Live Report: Naglfar, Grand Harvest, Darkend, Harkane e Amalekim @ Slaughter Club (MI) – 10.04.2023
Live Report: Naglfar, Grand Harvest, Darkend, Harkane e Amalekim @ Slaughter Club (MI) – 10.04.2023
a cura di Jennifer Carminati
Lunedì 10 aprile 2023, Pasquetta insolita per chi ha scelto come me di passarla allo Slaughter Club di Paderno Dugnano per l’unica data italiana degli storici blackster svedesi Naglfar.
Insieme a loro ben quattro special guest d’eccezione: da Malmö i 𝗚𝗥𝗔𝗡𝗗 𝗛𝗔𝗥𝗩𝗘𝗦𝗧, mentre la rappresentanza nazionale vedrà gli attesissimi 𝗗𝗔𝗥𝗞𝗘𝗡𝗗, i maestosi 𝗛𝗔𝗥𝗞𝗔𝗡𝗘 e gli atmosferici 𝗔𝗠𝗔𝗟𝗘𝗞𝗜𝗠 per una serata all’insegna dell’estremo a chiudere questo ponte festivo per la maggior parte di noi qui presenti.
Mi rammarica dover prendere atto della scarsa affluenza di pubblico per questo evento, che fin dal momento del suo annuncio sui social mi era sembrato un boccone assai goloso per i fan del genere visto l’attesissimo ritorno dei Naglfar che non bazzicano molto dalle nostre parti e sono indubbiamente una band di culto nel loro genere, ma purtroppo non mi resta che prendere atto della scelta forse infelice del giorno in cui organizzare questo evento.
Io comunque c’ero, insieme a qualche altra decina di metalheads, pochi ma buoni insomma, e proverò a raccontarvi cosa vi siete persi.
Amalekim
Il compito di cominciare la serata spetta agli Amalekim, black metal combo lombardo, che alle 18 irrompe sul palco: Mróz alla voce e chitarra, Azghâl al basso e voce, Atanor alla chtarra e Ktulak alla batteria incappucciati e col viso dipinto di nero, danno inizio a questa serata all’insegna di poche parole e tanta musica estrema come piace a me. Nel loro unico album ‘HVHI’ del 2021, ritroviamo un black metal mai scontato di evidente ispirazione scandinava sì, ma con un’attitudine personale, che questa sera ci sbattono in faccia con tutta la voglia che hanno di stare su quel palco; anche se di fronte a pochissime persone danno il meglio di se offrendoci una prestazione di tutto rispetto, cosa che vi dico già accadrà anche con le band a seguire. La loro attitudine genuina ha la chiara volontà di assalirci senza sosta con tempeste di blast beat e tempi sempre tiratissimi, alzando il pedale dall’acceleratore solo saltuariamente ma senza darci tempo di riprendere fiato, a ricordarci in cosa consiste un purissimo black metal violento e cattivo senza compromessi. I loro riff di chitarra sono aggressivi, brutali, furiosi e il lavoro dietro di basso e batteria che macina rullate come se non ci fosse un domani rendono il risultato finale trucido, solido e compatto; i nostri trasmettono l’indubbia passione con cui fanno la loro musica nonostante la loro giovanissima età. Sono all’inizio, lo abbiamo appena detto, ma hanno davvero talento e spero lo riversino presto in un nuovo album che andrò indubbiamente ad ascoltare, e magari ne leggerete la recensione su questo sito. Nel frattempo, son davvero contenta di averli rivisti questa sera, dopo la prima occasione che c’è stata una decina di giorni fa come supporto ai Батюшка, nella quale mi hanno davvero entusiasmato al primo ascolto con il loro impatto micidiale, e stasera ho solo che avuto conferma di quanto mi piacciano e siano una realtà più che valida nel panorama nostrano, e non solo.
Alla prossima guys.
