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Lo Staff di Truemetal: l’aureo direttore Roberto ‘Keledan’ Buonanno

Di - 28 Febbraio 2005 - 0:05
Lo Staff di Truemetal: l’aureo direttore Roberto ‘Keledan’ Buonanno

Uno di noi. Il primo di noi. Anche il nostro aureo direttore si presta alla nuova iniziativa di Truemetal.it e si “mette a nudo” di fronte alle frecciatine che cercherò di lanciargli.

La prima domanda è d’obbligo. Truemetal.it è il primo sito metal in Italia, una realtà dell’editoria virtuale di cui sei il principale artefice. Qual è il segreto del successo del portale?

La maggior parte di quelli che fondano webzine musicali lo fanno per andare a scrocco ai concerti e recuperare dischi gratis.
Ricordo di un tipo incontrato a un concerto dei Manowar a Faenza. Era con me sotto il palco per scattare foto, e si vantava di aver fondato con i propri amici un sito completamente fasullo solo per avere i biglietti dei concerti.

Chi dirige una testata in maniera seria deve saper rinunciare a molti privilegi per mantenersi coerente e corretto. E deve saper dare soddisfazione a chi scrive: c’è gente che si tiene gli originali e manda le copie, altri che spediscono compilation in MP3..
Gli ingredienti per il successo sono quelli che valgono per tutte le attività. Nutrire ambizione e coltivare umiltà allo stesso tempo. Applicarsi per ricercare la massima competenza, lavorare in continuazione per colmare le proprie lacune.
Inoltre bisogna trovare gente capace e affidabile e avere il coraggio di cedere parte delle attività.
Per quanto riguarda la coerenza, Truemetal è nato come sito no-profit e rimane tale, nonostante le spese continuino ad aumentare e nonostante ora avremmo i numeri per guadagnarci. Ma continuiamo sulla strada scelta fin dal principio, nonostante pochi riescano a comprenderlo.

È stata importante anche la decisione di non concedere spazio a fenomeni come il NU. Noi non ci prostriamo al mercato per accaparrarci una pagina vista in più e questo è il vantaggio di chi veramente gestisce un’attività senza fini di lucro.

Altro segreto è la perseveranza, non potete immaginare quanto è stata dura aprire i contatti con promoter, etichette e distro per avere i CD da recensire.
Con alcuni ci ho rinunciato, anche perché, come ho sempre detto a tutti i miei collaboratori, preferisco la recensione di un demo in più che di 100 dischi di gruppi affermati e che navigano nell’oro.
Con altri promoter invece va benissimo, non cito nessuno per non fare dispetto ad altri.

Quale fu la congiunzione astrale che ti portò a fondare Truemetal.it?

Sentivo, da lettore di fanzine e riviste, il bisogno di una testata veramente indipendente, che non subisse influenze da etichette, distributori, mailorder e chicchessia.
La carta era, già nel 2001, un mezzo superato di fare informazione, con limiti impliciti, tra cui gli alti costi di gestione e il distacco dai lettori.
Ai tempi esistevano già webzine metal, ma nessuna aveva le caratteristiche vitali di un sito Internet. In pratica si riportava pedissequamente su web il modello della fanzine / testata cartacea e la storia ci ha insegnato che questa era una via fallimentare.
Noi abbiamo introdotto i commenti, i contributi dalla community e tante altre caratteristiche che guarda caso in parecchi ci hanno copiato.

Come nacque Truemetal? Un giorno dissi al mio amico Fenrir “Danié, che ne diresti di una bella webzine metal?”.
Lui rispose “perché no? Creala che poi iniziamo a scrivere.”
E così fu, tutte le cose più belle nascono da ispirazioni improvvise.

Vuoi raccontare agli utenti un episodio buffo/simpatico avvenuto in redazione e che è rimasto all’interno dello staff?

Riallacciandomi alla prima risposta, mi ricordo un episodio al concerto dei Manowar a Brescia, nel 2003. Sono andato con Matteo Lavazza e c’era da intervistare a tu per tu Eric Adams.
Poteva andare solo uno di noi, e io naturalmente ho mandato il Lavazzone. È difficile spiegare l’emozione del vecchio metallaro prima e dopo l’intervista.

Un’altra cosa che non tutti sanno è che l’enorme numero di visite al sito ci impedisce di cavarcela con il classico contrattino di hosting da 50 euro all’anno. Di fatti Truemetal gira su un nostro server, e fruiamo di un contratto di housing che costa molto caro.
Mi sono veramente commosso quando i miei fidati collaboratori – che mi pregio di chiamare amici – hanno sborsato di tasca loro, volontariamente, anche oltre 200 euro a testa per darmi una mano ad affrontare le spese sempre crescenti. Quindi sappiate che su questa testata scrive gente che non solo non guadagna niente e si sbatte ore e ore per il sito, ma paga per farlo.
Questo è Truemetal.

Tra le “star” che hai intervistato ce n’è qualcuna tanto indisponente da toglierti gli schiaffi dalle mani?

