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Longobardeath (Ul Mik e Teo)

Di - 23 Aprile 2006 - 13:12
Longobardeath (Ul Mik e Teo)

Mi accingo ad intervistare il cantante e il bassista dei Longobardeath che, dopo la ristampe del cd “Ki l’è dür” sono pronti a farci divertire a suon di metal in dialetto che racconta le storie di tutti i giorni che riprendono le tradizione lombarde che si stanno perdendo.

(Claudio Casero): Da dove vi è venuta l’idea di scrivere i vostri testi in dialetto lombardo?

(Ul Mik): L’idea mi è venuta perché a casa mia si parlava il dialetto e quindi ha sempre fatto parte di me; mi sono accorto che in giro per l’Italia nessuno era più interessato a parlare il dialetto e si parla solo l’italiano e a me piaceva questa bella pronuncia che fa capo alla lettera “Ü” e allora ho pensato che mi sarebbe piaciuto dare un “nuovo splendore” a questa lingua che sta diventando un po’ troppo arcaica. La passione per il metal l’ho sempre avuta e quindi ho deciso di unire i riff che mi piacciono con la lingua che mi è stata insegnata da bambino.

(Teo): Io non riesco a capire dove lui trovi tutte le idee per scrivere i testi; sembra facile scrivere delle canzoni in dialetto; la cosa non è così semplice perché rischi di fare cose che non vorresti, come andare sul demenziale che non è quello che non vogliamo.

(C.C.): Cos’è quindi quello che volete?

(U.M.): Il discorso alla base, oltre quello di tenere compagnia e quindi di essere in linea con la fratellanza che dovrebbe essere il simbolo della musica metal, è quello di mantenere intatte le tradizioni, il piacere dei ricordi di quello che è stato il nostro ambiente e la nostra terra; quindi oltre che fare un discorso di radici culturali, che trattiamo in maniera marginale, quello che più ci preme è parlare della vita che veniva fatta una volta nelle cascine e nelle osterie e anche nelle case di tolleranza che comunque fanno parte della vita passata (risata collettiva N.d.R.).

(C.C.): Qualcuno vi accusa di essere politicamente coinvolti, cosa ne pensate a riguardo?

(U.M.): Prendo subito le distanze da ogni coinvolgimento politico; premetto che ognuno di noi ha la sua opinione politica, tra l’altro spesso contrastante con quella di altri; a prescindere da ciò non è rilevante la mia idea politica perché la musica deve stare distante dalla politica e personalmente sono amico di tutti. Gradirei quindi che coloro che vengono a vederci mantengano questa linea di pensiero a prescindere da origini o punti di vista ideologici.

(T.): Noi usiamo il nostro dialetto senza pensare di essere peggiori o migliori di nessuno, rispecchia solo le nostre origini, quello che siamo e quello che siamo stati.

(U.M.): Per confermare ciò, tempo fa mi è stato chiesto se era nostra intenzione andare a suonare anche al di fuori della Lombardia; premesso che abbiamo cantato in dialetto per alcuni pezzi anche in Ungheria e in Polonia, adesso andremo a Catania e a Palermo a suonare come ospiti dei nostri amici Hatework e canterò “L’ass de picch”.

(C.C.): I vostri nuovi brani hanno avuto una decisa svolta dal punto di vista musicale, come mai è avvenuto questo cambiamento?

(U.M.): La scelta dipende da due motivi: principalmente perché era difficile far capire alla gente il contenuto del testo, visto che lo ritengo parte fondamentale delle canzoni; la cosa era complessa non solo per un problema di cacofonia perché il death/thrash che facevamo alle origini non era di facile assimilazione da parte di molte persone. L’altro motivo importante è dovuto ad un fattore d’aggregazione poiché non vogliamo che la nostra musica diventi solo un fenomeno di nicchia ma vogliamo coinvolgere più persone possibili e avvicinarle a questo tipo di tradizione e cultura; è quindi giusto che la forma musicale deve rimanere degnamente comprensibile. Oltre a ciò, io canto già in un’altra band che suona death/thrash e quindi mi sembrava inutile ripetermi con i Longobardeath.

(C.C.): Potete darci un’anticipazione del vostro prossimo cd?

(U.M.): Inizieremo la registrazione del nuovo lavoro in studio intorno al prossimo inverno; i pezzi sono già pronti e il titolo del cd sarà “Polenta violenta”; per chi è interessato si può ascoltare un brano sul nostro sito (www.longobardeath.tk) ovviamente registrato in maniera indegna perché noi facciamo delle cose indegne perché della tecnica a noi non importa niente; a noi interessa solo l’impatto, il messaggio, il divertimento e l’alcolismo. Quindi quel bel pezzo alcolico con tutte le magagne che ha vi farà divertire e sarà la titletrack, la “cansün principal” del nuovo disco e per il resto venite a vederci dal vivo così potrete avere un’idea più precisa di quello che ci sarà sul nuovo cd.

