Black

Live Report: Taake + Stormcrow + Amthrÿa @Revolver Club di San Donà (Tv) – 25/11/2023

Di Nicola Furlan - 30 Novembre 2023 - 9:35
Live Report: Taake + Stormcrow + Amthrÿa @Revolver Club di San Donà (Tv) – 25/11/2023

TAAKE “30th Anniversary Special Show” + STORMCROW + AMTHÿA
Revolver Club di San Donà (Tv) – 25/11/2023

Live Report a cura di Daniele Peluso
Photo Report a cura di Daniele Peluso

Fa freddo.
La temperatura è scesa in maniera repentina e fuori dal Revolver di San Donà di Piave si gela letteralmente.
Entrare nel locale mi fa tirare un sospiro di sollievo.
Non c’è fila al botteghino ma all’interno intravedo da subito un bel movimento: buon segno.
Giusto il tempo di acclimatarmi e di conquistare la mia posizione preferita che si aprono le danze.

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Amthrÿa

Sul palco intravedo uno spettro, avvolto dalla nebbia, che si dimena, straziato, in un movimento sincopato al limite dell’umano. È una fantasma di donna, ceruleo, avvolto in un kimono bianco dalle lunghe e vaporose maniche pendenti. Geme, emette urla lancinanti che rapiscono, che ammaliano nella cruda realtà dei suoni.
La yuki-onna domina la scena, ne è la sola padrona; le figure vestite di nero che l’accompagnano, misteriosi come antichi guerrieri shinobi, la sferzano con le loro armi fatte di musica.
È una musica violenta, impetuosa, travolgente.
Amthrÿa è il nome che si è dato questo spettrale incubo, evocato degli dèi del kaos per aprire la serata dedicata all’omaggio referente a una delle Black Metal Band norvegesi che ho amato fin dagli esordi. E non c’era modo migliore per iniziare questa celebrazione.

Sul palco Kasumi Onryo, vecchia conoscenza del metal estremo tricolore, ci conduce per mano attraverso incubi e deliri che si traducono in un grido fatto di dolore e sofferenza, un urlo intimistico e lacerante che accompagna una proposta musicale di un livello decisamente sopra la media.
Le parti più progressive si alternano a sfuriate degne della peggior buriana invernale.
È una musica complessa, ricercata quella dei Amthrÿa. Scream e growl si alternano su tappeti ritmici martellanti su cui le chitarre disegnano arabeschi di sangue degni del miglior Hokusai.
Un nero figuro norvegese si fa spazio sotto il palco per riprendere con il telefono l’esibizione dei Nostri: anche Hoest viene catturato dal fascino indiscusso di questa strana creatura musicale.
Non conoscevo questi sorprendenti Amthrÿa; mea culpa, rimedierò.

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Stormcrow

Perdo tempo aspettando l’allestimento del palco ad opera dei Stormcrow. Osservo il parterre, svuotatosi per affollare il bar nell’attesa del nuovo giro di giostra. Tutto nella norma.
Pronti, via!
Il gruppo milanese esplode tutta la sua furia sulla platea ritornata ordinatamente al proprio posto.
Il suono non è dei migliori: le chitarre e – parte – della voce si perdono inesorabilmente nei trigger decisamente sovralimentati della batteria di Wraith che tende a fagocitare tutto il campionario di note medio alte e non solo. Peccato davvero perché l’esibizione perde molto del fascino potenziale che avea ad esprimere.
Provo a spostarmi dalla mia abituale posizione sopraelevata curioso di capire se cambiando angolazione il suono ne potesse giovare. Ahimè anche dal lato del merchandising l’impasto sonoro è considerevole quindi mi rassegno e cerco di goderne il più possibile.

Gli Stormcrow danno fondo a tutta l’oscura energia che prelevano direttamente dal pozzo nero dell’anima e si dannano sugli strumenti per regalare al pubblico il meglio della produzione ultra ventennale. Il pubblico apprezza e sostiene il quintetto durante tutta l’esibizione. Tengono il palco in maniera egregia, hanno una presenza scenica ineccepibile e suonano senza risparmiarsi ma non mi convincono appieno: conto di rivederli in in prossimo futuro, magari in condizioni di suono migliori, che non condizionino in maniera così palese la loro performance.
Leggendo il live report del bel concerto di Bologna mi sale la rabbia per non aver potuto gustare appieno lo spettacolo di un gruppo che seguo con molta curiosità.
Mi rifarò, promesso.

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Taake

Dopo un cambio palco con la peggior scelta musicale di sempre, tocca al gelo tagliente proveniente dalle sette montagne di Bergen a punire gli astanti per non essersi messi al riparo.
Apre l’intro “Kling no klokka“, primo salmo religioso in nynorsk pubblicato nel 1869, presentato ai fedeli di Ørjan nell’oscura e tetra versione dei norvegesi Noxagt, nativi della zona di Stavanger, band noise rock attiva da prima del nuovo millennio.
Tutto fa presagire che qui nessuno sarà davvero al sicuro.

“Kling no klokka
Ring og lokka
Ring og lokka frå tusind tårn
Tona um frelsa
Kalla og helsa
Kalla og helsa med fred Guds born
Kling no klokka
Ring og lokka
Ring og lokka frå tusind tårn”

E così è.

Le ostilità vengono dichiarate da una ferale “Nordbundet“, vero e proprio brano spacca ossa che scalda a dovere il parterre già bello carico e carburato.
Sarà un carro armato senza freni né inibizioni per i prossimi settantacinque minuti.
Hoest inizia lo spettacolo nello spettacolo, catturando dal primo urlo l’attenzione di tutti gli astanti. Si dimena, scalcia, vomita sulla folla in adorazione il meglio del repertorio che da trent’anni ha posto la sua creatura Taake in cima all’Olimpo dell’oltranzista Black Metal norvegese, con buona pace di ammiranti musicisti in giro per il globo che tentano di scimmiottarne gli stilemi e della “stampa” specializzata. Segue senza sosta “Havet i huset“, che raccoglie i pezzi di pubblico sparsi un po’ ovunque dopo il magistrale black’n’roll che ci ha mostrato l’unica “direzione del nord”.

I Taake pescano a piene mani da tutto il repertorio per “festeggiare” – e mi sia bonariamente passato il termine – in grande stile suonando, a detta dello stesso Hoest, pezzi mai eseguiti in Italia come la magistrale “Over Bjoergvin Graater Himmerik II“.
La combo “Fra Vadested til Vaandesmed” e la seguente “Orkan” si infrangono come una tempesta sugli scogli. Hoest è visibilmente infastidito: prima chiede di spegnere le luci frontali al palco, poi lamenta problemi alle casse spia. Distrugge tutto quello che gli passa per le mani.
Microfoni (ne sbatte uno in testa a uno spettatore pelato nelle prime file che, di contro, non sembra nemmeno accorgersene, salvo poi passare una bozza di vino alle prime file come a scusarsi), aste (ne fa volare una a brandelli in mezzo al pubblico), fino all’incazzatura per la chiusura dell’assolo di banjo di “Myr” ritardato ben oltre il lecito da problemi tecnici che, di fatto, ne inficiano l’indubbia magia. Hoest contrariato manda affanculo la torre di controllo e, assieme a lui, diversi spettatori si associano. Peccato davvero.
Resta comunque innegabile un concerto davvero entusiasmante, uno dei pochi nell’elitario genere Black che, nell’opinione di scrive, merita di essere visto dal vivo.
Trent’anni e non sentirli: carichi di rabbia, pieni di passione e di sgomento.

Takk så mye, Ørjan: vi ses.

Daniele Peluso