Live Report: Testament+Voivod+Fleshgod Apocalypse @Live, Trezzo Sull’Adda (MI) – 01/06/2023
Qui il photoreport a cura di Michele Aldeghi
Ormai è abbastanza chiaro: i gruppi (tranne pochissime eccezioni) hanno la necessità di essere quasi costantemente in tour per sopravvivere, ciò a prescindere da eventi esterni, situazioni personali delicate e problematiche organizzative. Chi ci legge conosce benissimo questa realtà, così come è al corrente di come parecchi eventi negli ultimi tempi (e soprattutto dopo la Pandemia) abbiano subito cancellazioni, posticipazioni e riorganizzazioni anche dell’ultimissima ora. E’ proprio il caso di questa “leg” estiva del “Titans Of Creation Tour”, che inizialmente avrebbe dovuto vedere Testament, Exodus e Voivod girare per l’Europa. Ahimé, per l’appunto, poche settimane prima una problematica familiare ha costretto Gary Holt e di conseguenza gli Exodus a chiamarsi fuori, sostituiti all’ultimo momento per questa data dai Fleshgod Apocalypse. Come se ciò non bastasse, pochi giorni prima della partenza della tournée, Alex Skolnick, a causa problemi di salute della madre, ha comunicato l’impossibilità di prendere parte alle prime date del festival itinerante, portando alla sostituzione temporanea da parte di Phil Demmel (Vio-lence, ex Machine Head e tanti altri). Insomma, un evento sicuramente non nato sotto i migliori auspici. Vediamo com’è andata…
FLESHGOD APOCALYPSE
Causa tangenziale congestionata a causa di un incidente, ci posizioniamo nelle prime file del parterre quando la performance della band umbro-laziale è già nel vivo. Notiamo subito che anche per i sympho-death metaller italiani ci deve essere stato qualche piccolo problema di formazione, perché il leader Francesco Paoli, solitamente chitarra e voce, questa volta non imbraccia la sei corde ma è al basso, mentre si nota la defezione dello storico Paolo Rossi. Formazione inedita, quindi, ma siamo consapevoli di quanto Francesco sia versatile e flessibile (c’è un ruolo che non ha ancora coperto nei suoi Fleshgod!?), tanto che lo show dei nostri fila via assolutamente liscio, con l’approvazione del pubblico, forse non totalmente dedito alle peculiarità sinfoniche della band, ma tanto basta. I “nuovi entrati” (ormai già dal 2020 in effetti) Eugene Ryabchenko alla batteria e Fabio Bertoletti alla chitarra sono perfettamente integrati, così come Veronica Bordacchini (live member dal 2013 e membro ufficiale da tre anni) è sempre più al centro della scena, e giustamente aggiungiamo. I Fleshgod Apocalypse, ormai professionisti rodati, si producono in un concerto sostanzialmente privo di difetti, confermandosi dei veterani il cui successo internazionale, consolidato attraverso innumerevoli tour in tutto il mondo, appare assolutamente meritato. Il wall of death chiamato sulla conclusiva “The Forsakening” pone il sigillo alla performance, davanti ad un Live sempre più gremito.
VOIVOD
Nella pausa che intercorre tra i Fleshgod Apocalypse e i Voivod, non possiamo fare a meno di notare come anche per un genere come il thrash metal, una volta appannaggio di teen ager o poco più, il tempo sia passato inesorabilmente. Tante le teste calve o ingrigite tra il pubblico, l’età media è alta, decisamente attorno alla quarantina almeno. Ovviamente, lo stesso vale per chi sale sul palco. La band del Quebec, infatti, nel 2023 festeggia anch’essa i quarant’anni di onorata carriera. E’ davvero impressionante osservare i quattro sul palco: entusiasmo, energia, una vera e propria felicità fatta spettacolo. Non appare il minimo segno di abitudine o routine e il pubblico riconosce tutto ciò, tributando costanti segni di affetto e incitando la band a più non posso, nonostante i suoni all’inizio siano tutt’altro che perfetti. Il drumming nervoso e sincopato di Away, l’eccitazione e i sorrisi di un Rocky sempre più integrato al basso, la precisione di Daniel “Chewy” Mongrain (che musicista pazzesco, un acquisto azzeccatissimo per i Voivod) e poi Snake, con la sua espressività così particolare, che vive lo show con tutto se stesso, con un atteggiamento così lontano dai canoni standard del metal. Accordi dissonanti, tempi dispari, eppure il pubblico partecipa fisicamente neanche si trattasse della più sguaiata punk band. Il gruppo, che sta davvero attraversando una seconda giovinezza anche nelle ultime fatiche in studio, offre sempre qualche spunto nuovo, ascoltando i loro pezzi dal vivo si scoprono sempre nuove sfaccettature. La setlist attraversa in lungo e in largo la loro discografia, con qualche chicca, tra cui “Rise” da “Phobos”, che ricorda i Coroner dei tempi di “Grin” e al cui termine viene celebrato il mai dimenticato Piggy, oppure “Rebel Robot”, dove il saluto della band va a Jason Newsted, al basso in quel periodo. Ormai abbastanza di casa dalle nostre parti, i Canadesi hanno vinto da tutti i punti di vista: un successo totale, chiaro, indiscutibile.
