Live Report: O.R.k. + Lizzard + Inner Vitriol @ Legend Club (MI) – 18/04/2023
Live Report: O.R.k. + Lizzard + Inner Vitriol @ Legend Club (MI) – 18/04/2023
a cura di Giulio Miglio Taminelli
Avete presente quei particolari eventi che generano hype sin dal loro annuncio? Ecco, questo è uno di quelli.
La prima di tre date italiane per gli O.R.k. in pieno tour promozionale dell’album Screamnasium, accompagnati dai francesi Lizzard nel ruolo di co-headliner e supportati in apertura dagli eclettici Inner Vitriol.
Insomma, una vera manna dal cielo per tutti i cultori della sperimentazione musicale.
La cornice del Legend Club di Milano, in collaborazione con Bagana per la serata, è al momento tra le mie preferite per questo tipo di concerti, dove il legame tra gruppo e pubblico gioca un ruolo fondamentale nella buona riuscita dell’evento.
Insomma ci sono buona musica, un buon locale e tante cose da raccontare. Birra alla mano e godiamoci il concerto!
Inner Vitriol
Nati come Vitriol più di dieci anni fa e cresciuti esponenzialmente negli anni, gli Inner Vitriol fanno tesoro dell’immaginario alchemico da cui attingono per mescolare sapientemente prog, dark e death metal, creando sonorità uniche in grado di caratterizzarli e renderli davvero unici all’ascolto in cuffia. Arrivano a questa serata in un periodo particolarmente prolifico della propria carriera artistica, con la remastered dello storico album Into The Silence I Sink e, soprattutto, con un nuovo album in piena fase di sviluppo.
L’apertura del concerto, a dispetto del poco pubblico presente, è di quelle che lasciano il segno.
Pesanti palm mute di chitarra sostenuti dal pesantissimo basso di Francesco Lombardo preparano la scena per l’ingresso di Gabriele Gozzi, voce calda e calibrata nonché frontman carismatico del gruppo.
L’approccio con il pubblico si dimostra fin da subito azzeccato. Dialogo (favorito dalle dimensioni ridotte del locale), battute e un pizzico di racconto personale tra una canzone e l’altra che non guasta mai.
Tra tempi composti, momenti melodici e virtuosismi (con menzione particolare all’eccelso lavoro svolto da Michele Di Lauro alla chitarra, tecnico e tamarro al punto giusto per scaldare gli animi), la band riesce nell’impresa di presentare al meglio le proprie sonorità in mezz’ora scarsa senza mai dar l’impressione di voler correre o aumentare il ritmo.
A proposito di ritmo, come non citare Michele Panepinto alla batteria, metronomo di altissimo livello in grado di rendere orecchiabile anche il più ingarbugliato dei tempi composti.
Insomma, un ottimo lavoro da parte degli Inner Vitriol, un combo di cui consiglio vivamente l’ascolto in cuffia e soprattutto dal vivo, dato che è proprio sul palco che a mio parere riescono a dare il meglio (cosa non scontata in un periodo storico in cui chiunque ha accesso a strumentazione di alto livello per registrare pezzi).
Lizzard
Prendere le distanze dalla storia della musica e sperimentare da zero. Questa è l’ideologia su cui poggia la musica del trio francese Lizzard.
Quasi vent’anni di lavoro alle spalle e quattro album all’attivo che rendono gloria al desiderio di forte emancipazione musicale in grado di unire Katy Elwell, William Knox e Mathieu Ricou.
Dai lavori più tradizionali sino ad album live autoprodotti, i Lizzard sono sempre stati in grado di creare la propria arte partendo dalla materia grezza, trattando il suono nello stesso modo in cui un vasaio crea i suoi lavori partendo dall’argilla.
L’ingresso sul palco spartano, con il trio che semplicemente entra in scena salutando e posizionandosi, è il preludio di quello che ritengo essere stato un viaggio più che un ascolto.
Nonostante l’esecuzione magistrale dei pezzi, la sensazione è sempre quella che di solito si prova in una jam session quando i musicisti trovano la “quadra” e la risultante è una melodia tanto bella quanto diversa da qualsiasi cosa sentita prima, poiché somma delle singolarità musicali dei partecipanti (sensazione a mio avviso impagabile).
Ecco, tutto questo i Lizzard riescono ad ottenerlo semplicemente suonando le proprie canzoni, tanto belle quanto musicalmente fedeli all’ideologia della musica senza punti di riferimento di cui si fanno portavoce.
La scelta delle tracce sembra apparentemente senza un ordine preciso in quanto a ritmo, passando costantemente da canzoni di stampo prog rock ad altre semiacustiche ma, stando attenti, si può sempre ritrovare un filo conduttore a livello melodico.
Vero protagonista dell’esibizione è Mathieu Ricou, prodigioso chitarrista/cantante che, oltre ad interloquire con il pubblico, dimostra la sua natura virtuosistica ribaltando costantemente le regole del gioco, proponendo in alcuni momenti tapping in accompagnamento al ritornello cantato e, quasi per contrappasso, melodie ad accordi durante i soli.
Unica vera pecca del concerto la mancata gestione dei tempi morti e un po’ di svogliatezza nel presentare alcuni momenti, dovuti in parte al genere proposto sicuramente difficile da commentare ma frutto anche della poca socialità di Katy Elwell alla batteria e William Knox al basso, sicuramente due musicisti purosangue in grado di creare ritmiche incredibili ma non esattamente due animali da palcoscenico (almeno, non in questa occasione).