Setlist:
- Avodah Zarah
- In the name of the adversary
- Eternal recurrence (ordo ad chao)
- Point of no return
- Breathing death
- Gift of cain
- Qlippoth
- The disease
Harkane
Passano pochi minuti e dopo un veloce cambio palco è il turno degli Harkane: quartetto veneto che si è formato circa una decina di anni fa e vede alternarsi la voce della bassista e pianista Ayssela con quelle del chitarrista Kvarn e del chitarrista-tastierista Paimon, mentre alle percussioni troviamo Damned. Si presentano a noi incappucciati di nero vestiti con tuniche smanicate e un viso bianco con occhi lacrimanti il colore della morte, che ve lo dico a fare. Vicende storiche, credenze religiose e suggestioni letterarie si intrecciano all’interno di ‘Fallen King Simulacrum’, il loro primo full length, uscito nel 2020, in cui sonorità maestose, solenni e dense di pathos con un sound sinfonico e corposo, coesistono a momenti in cui il riffing richiama maggiormente il death e altri ancora dove domina l’oscurità reverenziale del black sinfonico. Ovviamente la scaletta proposta questa sera va ad attingere a piene mani da questa loro release ripropostaci quasi interamente nei trenta minuti a loro disposizione. L’opener “Hidden Amongst the Ruins of Ur”, forte della buona compattezza ritmica fa subito presagire la robustezza del combo veneto, e ho notato spesso sguardi d’intesa tra loro sul palco che ho apprezzato particolarmente; si percepisce quando una band è tale a tutti gli effetti e loro mi hanno dato subito questa piacevole impressione. Segue “Dajjal” che mi lascia piacevolmente stupita con le sue trame compositive epiche che non tradiscono però la loro vocazione prettamente death/black. A mio parere, “Fallen king simulacrum” rappresenta un’ottima scelta come perfetto biglietto da visita della band se un metalheads dovesse approcciarsi ad un primo loro ascolto sceglierei questa senza alcun dubbio, per dargli l’idea di che pasta sono fatti i nostri. “Caligula” è un potente brano dalle sonorità più black, violente, con tiratissime urla di Kvarn che si alternano ad un grawl e ad una voce più pulita, sempre alternate in maniera perfetta. “Requiem for a heretic” mette di nuovo in chiaro che il loro è un death ben suonato con un ottimo growl di Ayssela tra ritmiche e orchestrazioni ad accompagnare il tutto. La conclusiva “Howler In Darkness” è un brano apparentemente lento ma che in realtà incentra tutti il proprio potenziale nella potente ritmica e nelle annesse orchestrazioni che lo rendono epico e perfetto per un finale. Gli Harkane sono una valida band che ci consegna una prova di tutto rispetto, e ascoltarli, o meglio ancora, leggere i loro testi, rappresenta un’opportunità per riscoprire alcune delle pagine più oscure della storia che contemplano sia vicende reali che il mondo trascendente delle divinità; io l’ho fatto negli scorsi giorni e vi consiglio di spenderci qualche minuto del vostro tempo per fare altrettanto. Come i loro predecessori sul palco questa sera sono giovani e hanno tempo davanti a sé per emergere al meglio e distinguersi offrendoci, con i prossimi album che sicuramente verranno, qualcosa di ancor più personale, e visti i presupposti e la qualità tecnica che hanno non ho alcun dubbio che ciò accada.
