terra
Venti di Imbole
Banshee
Waterstrings
Canto d’inverno
Song of the Earth
La Caccia Morta
The Phoenix
Windrose
Non ho intenzione di nascondermi inutilmente dietro un dito: a me gli Wind Rose piacciono parecchio. Non parlo semplicemente della loro musica, ma anche della capacità di tenere il palco e di fare spettacolo, oltre all’aver trovato il modo di usare la figura del nano come elemento base su cui poter costruire a piacimento strutture che il pubblico riesce facilmente a far proprie, creando una connessione palco/sala fortissima.
Avendone già descritto gli elementi base dell’esibizione di questo combo -in quel caso come headliner- nel reportage dedicato all’Erebor metal fest del 03/03/2023, non mi soffermerò molto sul lato tecnico (lo show è ancora lo stesso) ma cercherò invece di descrivere la gestione della scaletta tenuta dalla formazione nei sessantacinque minuti a disposizione, perché a mio avviso è stata pressochè perfetta. Partiamo dal presupposto che da gruppi di un certo spessore non voglio necessariamente il dialogo con il pubblico ma pretendo, quando il genere lo permette, la ricerca di un coinvolgimento di qualche tipo e, in questo il frontman Francesco Cavalieri si dimostra un vero maestro.
Dal vestiario atto ad accentuare la struttura fisica in modo da rendere le sembianze classiche del nano fantasy di fine ‘80 inizio ‘90 (quello che idealmente “nasce” dalle matite di Alan Lee), all’utilizzo di una voce impostata su tonalità pesanti e potenti in netta contrapposizione con la preparazione vocale pulita di altissimo livello, Cavalieri rende perfettamente la parte del nano guerriero e riesce a esprimere la propria idea del personaggio all’intero pubblico in sala. Per ovviare alla mancanza di tempo, le presentazioni delle canzoni avverranno spesso durante le intro delle stesse, sempre recitando la parte del nano per dare ulteriore carica ai testi delle canzoni.
Ovviamente tutto questo non sarebbe possibile senza una band più che all’altezza della situazione, con Federico Gatti alla batteria, che regala una profondità unica ai cori in tastiere di Federico Meranda e al duo basso-chitarra composto da Cristiano Bertocchi e Federico Meranda. Non vedo l’ora di sentirli di nuovo dal vivo, perché è sempre giusto ricordarsi che meglio di un nano c’è solo un nano ubriaco!
Scaletta:
Of War and Sorrow + Army of Stone
Fellows of the Hammer
Drunken Dwarves
Mine Mine Mine
Gates of Ekrund
King Under the Mountain
Battle of the Five Armies
Tales of War
Together We Rise
Diggy Diggy Hole
Diggy remix
Feuerschwanz
Unico gruppo non italiano della serata, i Feuerschwanz sono band in stile medievale di stampo comico. Vi basterà tradurne il nome per capire dove vadano a parare i testi delle varie canzoni (e no, Schwanz non significa solamente “coda” in tedesco).
La leggenda narra la storia di sei eroi che, incontratisi in un bordello di Gerico durante le crociate, decisero di muovere verso il borgo di Feuerschwanz per dedicarsi ai piaceri della carne. Purtroppo, le loro azioni furono talmente di cattivo gusto che una strega lanciò loro una maledizione che si sarebbe potuta sciogliere solo superando sei prove impossibili in un anno. Siccome i nostri eroi continuano, di anno in anno, a fallire le prove per incompetenza, vagano per l’Europa da circa ottocento anni. Ora capite di chi stiamo parlando?
Tornando al live, ad inizio concerto la sala era mezza vuota poichè molti dei presenti usciti a prendere una boccata d’aria nella pausa non erano ancora rientrati (probabilmente per via del poco seguito del combo in Italia, dato che questa è la loro prima apparizione nel bel paese in oltre quindici anni di attività). Le prime parole d’introduzione spettano a Peter Henrici, nella parte di capitan Feuerschwanz. Elegante nella sua armatura, rompe il ghiaccio con qualche battuta e un po’ di narrazione e, a giudicare dai modi e dalle tempistiche di dialogo, nessuno mi toglie dalla testa che Henrici sia fan dei Monty Python.