(C.C.): Cosa volete trasmettere al vostro pubblico?

(U.M.): Vogliamo trasmettere una cosa sola: divertiamoci in allegria visto che il mondo fa già cagare per tanti motivi. Da buon conoscente del metal estremo, sono arrivato al punto che il genere mi piace ma, a volte, è successo che il prendersi troppo sul serio ha portato a vedere il metal come una cosa legata a dei dogmi che alla fine non sono mai esistiti.

(T.): L’unica cosa che vogliamo quando ci troviamo sul palco è far divertire chi è venuto a sentirci. Ogni tanto farsi una bella risata non ti fa diventare di certo meno metallaro; divertirsi fa bene.

(C.C.): Qual è stata la cosa più divertente e la cosa più brutta che vi è successa durante i vostri concerti?

(U.M.) e (T.): (Risate fragorose N.d.R.) Sicuramente l’agilità da bradipo del nostro carissimo e amato chitarrista Ul Rob. Noi durante i nostri concerti andiamo in giro tra il pubblico, saliamo sui tavoli e via dicendo; una sera Ul Rob era più carico del solito, l’abbiamo avvisato di stare attento che c’era della birra sparsa sul pavimento del locale, ma lui ha iniziato a correre per il locale rimanendo poi lungo disteso sul pavimento. Di cose brutte non ce ne sono successe a parte qualche screzio con il batterista di un altro gruppo ma niente di importante.

(C.C.): I Longobardeath nascono nel 1993, come mai c’è stata una pausa di circa 10 anni?

(U.M.): Dal 1993 al 1994 ho sviluppato le idee che avevo; le parole sono sicuramente più piaciute dell’indegna musica che le accompagnava e qualche brano è rimasto nella mente della gente.
La pausa è dovuta a molti motivi; io sono andato a militare , quando sono tornato mi sono cimentato a cantare in inglese e ho continuato così. Per certi versi è stato un bene perché con tutte le altre band ho fatto una certa esperienza che mi ha fatto cambiare il modo di vedere certe cose.

(C.C.): Cosa ne pensante dell’ambiente underground del metal odierno?

(U.M.): A mio parere oggi il metal è rimasto vivo solo nell’underground; spesso capita che esistono band che hanno molte idee positive. L’importante della musica a livello di underground è che rimanga vivo lo spirito; non è necessario tanto che un gruppo sia originale, è molto più importante che una band creda fermamente in quello che sta facendo con tutta l’anima. Purtroppo a volte capita che un gruppo si perde nel pensare cosa fanno le altre band e a tentare alcune sorte di “boicottaggi” nei confronti degli altri; ovviamente la competitività è un’ottima cosa, il cercare di fregare in tutte le maniere gli “avversari”, non va di certo bene. Vedo in ogni caso più freschezza nell’underground; ho notato che per quel che riguarda le major lo spazio dedicato al metal spesso si riduce a poche “porcherie”, suoni patinati adatti solo a “metallari borghesi” se così si può dire. Il metallaro “delinquente” di una volta era abituato a degli ascolti estremi di un certo tipo; adesso non esiste più quel feeling che lega il tipico sound rozzo del metal, ormai in certi casi è diventato un bene di consumo. In conclusione il metal nell’underground è vivo più che mai; l’importante è che ci sia più collaborazione tra le barie band.

(T.): Il problema dell’underground italiano è che ci sono in circolazione molti gruppi indubbiamente bravi, ma la gente non ha voglia di spostarsi per andare a vederli suonare. Quindi spesso capita che organizzi un concerto e ti trovi a suonare davanti a 15 persone e trovi quelli che non sono venuti che si lamentano che non ci sono concerti in giro. Bisognerebbe rientrare nella mentalità che non si va a vedere solo i gruppi cult; ci sono una marea di gruppi validi anche in Italia. Per quel che riguarda la scena dei gruppi blasonati, ultimamente ci si sta movendo molto a trend: c’è stato il periodo in cui tutti ascoltavano power metal, adesso sembra che ascoltino tutti thrash, tra qualche mese magari ritornerà di moda il black; sostanzialmente è cambiato molto lo spirito.

(C.C.): Cosa ne pensate delle sperimentazioni in ambito metal?