Musicalmente solo un pazzo non ne consiglierebbe l’ascolto in cuffia, però tengo a precisare che i live dei Lizzard non sono per tutti. Se non piacciono sperimentalità e i “trip” musicali, il rischio è quello di trovarsi sperduti nel proprio viaggio mentale personale
O.R.k.
Il concetto di supergruppo è tanto semplice, se affrontato con superficialità, quanto complesso, se si prova a sviscerarne la natura.
Musicisti già famosi e con bagagli esperienziali immensi uniti dalla volontà di creare qualcosa di nuovo che, il più delle volte, si trasforma in una mera trovata commerciale in cui i protagonisti si limitano semplicemente a riproporre e mescolare gli archetipi sonori delle rispettive formazioni, creando un prodotto che a seconda dei casi può declinarsi in melodia sterile o in caos cacofonico.
In questo ambito, gli O.R.k. si posizionano controcorrente, dimostrando di appartenere di diritto al vero gotha musicale internazionale, ovvero quello dove il focus è la musica a prescindere dal pubblico e dalla fama precedentemente conquistata.
Il genio musicale di LEF, ovvero Lorenzo Esposito Fornasari, si unisce alla chitarra di Carmelo Pipitone (Marta Sui Tubi), la batteria di Pat Mastelotto (King Crimson) e il basso di Colin Edwin (ex Porcupine Tree) per innovare e sperimentare come nelle migliori delle officine.
L’ultima fatica, ovvero l’acclamato album “Screamnasium” che ha visto la luce a fine 2022, farà da perno all’intera serata e, devo essere onesto, non potevo chiedere di meglio.
Anche per gli O.R.k. l’ingresso sul palco è spartano, con un intro in armonici naturali che verrà rotto solo una volta posizionatisi i musicisti.
L’apertura è totalmente dedicata alla ritmica, con basso e batteria che di fatto creano le strofe su cui la chitarra si inserisce in punta di piedi.
D’improvviso, un cambio totale di registro e il gain s’impenna. Onde distorte si infrangono sul pubblico al ritmo di una batteria al limite dell’algebrico.
In questo, LEF posiziona con sapienza le note del suo cantato, quasi volesse tenerle in equilibrio.
Ho provato a descrivere con una sequenza d’immagini le sensazioni che ho provato ad inizio concerto perché, davvero, gli O.R.k. sono indescrivibili in altri mezzi.
Assurdamente bravi e carismatici, in grado di unire con una facilità a dir poco disarmante tracce che prese singolarmente sembrerebbero quasi provenire da canzoni diverse.
Interessante il fatto che, nonostante la presenza di due Italiani nella formazione, sia Colin Edwin la voce narrante della prima pausa… e che bella voce (precisazione forse inutile, però ha una voce davvero calda).
Svanito l’effetto sorpresa, lo stile sul palco va via via delineandosi sempre di più, permettendo allo spettatore di apprezzare i botta e risposta tra i vocalizzi di LEF e gli sporcati di un Pipitone che si manterrà dinamico per l’intera esibizione (cosa che apprezzo parecchio nelle esibizioni live) e, allo stesso modo, si comincia ad intuire l’importanza del continuo gioco di tom di Mastelotto nel rendere più dinamico l’insieme.
A concerto inoltrato, finalmente abbiamo il tempo di sentire i nostri due connazionali scherzare un po’ sul palco per smorzare il clima forse un po’ troppo serioso che si era venuto a creare per una sala concerti metal.
L’inizio della parte lenta permette a Edwin di dare sfogo alla “corda grossa” del suo basso, smuovendo gli animi dei presenti e forse anche qualche costola per via delle vibrazioni, anche se pure in questa occasione sarà la batteria a dare reale profondità. Seriamente, non avevo mai sentito Pat Mastelotto dal vivo ma sicuramente non mancherò al suo prossimo ritorno in Italia per potermelo godere con una maggior consapevolezza.
In ogni caso, il quartetto procede di canzone in canzone con pochissime pause, macinando un pezzo dopo l’altro apparentemente senza accusare fatica, se non per qualche passata di asciugamano sulla fronte di un Carmelo Pipitone asceso al ruolo di effettista del gruppo. Tra microfono e chitarra ad un certo punto sembrava più un DJ che un chitarrista per la quantità di suoni che riusciva a creare (e la cosa è stata a dir poco esaltante).
Sul finale, un po’ di rammarico da parte del pubblico che, pur richiedendo il bis a gran voce, non è stato accontentato ma, personalmente, trovo che lo spettacolo fosse arrivato alla sua naturale conclusione.
Avviandomi verso casa, non posso che ripensare all’esibizione degli O.R.k.. chiedendomi se, dopo quattro album e una così grande affinità tra i componenti, sia ancora il caso di definire questa formazione con i nomi di “progetto” o “supergruppo” quando è palese che questa sera a suonare sul palco ci fosse una band fatta e finita.
Sia quel che sia, lo decideranno gli O.R.k. , io posso dire soltanto una cosa: “Ragazzi, che concertone!”.
Scaletta O.R.k.:
- Something Broke
- Signals Erased
- Don’t Call Me a Joke
- Kneel to Nothing
- Time Corroded
- As I Leave
- Beyond Sight
- I Feel Wrong
- Deadly Bite
- Consequence
- Unspoken Words
- Lonely Crowd
- Someone Waits