Ne avrei da dire di cotte e di crude, ma sinceramente darei troppa importanza a certi palloni gonfiati che non ne meritano. Una cosa è certa, le dimensioni di una persona non sono date dalla bravura nel suonare uno strumento o nel cantare. Né tantomeno dal numero di copie vendute.

Parlerei piuttosto delle esperienze con bella gente.
A partire dall’intervista più appagante, ossia quella con David De Feis dei Virgin Steele, una persona colta ed educata. Un artista di primo livello e allo stesso tempo un vero gentleman. Ce ne vorrebbero di più come lui. Peccato che l’agenzia che rappresenta la sua etichetta, Spin-Go, non mi manda un promo né mi propone un’intervista da anni.

Un altro personaggio sorprendente è il grande Schmier dei Destruction, incontrato a Friburgo – guarda caso a un concerto dei Manowar. Se ne erano dette di cotte e di crude sulle sue smanie da rockstar, invece io e il fido Lavazzone abbiamo trovato una persona disponibile, simpatica e veramente in gamba.

Come sono gli ascoltatori metal in Italia? Prendono qualsiasi cosa viene loro propinata, seguono la moda, oppure seguono una logica personale dettata da gusti poco condizionati dall’esterno?

Gli ascoltatori metal italiani sono un popolo variegato ma che riesce a deludermi puntualmente in maniere sempre diverse e innovative.
Innanzitutto, in Italia siamo inguaribili esterofili. Ci sono gruppi di spessore artistico impressionante, ma che da noi vengono ignorati proprio perché connazionali. Questo pessima tendenza trova riscontri in ogni settore ed è l’ennesima conferma che noi italiani, come scriveva il grande Montanelli, siamo dei maggiordomi e dei camerieri perfetti, tanto siamo stati abituati a servire lo straniero negli ultimi secoli.
Inoltre troppi corrono dietro alle mode e non riescono a formarsi un gusto veramente indipendente. In definitiva, mi trovo perfettamente a mio agio con i metallari di vecchia data, ma devo ammettere che con i più giovani non è la stessa cosa.
Un consiglio: maschere e costumi lasciateli a casa. Non avete da dimostrare niente a nessuno, la passione per la musica è un sentimento che si coltiva nell’intimo, non c’è bisogno di sputare a ogni costo in faccia al prossimo i propri gusti.
Io non mi sono mai vestito “da metallaro” ma allo stesso modo non mi sono mai vergognato di quello che faccio. Perfino durante incontri seri e professionali di lavoro, mi capita di vantare la mia passione per la musica rock e metal e soprattutto l’orgoglio per essere il papà di Truemetal!

Noi abbiamo a che fare con tantissime band, molte di livello internazionale, moltissime affermate a livello nazionale, molte di più ancora sommerse nell’underground. Tuttavia la tendenza a fare le star è qualcosa di decisamente comune a tutti. Cosa distingue secondo te la vera star dalle imitazioni?

L’umiltà, la disponibilità verso i fan, la serietà.
Il tipico membro di un gruppo italiano dopo due demo si sente una rockstar. Gente come David De Feis, Joey De Maio, Rock’n’Rolf , a parte gli ovvi limiti relativi alla sicurezza e al controllo da parte del management, è più alla mano del musicista / cantante medio italiano. E dell’ultimo dei fanzinari, se mi permettete la stoccata a certi “colleghi” montati a dismisura.
Ho sentito artisti che hanno venduto dischi a milioni ringraziare a uno a uno i fan per essere venuti al concerto.

Riuscirà mai a esaudirsi il sogno di costituire una scena metal italiana, unita e compatta, capace di delineare chiaramente i suoi aspetti musicali alle orecchie degli ascoltatori, soprattutto esteri?

Sappiamo benissimo che l’Italia è riconosciuta, all’estero, come la patria del power-metal-trallallà-tutto-uguale. Quindi abbiamo già una scena unita e compatta, ma nell’intento di smerciare musica che permetta di ottenere, per esempio, le proficue licenze giapponesi.

La scena è compattata ulteriormente da certe famose riviste, capaci sullo stesso numero di stroncare un gruppo perché “fa il solito power metal all’italiana” e di erigerne un altro a “signore del power metal”, con tanto di copertina e intervista di 200 pagine in cinemascope.

Io sarei felice di ascoltare più gruppi cantare in italiano. L’inglese mi ha stufato, lasciamolo agli altri. In tanti hanno dimostrato che si possono comporre ottime liriche nella lingua di Dante.
Purtroppo però i gruppi nostrani puntano a vendere in Europa – e soprattutto in Giappone, la terra più trallallà del mondo. Difficile far breccia nel mercato veramente grosso, quello degli Stati Uniti, dove se canti in inglese spaghetti non ti comprano – lo stesso discorso vale anche per UK e altri paesi di lingua inglese.

Perché la scena italiana acquisti maggiore personalità ci vorrebbe una rivoluzione nei gruppi, che dovrebbero produrre musica espressamente dedicata ai connazionali, ma anche valida all’estero. Oggi accade il contrario, si produce per vendere in Germania, e si spera di portare a casa qualche euro anche da noi.
Naturalmente questo non servirebbe a niente se tutti noi non iniziassimo a valorizzare certe produzioni locali quanto meritano..