Nonostante la recente pubblicazione dell’album Fegefeuer, saranno i mezzi dell’album Memento Mori a dominare la scena: ben quattro nei sessantacinque minuti di concerto a disposizione del combo. Visivamente, lo show è stato di ottimo livello. Tutti i membri della band tenevano egregiamente il palco, supportati da due ballerine (le kitties) che offrivano al pubblico spettacoli con veli e bandiere nei tempi morti tra le canzoni o nei passaggi di maggior difficoltà tecnica.
Vero intrattenitore della serata sarà però Hodi, il secondo cantante nonché cornamusista e tuttofare della band. Degno secondo in comando del capitano, arriverà a sfidarlo ponendosi alla testa del suo esercito, ovvero tutto il pubblico nella parte destra della sala. Inutile dire che il capitano risponderà combattendolo con il suo di esercito, ovvero tutto il pubblico nella parte sinistra della sala. Poco sopra ho scritto che la sala ad inizio concerto era mezza vuota. Beh, sono bastate tre canzoni per far rientrare anche il più accaldato dei presenti.
Un pezzo dopo l’altro ho potuto vedere con i miei occhi la sala animarsi sempre di più, fino ad esplodere con Schubsetanz e Berzerkermode. Dal canto mio, aggiungo ai momenti di massima esaltazione anche la parte strumentale di Rohirrim, dove la violinista Stefanie Pracht va a introdurre con una delicatezza incredibile il tema della cavalcata dei Rohirrim di Howard Shore. Grandi emozioni anche per le due cover in scaletta, ovvero la tamarrissima e tanto attesa Dragostea Din Tei e, soprattutto, Warriors of the World United (canzone che mi ha fatto ricordare che è ora che io torni a vedere i Manowar).
Con Die Hörner hoch i Feuerschwanz ci salutano, visibilmente commossi dal calore dimostrato dal pubblico, promettendo di ritornare in Italia appena possibile e, onestamente, io non vedo l’ora che ciò accada.
Scaletta:
Memento Mori
Untot im Drachenboot
Knochenkarussell
Bastard von Asgard
Ultima Nocte
Schubsetanz
Berzerkermode
Dragostea Din Tei
Das Elfte Gebot
Encore:
Warriors of the World United
Rohirrim
Die Hörner hoch
Folkstone
E siamo finalmente arrivati agli Headliner. I Folkstone.
Difficilissimo spiegare il rapporto creatosi negli anni tra questo gruppo e il suo pubblico di affezionati.
Ancor più difficile farlo se, come il sottoscritto, si è nati e cresciuti all’ombra delle stesse orobie che proprio ai Folkstone hanno dato i natali. Ricordo ancora la prima volta che li vidi in concerto, quasi quindici anni fa in quel di Verdello (Bg). Ai tempi nessuno avrebbe potuto immaginare che quella band di casinisti in cornamusa sarebbe arrivata a trainare l’intero folk metal italiano verso nuove vette e, invece, il 17 Settembre 2023 la sala del Live di Trezzo è stata totalmente saturata da persone che non ne volevano sapere di prender una boccata d’aria pre concerto per paura di perdere il proprio posto. Vi assicuro che nell’aria c’era parecchia tensione e, dalle bocche dei fan, uscivano sempre le stesse frasi, ovvero:
“Chissà che pezzi faranno per questa reunion”
“Sarà davvero un singolo concerto prima di sciogliersi nuovamente?”
“Presenteranno cose nuove?”