Setlist:
- Hidden Amongst the Ruins of Ur
- Dajjal
- Fallen King Simulacrum
- Caligula
- Requiem for a Heretic
- Howler In Darkness
Darkend
Finalmente ho l’occasione di vedere e di poter scrivere dei reggiani Darkend, band la cui qualità è decisamente superiore alla media, italiana e non solo, e voglio precisarlo sia da subito per chi non li conoscesse. Sono le 19.45 quando tra i fumi sul palco allestito con piccoli altarini di lumini, teschi e catene, la band fa capolino iniziando un concerto che ha ben quattro album da cui attingere, ‘Spiritual Resonance’ del 2019 l’ultima loro release. Il combo reggiano ci propone una quarantina di minuti di extreme ritual metal, black sinfonico composto con gusto e che gode di un groove e di una cura e precisione che sinceramente sono invidiabili per molti, dove incursioni inquietanti, oscure e misteriose, si alternano a momenti più strumentali. La prestazione è sin da subito energica e ci sommerge con un suono roccioso e compatto; la band mostra un affiatamento notevole ed è impossibile restare indifferenti di fronte alla teatralità del frontman Animæ, le cui movenze sanno incantare il pubblico presente che risponde calorosamente con headbanging e dando loro il giusto tributo di applausi. L’aspetto scenico e teatrale nei Darkend è parte integrante dei loro show con elementi sciamanici e ritualistici che si uniscono a quelli classici del black metal; aspetto messo in secondo piano oggi dato il poco tempo a loro disposizione, ma lo abbiamo ritrovato nell’ingresso del piccolo grande frontman con un crocifisso improvvisato che poi farà capolino dietro le sue spalle per tutta la durata del concerto e un piccolo incensorio appeso al microfono. La loro proposta è un continuo intrecciarsi e susseguirsi di momenti tirati ed aggressivi con parti più orchestrali che stemperano il clima di tensione creato dal ferale riffing della coppia d’asce Ashes-Acamar, con il basso di Vinterskog e Valentz dietro le pelli a dettar legge. Si parte con i potenti fraseggi di “Hereafter, Somewhere” seguita a ruota dai cori, archi soffusi ed il pianoforte riverberante di “Clavicula Salomonis”, impetuosa e serrata fin dall’inizio, ricca di passaggi in blast beats intessuti da elementi sinfonici. I nostri ci deliziano poi con una citazione tratta dalla trasposizione in pellicola del celeberrimo romanzo “Il Nome della Rosa”, il “Penitenziagite” dell’eretico dolciniano Salvatore a far da preludio a “A Passage Towards Abysmal Caverns (Inmost Chasm, II)”. La conclusiva “The Seven Spectres Haunting Gethsemane“, tra voce sussurrata e atmosfere catartiche, incontra il post-black contemporaneo che ha ben poco a che fare con i Darkend delle origini, ma ha un suo perché e ci piace molto lo stesso. Unica pecca, se proprio vogliamo trovarla, nei suoni che risultano un po’ paciugati, la batteria copre un po’ il resto degli strumenti che non si distinguono bene, cosa che fortunatamente non accade per la voce di Animæ sempre in primo piano con le sue urla strazianti e la sua performance davvero eccezionale. Quando i Nostri lasciano il palco sulle note dell’outro al termine di una prestazione davvero sopra il livello di molto della media mi rendo conto che i Darkend sono una realtà che ha potenzialmente ancora moltissimo da dire, e deve giustamente ambire ad una visibilità internazionale. Glielo auguro con tutto il cuore perché se lo meritano davvero non avendo nulla da invidiare rispetto ad altre formazioni straniere ben più blasonate.
Bravi ragazzi, continuate così.
Setlist:
- Hereafter, somewhere
- Scorpio Aestrea Hig Coronation
- Clavicula Salomonis
- With Everburning Sulphur Unconsumed
- A Passage Towards Abysmal Caverns (Inmost Chasm, II)
- The Seven Spectres Haunting Gethsemane
Grand Harvest
Iniziamo ora con la parte alta del cartellone proposto per questa nera Pasquetta in quel dello Slaughter Club di Paderno Dugnano.