(U.M.): La sperimentazione vera e propria, per quel che riguarda il metal, l’ho vista di più negli anni ’90; in quegli anni effettivamente c’era l’idea di mettere assieme più stili e generi arrivando purtroppo a saturare la cosa creando così accozzaglie di riff non meglio definiti. Adesso come adesso mi sembra di vedere che ci sia poco interesse nell’apprezzare le nuove proposte soprattutto perché manca il ricambio generazionale nelle band emergenti. A me sembra di vedere che la situazione sia un po’ morente perché i capisaldi del genere sono quelli che lo erano già 20 anni fa. Più che una sperimentazione vedo una conferma delle varie band storiche che hanno fondato ogni singolo genere.

(T.): Io ho pareri contrastanti per quel che riguarda la sperimentazione nel metal, diciamo che dipende da come viene effettuata; ti faccio un esempio: “Into the pandemonuim” dei Celtic Frost è un disco quasi completamente sperimenta ma è sicuramente un ottimo lavoro. Se invece parliamo di gruppi che vogliono per esempio unire il rap al metal, a me la cosa non piace e non interessa più dal momento che non la reputo più metal. C’è modo a modo di sperimentare e di evolversi nella musica e non sempre le due cose vanno d’accordo.

(C.C.): Cosa significa per voi il termine “true metal”?

(U.M.): Se la mettiamo sulla terminologia per me non vuol dire niente; per esempio se paliamo di old black metal vuol dire che sono diventato “old” anche io perché prima c’era solo il black metal dei Venom. Le definizioni musicali lasciano un po’ il tempo che trovano; sostanzialmente una definizione viene data dal primo giornalista che riesce a denominare un filone musicale. Comunque se qualcuno suona con attitudine e la giusta spontaneità quello in cui crede, a questo punto si può parlare di “true metal”

(T.): È difficile dare una definizione di “true metal”; come mi hanno detto tanti artisti che ho avuto la possibilità di intervistare, per ognuno “true metal” è la musica che egli suona. A mio parere “true metal” è quando suoni quello che ti piace, quello che vuoi e lo fai perché sei convinto fregandotene di quello che dice la gente e del fatto che vendi o meno i cd.

(C.C.): Avete programmato delle date nel prossimo futuro?

(U.M.): Al momento stiamo valutando delle proposte; si discute per quel che riguarda una data a Torino, ne abbiamo già in programma una a Vedano Olona al bar “Fico d’india” che fa riferimento appunto ai Fichi d’India il 19 maggio. Abbiamo in ballo alcuna proposte sempre in zona tra Varese e Milano e alcune feste della birra. Per qualsiasi informazione comunque visitate il nostro sito dove verranno aggiornate le nostre date.

(C.C.): Com’è stata l’accoglienza del pubblico durante i vostri concerti?

(U.M.): Direi più che buona, in certe occasioni non ci credevo nel vedere il macello che veniva fuori mentre noi suonavamo; dopo aver rimesso in piedi il “circo” dei Longobardeath è stato un continuo crescendo. La gente che viene a vederci rimane coinvolta nello show, canta le nostre canzoni e si diverte.

(C.C.): Qual è il vostro sogno per i Longobardeath?

(U.M.): Quando abbiamo deciso di partire, l’idea era quella di andare in giro a suonare per divertirci e quindi stiamo già realizzando il nostro sogno. Se devo guardare i miei interessi in ambito metal, una volta che ho inciso qualche cd e sono salito su qualche palco decente in compagnia di tante band che suonano il nostro stesso genere, io sono già soddisfatto. L’ideale sarebbe una bel tour Castellana, Busto, Legnano, Milano, Lurate Caccivio, Lodi, Pavia (risate N.d.R.).

(T.): Quello che vogliamo noi è suonare in giro il più possibile, divertirci e far divertire chi ci viene a vedere; l’importante è trasmettere il nostro dialetto a più persone possibili. Il tutto comunque è nato perché ci divertiamo a farlo.

(C.C.): Dite tutto quello che volete ai nostri lettori.

(U.M.): (inizia a cantare una canzone popolare lombarda…N.d.R.) Come dico sempre “La pülenta e ul vin ross a fan ben ai oss!!!” e “Lassa sta la cücaina parchè la ta ruina!”; comunque divertitevi, veniteci a vedere dal vivo che vi divertirete un sacco.

(T.): Io volevo fare un particolare saluto alla nostra fan siciliana che si chiama Luna, che ci ha visto online su Rosso Alice e ha detto che siamo bravissimi e che si è divertita molto nel vederci suonare.

Aspettando quindi l’uscita del nuovo “Polenta violenta” non ci resta che andare a divertirci ai concerti dei Longobardeath in giro per la nostra penisola