Ebbene sì, questa reunion per molti è stata un vero e proprio colpo al cuore. Ho potuto parlare personalmente con fan storici tra cui un padovano arrivato quindici minuti prima dell’inizio del concerto che ,mi raccontava, sarebbe ripartito subito dopo la fine perché la mattina dopo avrebbe cominciato il turno alle 6.00 ma “non poteva non esserci”.
Buio. Urla in sala, fanno il loro ingresso le cornamuse, Parte Nella Mia Fossa e compare finalmente Lorenzo “il Lore” Marchesi (l’articolo prima del nome è d’obbligo). Da questo punto in avanti l’intera esibizione sarà un susseguirsi di pezzi quasi senza respiro, con la fine di un brano spesso coincidente con l’inizio del successivo. Ci vorranno ben otto canzoni prima di poter assistere ad un brevissimo momento di dialogo usato per presentazioni e ringraziamenti ma, va detto, questa “fretta” è stata forse il più grande regalo che i Folkstone hanno fatto ai propri fan, perché grazie ad essa sono stati in grado di inserire ben ventitré tracce in due ore di concerto rivelatesi poi un’ ora e cinquantacinque. Credo che quei cinque minuti d’anticipo derivino da una più che naturale emozione per la reunion che ha spinto la band a “tirare” più del dovuto, una cosa a mio avviso perdonabilissima.
Una delle mie più grandi paure pre concerto era assistere ad un qualche imprevisto causato dal non essersi esibiti su di un palco per degli anni ma, a quanto pare, i Folkstone da quel palco non ci sono mai scesi perché l’esecuzione è stata praticamente perfetta, come se il gruppo non si fosse mai sciolto. A proposito della formazione, questa è praticamente identica a quella del tour di addio, con le sole eccezioni del cornamusista Giancarlo Percopo non più presente in formazione e del “tuttofare” Andrea Locatelli segnalato non come componente ma come ospite della serata.
Potrei parlarvi di tantissimi momenti epici, come il ritorno dei fan “vogatori” in Vortici Oscuri o del crowd surfing di Lore ma credo che il momento più importante della serata sia stato uno solo:
“noi non siamo molto bravi con i social. preferiamo comunicare ciò che abbiamo da dire attraverso la nostra musica e” […] diciamo che per fine ottobre potremmo avere qualcosa da dire.
Ora sappiamo che a fine ottobre uscirà un nuovo singolo ma, in quel momento, è bastato sapere dell’esistenza di un “qualcosa” dei Folkstone per far tremare il Live. Non lo nego, ho urlato talmente forte in quel momento da poter usare le corde vocali come lacci delle scarpe.
Concludo questo report con una riflessione personale: Io non conosco il motivo dello scioglimento dei Folkstone. Può essere qualcosa legato al cambio di passo degli ultimi album o può essere una delle tante storie che poco delicatamente sono circolate su fatti privati e che dimostrano quanta poca umanità ci sia in certe persone che farebbero di tutto pur di parlare male di altri.
L’unica cosa che so e di cui sono convinto è che, con la giusta carica, i Folkstone possono arrivare a produrre nuovo materiale e nuovi show di ottima qualità. Quattro anni per pensare a cosa fare e sonorità che nel mercato musicale non sono quasi più presenti (sicuramente non con i numeri che muovono i Folkstone) se ben incanalati possono portare a risultati straordinari. Ora sta alla band trovare la quadra per ricominciare a muoversi in un mercato profondamente diverso da quello che avevano lasciato. Dal canto mio, non vedo l’ora di bermi una birretta al prossimo concerto.
Scaletta:
Nella Mia Fossa
Diario Di un Ultimo
Nebbie
La Maggioranza
I Miei Giorni
Frammenti
Non Sarò Mai
In Caduta Libera
Scintilla
Le voci della Sera
Anna
Anomalus
Anime Dannate
Elicrisio
Mercanti Anonimi°
In Taberna
Un’Altra Volta Ancora
Rocce Nere
Omnia Fert Aetas
Prua Contro il Nulla
Vortici Oscuri
Con Passo Pesante
Respiro Avido