I Grand Harvest sono una death/doom metal nata nel 2017 a Malmö (Svezia), che quattro anni più tardi nel 2022 pubblica il debut album ‘Consummatum Est’. Gli svedesi si muovono all’interno del panorama metal, con un proprio stile, indubbiamente dopo averli ascoltati su disco ripetute volte non mi hanno affatto annoiato e ho ri-cliccato play volentieri. Quale miglior occasione di un live per avere riprova della loro indubbia qualità e del mio pensiero iniziale su di loro? Ed eccoli a proporci 40 minuti di atmosferiche sonorità classiche dei generi di cui si fanno portavoci e dopo i quali (spoiler) sarò ancora più convinta che ho fatto bene ad essere qui questa sera. Scenografia minimale per i nostri, solo un paio di falci che verranno prese in mano all’occorrenza dal frontman Dr. Häll che attingerà nei momenti di arsura dal calice che fa capolino davanti a lui, chissà che c’era dentro. Si parte con “Sol Maledictor” e il suo crescendo sempre più impetuoso di riff pronti a devastare tutto ciò che si troveranno davanti nei minuti a seguire. Pezzi come “The Harrow” o l’ottima “Crowns to Ashes – Thrones to Dust” grazie ai loro cambi di tempo ben studiati riescono subito a imprimersi nella mente di chi li ascolta anche una prima volta, qualità non trascurabile davvero. Il quintetto dedito ad un death/doom metal dai sapori dannatamente luciferini, con momenti più veloci ed altri dall’incedere più allentati con grande maestria, ama muoversi su midtempo e questa impronta vagamente compassata aiuta a ben sottolineare l’atmosfera ombrosa della proposta, la quale aumenta di pathos col passare del tempo a loro disposizione questa sera. Anche se le loro tematiche tendono alla cupezza, i Grand Harvest, in sede live, denotano un’attitudine grintosa e dinamica nel riproporci le loro canzoni e appaiono lucidi e in forma nel mostrarci la loro idea musicale magari non troppo semplice ma certo ben interpretata dal combo svedese che risulta subito d’impatto e ti trascina con sé senza annoiarti anche nei momenti più rallentati. A chiudere ci pensa la title track ‘Consummatum Est’ con i suoi toni battaglieri e certi passaggi in doppia cassa davvero molto svedesi a livello di mood e di cura dei suoni, a ricordarci la gloriosa tradizione black e death metal del loro paese di origine. I Grand Harvest sono una realtà poco conosciuta ma molto interessante e vedremo nel prossimo futuro se saranno in grado di fare altri album e proporci magari qualcosa di ancora più solido e ambizioso facendosi le ossa con molti altri concerti sulle spalle tramite i quali farsi conoscere e apprezzare da sempre più metalheads.
Chissà su quali altri palchi li rivedrò un giorno, nell’attesa credo proprio me li riascolterò presto con le cuffie in testa e una birra in mano, come ora.
Setlist:
- Sol Maledictor
- The Harrow
- No Paler a Horse
- Crowns to Ashes, Thrones to Dust
- Fatehammer
- Consummatum Est
Naglfar
E visto che all’inizio vi ho parlato di boccone appetitoso questa sera, se sinora abbiamo assistito allo spettacolo di quattro valide bands, che sono stati un buonissimo antipasto, adesso arriva finalmente il piatto principale: i Naglfar dopo quattro anni tornano a calcare le assi di un palco italiano e noi siamo qui per loro. I pionieri svedesi del melodic black non hanno mai privilegiato la dimensione live, pertanto la curiosità per la loro esibizione è alta anche da parte mia che non ho mai avuto occasione di poterli vedere prima di quest’oggi e li aspettavo da tempo. Sono una storica band svedese, formata nel ’92 ad Umea, fautori di un black metal con venature melodiche; il loro nome significa, letteralmente, ‘nave di unghie’, ed è il nome di un vascello leggendario della mitologia norrena, costruito con le unghie dei morti, il cui varo segnerà l’inizio del Ragnarok. Non so se il ritorno in suolo italico dell’omonima band svedese darà anch’esso il via alla fine del mondo, mi auguro di no, ma di sicuro posso testimoniarvi che, almeno allo Slaughter questa sera, ha portato un bel po’ di sano caos. Precisi come macchine e rodati come veterani i nostri incendiano lo stage grazie soprattutto alla