Li avevamo persi di vista da un po’ di tempo. Per la precisione dal 2005, anno di uscita di “Stainless”, il loro terzo album in studio. Certo, nel frattempo c’eran stati un mini promozionale di tre brani e il video di “King of Terror”, ma l’impressione generale era di sostanziale silenzio e immobilità, tanto da far pensare ad alcuni che, ormai, i Mesmerize si fossero praticamente sciolti, anche se non ufficialmente. Eccoli, invece, riemergere dalle nebbie del tempo, come una sorta di araba fenice che rinasce dalle proprie ceneri. Conoscendoli da tanti anni, e avendone seguito l’evoluzione musicale fin dagli albori, non potevamo lasciarci sfuggire l’occasione per dare un ascolto in anteprima al loro nuovo album: “Paintropy”, in uscita a fine Aprile per Punishment 18 Records.
Prima del giorno dedicato all’ascolto, naturalmente, abbiamo ricevuto alcuni comunicati stampa che illustravano, per sommi capi, il nuovo disco. Come ovvio, in simili dichiarazioni pubblicitarie, non si lesinavano i complimenti, ma una cosa, in particolare, è riuscita ad attirare la nostra attenzione. Vi si asseriva, infatti, che i Mesmerize avessero puntato su dei brani più diretti, in rottura con il loro stesso passato.
Ora, chi conosce il gruppo, sa che i Mesmerize non son mai stati un gruppo particolarmente complicato. La bellezza di molte delle loro canzoni era proprio quella di avere dei ritornelli così orecchiabili che ti ritrovavi a cantarteli tra te e te senza neanche accorgertene, dopo solo un ascolto. Motivi capaci di stampartisi in testa per giorni, resistendo a qualsiasi tentativo di liberartene.
Un simile punto di partenza, quindi, poteva anche portare a pensare piuttosto male. Nel caso del sottoscritto ha avuto l’effetto di far immaginare il peggio, cioè canzoni rese fin troppo semplici, se non addirittura banali.
A volte, però, è bello essere pessimisti, perchè si può rimanere sorpresi e deliziati quando le proprie aspettative vengono completamente ribaltate.
Nel caso di “Paintropy”, lo diciamo subito, “più dirette” non significa tracce più semplici, ma brani che sono dei veri e propri pugni in faccia all’ascoltatore. La metafora della fenice con cui abbiamo aperto questo report, infatti, non è per nulla casuale. I Mesmerize sembrano davvero risorti dalle proprie ceneri, tanto da suonare in tutto e per tutto come un gruppo diverso, nuovo… e dannatamente incazzato.
Forse era ovvio che fosse tutto diverso, in fondo otto anni son un bel salto. La gente cambia, cresce, mette su famiglia e fa dei figli. Cambiano gli interessi e il modo a cui si guarda alla vita. Se certe evoluzioni nel sound dei gruppi quasi non si notano, quando escono un disco dopo l’altro a distanza di uno o due anni l’uno dall’altro, risulta subito evidente con uno spartiacque così ampio. Lo stesso dicasi per quanto riguarda i testi, che son passati dal trarre ispirazione da fonti esterne (come film, libri o fumetti) alla quasi totale interiorità.
Ma diamo uno sguardo più ravvicinato ai nuovi brani.
Il disco viene aperto da “It Happened Tomorrow” che forma un’accoppiata con “2.0.3.6.” subito devastante per l’ascoltatore. Nonostante proprio la prima canzone sia una di quelle composte a ridosso dell’uscita di “Stainless” e, quindi, idealmente più vicina al passato della band, quasi a dover fare da anello di congiunzione tra passato e presente, in realtà l’effetto è abbastanza spiazzante. Le chitarre graffiano come mai prima d’ora, pescando abbondamente anche nel thrash americano, basso e batteria assicurano una sezione ritmica assolutamente tellurica, mentre la voce di Folco si presenta aggressiva e a tratti quasi irriconoscibile. Solo nei ritornelli si vede un po’ di più dei Mesmerize a cui eravamo abituati, con la voce che si alza e la melodia che riprende il sopravvento drappeggiando motivi che restano subito in mente.