Da un certo punto di vista, qualcosa del genere (scena italica) già esiste: all’estero, soprattutto in Germania, i critici si stupiscono quando ascoltano una band italiana che non suona power metal alla Rhapsody. E’ stata la band di Turilli a imporre a tale livello il suo trademark, oppure sono i tedeschi ad essere così schematici?

Una doverosa premessa: guai a chiamare i Rhapsody la band di Turilli, altrimenti Alex Staropoli se la lega al dito. Mi ricordo che una volta Alex rifiutò un’intervista, sulla quale il nostro buon Giordano aveva perso una giornata. Il motivo: la biografia presente sul nostro sito cita che i Rhapsody erano”capeggiati dal giovane guitarist Luca Turilli”. Alex mi scrisse che non avrebbe risposto alle domande finché noi non avessimo corretto la bio perché “NESSUNO DI NOI E’ STATO O MAI SARA’ “CAPEGGIATO” DA NESSUNO”.
Comunque basta andare a leggere la nostra bio per vedere come andò a finire. Volete un indizio? A me gli aut aut non sono mai piaciuti…

Torniamo al punto. Concordo sul fatto che la Germania è, in Europa, la patria del metal, ma non esaltiamola troppo. Ci sono band tedesche che con gli stessi quattro riff vanno avanti da decine d’anni.
I Rhapsody sono oggettivamente una band di cui andare orgogliosi, loro hanno aperto una strada ed è colpa degli altri, degli imitatori, se è nato il fenomeno del “power all’italiana”.
Premesso che dei Rhapsody piace solo il primo disco, trovo che la band di Turilli (eheheh) abbia tutto il diritto di suonare la propria musica. Chi ha seguito nel solco per portare a casa le briciole, invece, dovrebbe farsi un esame di coscienza.

Leggiamo su Truemetal.it di black, death, power, prog, heavy, grind, gothic metal… Non è che tutte queste etichette servano solo a far credere all’ascoltatore che ogni band ha una sua identità?

L’identità non si trova nell’etichetta che ti affibbiano, ma nella ricerca e nell’impegno che dedichi a fare qualcosa che emerga dalla massa.

Parliamo di concerti. In Italia la situazione è sempre accesa da polemiche e critiche. E’ molto diversa la situazione all’estero secondo te? E in ogni caso, di chi è la colpa?

Provate ad andare a vedere un concerto in Germania. La gente è ordinata, paga il biglietto, non fa casino, non spacca tutto. Il primo problema dei concerti in Italia sono gli spettatori: abbiamo il pubblico più caldo del mondo, ma anche il più indisciplinato.
Il secondo problema è politico: in una città come Milano, capitale del progresso, i concerti per norme comunali devono terminare alle 23. Alcuni gruppi vengono censurati, oppure discriminati da questo o quel politico.
Il terzo problema è legato ai promoter, che non riescono a dare valore aggiunto alle loro produzioni. A loro scusante tutti i problemi che si possono trovare in Italia.

La webzine vince sulla ‘zine cartacea sotto tutti i punti di vista: innanzitutto è gratuita, e questo fa sì che non si debba “pendere dalle labbra di nessuno”, dove per nessuno si può tranquillamente intendere “label”. Come ti sembra che abbiano reagito le etichette a questo nuovo e potentissimo mezzo d’informazione?

Ma naturalmente aprendo, finanziando, e gestendo direttamente o indirettamente webzine. Stessa cosa hanno fatto distributori, mailorder e chiunque campi con i dischi. Se dicessi la metà delle cose che so, finirei citato in giudizio da parecchie società del settore.
Un solo consiglio ai nostri lettori: aprite gli occhi, non fatevi fregare.

Un consiglio ai promoter: imparate la differenza tra web e carta. Noi per esempio riceviamo tantissime richieste di interviste, ma al nostro pubblico, come a tutto il pubblico web, non interessano i testi lunghi come questo (Sic). Il web si esalta con tante immagini, testi brevi e struttura a piramide capovolta.

Inoltre fatevi dare più CD per la promozione dei dischi e invece di darne 5 o 6 copie al vostro vecchio amico che fa li caporedattore su questa o quella testata cartacea, fate apparire 5 recensioni in più su fanzine e webzine.

A te il finale…

Noi siamo Truemetal, che vi piaccia o meno.
Siamo fastidiosi, suscitiamo invidia e scalpore, odio e gelosie. Sono i lati oscuri del successo, un successo garantito da uno staff di gente capace, competente, e meravigliosa soprattutto sotto il profilo umano.
Siccome predicavo umiltà, non posso che concludere con una sviolinata per i miei lettori.

Ieri, oggi e domani nel nome del metallo.
Death to the False Ones.
All Hail Truemetal.it.

Noi e Voi siamo Truemetal, una realtà di carne, sangue, note violente e passione.
E tu chi sei?