prestazione di Kristoffer W. Olivius, davvero a suo agio nel ruolo di frontman che ricopre ormai dal lontano 2005 quando lasciò definitivamente il 4 corde; Olivius si dimostra assolutamente all’altezza della situazione nonostante ti faccia dubitare di essere nel pieno delle sue facoltà mentali sembrando davvero allucinatissimo con la sua grottesca mimica facciale e quegli occhi spiritati che attirano inevitabilmente l’attenzione. Ma non è certo solo su quel palco, anzi, è coadiuvato da una lineup di tutto rispetto che vede al suo fianco, oltre al cofondatore Andreas Nilsson alla chitarra, e al più che rodato Marcus E.Norman al basso, Efraim Juntunen alla batteria. La scaletta ricca di inni blasfemi va a pescare a piene mani da tutta la discografia fatta di sette album all’attivo, nessuno manca all’appello, dai seminali ‘Vittra’ e ‘Diabolical’ del 1995 e 1998 rispettivamente, all’ultimogenito ‘Cerecloth’ del 2020, per una durata complessiva di un’ora di concerto durante la quale hanno macinato riff, doppia cassa e screaming diabolico senza risparmiarsi. Si parte con “Blades”, per proseguire in un’inarrestabile galoppata avanti e indietro negli anni, con il pubblico che risponde con entusiasmo al loro appeal aggressivo e mordente che si dimostra essere un irresistibile invito all’headbanging e perfino ad un pogo poco affollato ma genuino delle prime file. La band non si risparmia un minuto con un piede saldamente piantato sullo screaming tipico della fiamma nera e uno ancor più fermo sul growling caratteristico invece del death metal, e ci accompagnano con angosciosa intensità lungo tutta la setlist, interpretando con energia costante e quasi inesauribile i loro testi spesso quasi incomprensibili, almeno per la sottoscritta. Passando da “And the World Shall Be Your Grave”, “The Darkest Road” e “Feeding Moloch” si arriva a “Like Poison for the Soul” con un andamento dettato dalla doppia cassa che ci ricorda ancora una volta la maestria di chi abbiamo davanti. A chiudere una prestazione violenta e possente accolta con un calore che rende ampiamente giustizia alla loro indubbia professionalità ci pensa “Harvest”, pezzo dove un rallentamento dei ritmi non è sinonimo di calo di potenza o di carattere del combo svedese che sta per congedarsi da noi, semplicemente fa parte anche questa della loro proposta.
I Naglfar, nonostante la scarsa attività live e il gap temporale fra i vari album in studio, sul palco sono una macchina da guerra inarrestabile che ha incendiato questo finale di serata dandoci prova di cosa sono ancora capaci di fare. Speriamo in un nuovo disco più ispirato dell’ultimo e che sappia fare la differenza in quanto ad originalità; la prestazione offerta questa sera non fa dubitare che siano in grado di farlo, dipende forse più dalla volontà in questo caso.
Sono certa che molti altri qui tra questa mura la pensano come me, mentre altri mi accuseranno di dire stronzate, ma dovremmo imparare tutti quanti a rispettare le opinioni e i gusti altrui e soprattutto, a lasciare le critiche ad altri palcoscenici, noi vogliamo solo quelli su cui salgono band per suonare e offrirci ottima musica live, come in questa serata grazie all’organizzazione di Cult of Chaos, WFR e ovviamente lo Slaughter Club.
Setlist Naglfar:
- Blades
- Cerecloth
- And the World Shall Be Your Grave
- The Darkest Road
- Vortex of Negativity
- Feeding Moloch
- Like Poison for the Soul
- A Swarm of Plagues
- Harvest
In definitiva posso assolutamente definire quella appena trascorsa la classica piacevole serata dove il connubio musica, che ricopre sempre il ruolo di protagonista, e l’incontro con amici e conoscenti che fa sempre piacere vedere per bersi qualche birra insieme e scambiare quattro chiacchiere, ha fatto da scivolo verso quello che sarà il rientro domani per molti di noi alla quotidiana routine lavorativa dopo un weekend più lungo del solito.
Come si suol dire, “bisogna santificare le feste”, e come era l’altro proverbio? Ah sì, “Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi”, ecco, io Pasquetta l’ho scelta di passare qui, e non me ne sono assolutamente pentita.