Voivod setlist:
Killing Technology
Obsolete Beings
Synchro Anarchy
Macrosolutions to Megaproblems
Rise
Rebel Robot
Thrashing Rage
Holographic Thinking
Sleeves Off
Pre-Ignition
Fix My Heart
Voivod
TESTAMENT
Come si spiegava nell’introduzione, certamente il tour non è cominciato nel migliore dei modi per i bay area thrasher: prima data in Germania come quartetto causa defezione dell’ultimo minuto di Alex Skolnick e date successive, compresa la presente, con Phil Demmel in sua vece. Per chi scrive, già all’ennesima esibizione dal vivo dei Testament, è l’occasione per testare qualcosa di diverso, ossia un Eric Peterson con più spazio alla solista e l’ex Machine Head alle prese con un’altra “sostituzione” (ricordiamo infatti che oltre ai Vio-Lence, alla presente ospitata con i Testament e al passato di lusso con i Machine Head, il Nostro ha aiutato dal vivo anche Lamb Of God, Overkill e Slayer). Da non dimenticare, inoltre, la possibilità di valutare dal vivo il nuovo ingresso alla batteria Chris Dovas (giovane promessa del Metal a stelle e strisce, nonché batterista dal vivo dei Vital Remains). Partendo proprio dal drummer, che deve “soltanto” sostituire gente di poco conto come Gene Hoglan e Dave Lombardo, vale il seguente principio: quando il business ti impone di rinunciare ai top player, tanto vale assicurarsi i servizi dei talenti della nuova generazione. E Chris Dovas certamente talento ne ha da vendere: potente, preciso, impeccabile: un ottimo acquisto, in definitiva. Contornati da una scenografia decisamente di impatto, i Testament sembrano in forma (forse con qualche chilo in più rispetto al passato) e in palla nonostante tutto. Il sempre più corpulendo Chuck Billy ha ancora energia da vendere, Steve Di Giorgio è sempre una presenza ingombrantissima on stage (con accezione positiva, da dire che l’italo-americano ha un suono di basso davvero incisivo e davvero mai tale scelta del fonico fu più azzeccata) e il buon Eric Peterson non sembra assolutamente preoccupato di non doversi soltanto limitare alla chitarra ritmica questa sera. L’attacco di “Rise Up” fa assolutamente il suo dovere scaldando la già accesa platea, poi tocca a due pezzi da novanta come “The New Order” e “The Preacher” e, chiaramente, con due classici del genere si va a colpo sicuro. La band propone una setlist divisa praticamente a metà tra pezzi storici ed altri più recenti, dimostrando non a torto di credere nella “seconda fase” della propria carriera (diciamo da “The Gathering” in poi), forse meno iconica rispetto alla precedente, ma comunque convincente, specialmente dal vivo. La proposizione di “Practice What You Preach” è un po’ il momento della verità per i due “neo-solisti”, chi scrive ritiene infatti l’assolo del pezzo uno dei più belli ed intensi della band (e non solo). In questo caso è Demmel a farsi carico del lunghissimo excursus solistico e, ammettiamolo, la sensazione è che proceda abbastanza ad orecchio ed improvvisando qua e là (tutto assolutamente giustificato, considerato il brevissimo preavviso ricevuto), usando l’esperienza per portare avanti il difficile compito. Quando invece gli slanci da solista riguardano Peterson, l’impressione è che ci sia stata maggiore preparazione, anche se non si può chiedere ad un centrocampista di sostanza di fare il fantasista, se permettete il parallelo calcistico. Si parlava di seconda fase dei Testament e il trittico “The Pale King”, “3 Days In Darkness” e “D.N.R.” dimostrano alla grande la potenza e la qualità degli album da cui sono tratte. Sarà la mancanza di un funambolo come Skolnick, sarà una semplice sensazione, ma la “botta” che questa sera i Testament riescono a produrre sembra più intensa rispetto a precedenti esperienze e questo sicuramente non fa che crescere l’energia che si produce in sala. A scaldare ulteriormente gli animi, ci pensa Di Giorgio in perfetto italiano a “rendere grazie” all’Onnipotente prima di “More Than Meets The Eye”, ma al di là delle blasfemie si conferma un mostro del suo strumento, specialmente nella conclusiva “Disciples Of The Watch”.
Il fil-rouge della serata? La conferma della professionalità dei Fleshgod Apocalypse e la certezza che, se grandi band come Voivod e Testament sono definite tali, un motivo esiste. Specialmente le due band d’oltreoceano hanno concretizzato cosa significhi rinascita: si possono attraversare fasi complicate e forse minori in termini di popolarità, ma poi alla resa dei conti le leggende restano tali. Thrash on!!
Testament setlist:
Rise Up
The New Order
The Preacher
Children of the Next Level
Practice What You Preach
The Pale King
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
3 Days in Darkness
The Haunting
Night of the Witch
More Than Meets the Eye
The Formation of Damnation
Over the Wall
Into the Pit
Disciples of the Watch
Vittorio Cafiero