Megadeth: Shawn Drover parla della passione per il thrash
Musicradar.com ha recentemente pubblicato un’intervista rilasciata da Shawn Drover (Megadeth), in cui l’artista sviluppa il concetto di cosa implichi suonare thrash metal. Il fatto che Drover fosse dichiarato fan dagli albori della scena thrash fino al successo con i Megadeth, lo rende la persona perfetta per guidarci attraverso le nuance, i cambiamenti e i requisiti richiesti da questo genere, paragonabile alla potenza di un movimento tellurico, che ha cambiato per sempre il modo di intendere il metal drumming.
Ecco alcuni estratti dell’intervista:
M.: Cosa ne pensavi del thrash non appena ha iniziato a svilupparsi?
Drover: “Ovviamente l’uso della doppia cassa e il materiale eseguito a tale velocità sono stati caratterizzati con precisione nel momento in cui si cominciò a parlare di thrash. Dave Lombardo (Slayer), Gar Samuelson (il precedente batterista dei Megadeth), Lars Ulrich (Metallica) e Charlie Benante (Anthrax), sono stai i quattro pionieri dello stile. Hanno creato la musica più ‘heavy’ di tutto il pianeta.”
M.: Quali requisiti dovresti avere per realizzare questo stile alla batteria?
Drover: “Ci vuole un sacco di pazienza e tantissima pratica. Non puoi dire soltanto ‘Ora sto suonando a 160 bpm’, che allora era un tempo incredibilmente rapido. E’ sempre un’ottima cosa fare pratica con l’ausilio di un metronomo. Oggi non è nemmeno una spesa eccessiva. Se stai suonando a quella velocità, vuoi mantenere la regolarità, perchè più suoni rapidamente, e più è complesso per il chitarrista e il bassista suonare tutte quelle note fuori dal comune. I Megadeth ne sono un gran esempio, ci sono davvero tante note che si susseguono. Se suoni troppo velocemente, verrà fuori una vera strage.”
M: Come pensi si sia evoluto il genere negli ultimi 25 anni?
Drover: “In questo periodo le band stanno suonando a ritmi talmente elevati da risultare sbalorditivi. Non riesco nemmeno a immaginare come fare una cosa del genere. Non ne ho neanche interesse, perché non è quello che faccio, ma tanto di cappello a coloro che lo fanno. Questi ragazzini che suonano in band giovani e recenti devono esercitarsi senza ombra di dubbio un sacco di tempo in più rispetto a quello che faccio io!“
L’intera intervista al seguente indirizzo.