Brano dopo brano la ricetta non cambia in maniera sostanziale, dimostrando anche una certa ricerca di uniformità stilistica e di suoni in tutto l’album (dopo esser stati spesso accusati dalla critica di essere dispersivi e di presentare canzoni troppo diverse l’una dall’altra). Non viene, però, mai a mancare la simpatia e la capacità di sdrammatizzare che ha sempre contraddistinto il gruppo. Ad esempio in una traccia come “Monkey in Sunday Best” in cui, nonostante la serietà del tema affrontato, possiamo sentire i musicisti imitare delle scimmie in un breve frangente.
Come si diceva, la ricerca di uniformità è stata uno degli imperativi che i Mesmerize si son dati nella realizzazione dell’album. Ciononostante, come ovvio, qui e là riemergono ancora brani o passaggi che sembrano più legati al passato della band per la struttura o certe melodie o linee vocali. Allo stesso tempo, però, vi sono anche canzoni che sembrano quasi anticipare quello che sarà il futuro del gruppo. E’ questo il caso di tracce come “Paintropy”, probabilmente la song più “estrema” (nel senso di distante da quanto i musicisti erano abituati a fare) che sia mai stata sfornata dal combo.
Canzoni che, come nel caso della appena citata titletrack, non solo ci danno una nuova visione di ciò che i Mesmerize sono capaci di fare, ma ci sembrano una ottima assicurazione per il futuro e la direzione che i musicisti hanno deciso di intraprendere da adesso in avanti.
Una disamina di ciascun brano sarebbe ragionevolmente impossibile dopo un solo ascolto, ma sarebbe ugualmente da evitare per non rovinare agli ascoltatori un po’ di quell’effetto sorpresa che si fa sempre vivo ogni volta che si mette un nuovo CD nel lettore dello stereo. Ciononostante ci sentiamo di spendere ancora qualche parola almeno per la traccia (quasi una bonus track) che chiude l’album. Non si tratta di una canzone dei Mesmerize, come ci si potrebbe aspettare, bensì di una cover di “Promises” dei Cranberries. Come il gruppo stesso ci ha spiegato, si tratta di una song che già da tempo suonano in concerto e che ottiene sempre un ottimo riscontro da parte del pubblico. Chiaramente non avrebbero mai potuto fare una copia uguale all’originale, che avrebbe anche stonato non poco con il sound del resto del disco, da lì la scelta di riarrangiarlo per adattarlo al mood degli altri brani. Il risultato è un pezzo tiratissimo che è una vera e propria sberla in faccia all’ascoltatore, giusto per chiudere in bellezza. Come Folco ci ha confessato, dal suo punto di vista è stato forse un peccato riservargli l’ultima posizione della tracklist, ma a nostro avviso ci sta benissimo, perchè chiude davvero l’album col botto.
Prima di concludere, due parole sulla produzione.
Le registrazioni di “Paintropy” si sono svolte presso gli Octopussy Studios di Andrea Garavaglia, batterista del gruppo, così come il mixaggio. Già per “Stainless” il procedimento era stato lo stesso, ma, come ampiamento già descritto, il prodotto finale è andato in tutt’altra direzione. La scelta è stata dettata non tanto dalla volontà di risparmiare, quanto di avere il più assoluto controllo sui suoni. Soprattutto si è cercato di evitare un certo effetto “nord-Europa” che, soprattutto sulle chitarre, avrebbe affilato i suoni, che invece si è voluto preservare grassi e pieni. Per quanto riguarda il mastering, invece, il gruppo si è rivolto all’House of Audio di Karlsdorf, in Germania.
Come ovvio, dopo un solo ascolto, si tratta di una valutazione e una descrizione che non vogliono (e non possono) essere definitive. L’effetto complessivo, però, è stato davvero ottimo. “Paintropy” ci ha restituito un gruppo che sembra essere in splendida forma e che ha saputo, per certi versi, reinventarsi. Il nuovo corso dei Mesmerize ci sembra possa essere il miglior modo per questi musicisti di dire qualcosa di nuovo e, al contempo, di non tradire sé stessi e ciò che sono stati. Una splendida notizia per tutti gli appassionati del gruppo e per chi vorrà provare a dargli una possibilità, magari dopo aver letto questo articolo.