Naer Mataron (Jonathan ‘Asmodeus D.D.’ Garofoli)
Dal 1994 i Naer Mataron sono una delle band leader nella scena black metal ellenica. Solida realtà underground, ha raggiunto il suo apice con l’album “Praetorians” del 2008 rilasciato dalla label Season of Mist. Forti della presenza in line-up del noto e poliedrico innovatore del movimento avant-garde europeo, Vicotnik (Code, Ved Buens Ende, Manes, Aphrodisiac, Dødheimsgard), i cinque sono reduci da un importante tournée sudamericana che li ha visti headliner in più di quaranta date. Nostro interlocutore di questa intervista è l’italianissimo batterista Asmodeus Draco Dux (Azrath-11, Infernal Angels, Entreat, Melencolia Estatica, Absentia Lunae) che ci ha raccontato del viaggio nelle terre del Sudamerica, della realtà musicale underground e di tanto altro partendo, prima di tutto, dall’ingaggio in formazione…
…è capitato quasi per caso. Avevo tra i miei contatti MySpace il batterista Warhead degli Angelcorpse che al tempo cercava qualcuno che lo potesse sostituire nei Near Mataron. Aveva visto i miei video pubblicati e, con grande piacere, m’ha fatto presente che avrebbe candidato il mio nome come possibile sostituto. Così, dopo circa un mese, la band mi ha richiamato confermandomi l’ingaggio a tempo pieno. Inizialmente rimase l’unica riserva sul fatto che potessi essere una ‘testa calda’. Loro avevano prima di tutto la necessità di portarsi in formazione un musicista professionale e rispettoso del lavoro. Così sono andato a trovarli, ci siamo conosciuti e abbiamo programmato il nostro primo tour europeo, vero banco di prova che altro non ha fatto che confermarmi definitivamente alla batteria.
[Johnatan ‘Asmodeus D.D.’ Garofoli al lavoro in una data del tour]
Che città avete toccato nel corso del tour europeo?
Guarda, se ben ricordo abbiamo suonato in Polonia, Ungheria, Croazia, Slovenia, Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Olanda. Ma ti ribadisco che, più che concentrarsi sulla riuscita di queste date, la band voleva da me dei riscontri in termini di professionalità, tenuta e affidabilità. Ed è andata bene perché sono rimasti molto soddisfatti.
Finito il tour, come vi siete organizzati per l’imminente futuro?
Beh, siamo tornati a casa, io in Italia, loro in Grecia. Dopo un mese e mezzo circa, ecco che m’arriva un’altra importante occasione. Mi chiama Vicotnik e mi rende noto che è in programmazione una tournée americana della durata di due mesi. Non mi sembrava vero perchè perchè questa per un musicista è una grande occasione. Passa qualche giorno e mi ricontatta la tour manager chiedendomi se ero veramente sicuro di voler intraprendere questo viaggio. Si trattava di mettere in dubbio il posto di lavoro e di sapersi organizzare per due mesi fuori casa. Allora ho pensato: ‘ho investito diciotto anni della mia carriera per arrivare a questo punto e non me lo devo far scappare…’. Naturalmente ho risposto affermativamente.
Proiettiamoci allora al giorno della partenza: aspettative, paure, speranze…
Siamo partiti il 27 settembre, però mi sono trasferito in Grecia qualche giorno prima per organizzare il tutto. Emozioni? Da una parte c’era un’enorme gioia, curiosità ed entuasiasmo, dall’altra incertezza. C’era tensione e tanta voglia di far bene. Sapevamo che più di qualcuno ci conosceva in Sudamerica e volevamo far in modo che tutti i nostri fan uscissero soddisfatti dai locali che programmavano le nostre serate. Durante il viaggio ci siamo domandati se avremmo effettivamente suonato tutti quei concerti. Shadow Production, l’agenzia che ha promosso l’intero tour, ci aveva confermato tutto il programma, ma noi avevamo paura che non fosse tutto vero. Non potevamo credere d’aver riempito tante date.
Beh, ulteriore chance per farsi conoscere ancora di più allora…
Certo, sopratutto abbiamo dato prova di professionalità suonando in ogni location al massimo, superando le attese difficoltà del momento.
Prima parlavi di fan al seguito. Alla luce dei fatti, siete soddisfatti delle presenze sotto il palco?
Dovessi paragonare il pubblico europeo e quello sudamericano allora: non c’è paragone! Laggiù i ragazzi adorano l’underground. Mi riferisco naturalmente al black metal. In Europa la gente ha perso il gusto dell’underground nel momento in cui ha concepito il black metal stesso come musica e non come spirito e devozione. Purtroppo ciò ha trascinato le ispirazioni black metal a livello di business, business che ha assonato coloro che si nutrivano dell’energia di questa corrente estrema.
Avevate band di supporto durante i concerti? Ci racconti qualcosa della scena underground?
Certo, ogni sera avevamo qualcuno che ci apriva lo show, e ti dirò di più. A mio modo di vedere le black metal band underground del Sudamerica rappresentano la nuova frontiera del black, in generale della musica estrema. E mi riferisco anche a gruppi devoti a generi quali il thrash metal e il death metal. Là sopravvivono ancora le ‘zine cartacee. Queste sono un veicolo di trasmissione e di sopravvivenza dell’underground che non ha pari in termini di qualità dell’informazione. Ti parlo di ‘zine cartacee scritte a mano, dei veri e propri manifesti. E quando sei legato al ‘vero’ partecipi con il cuore e non solo per far casino.
Queste band avevano davvero l’onore a suonare con noi. Non cazzate. Questi ragazzi si facevano chilometri e chilometri per farsi notare di supporto. Laggiù non ci sono fighette, ma gente che ci crede. E non hanno pregiudizi, anzi hanno tanto rispetto per la musica europea.
[I Naer Mataron con la nuova formazione]
Sono tanti anni che ascolti questo genere. Se dovessi mettere in relazione il black metal sudamericano a quello di stampo norvegese, o scandinavo in genere, quali sono gli elementi caratterizzanti l’uno e l’altro?
Ti darò una risposta personale. Per quanto sono riuscito a capire devo dirti che il black metal sudamericano nasce da una costola di quello europeo. Mentre in Europa si sono aperti tanti filoni lirici, laggiù ogni testo è improntato sul satanismo. Sarebbe infatti difficile parlare di ghiacciai, di temi pagani o di leggende nordiche. Ti parlo comunque di un satanismo devoto alla magia nera e all’esoterismo. È un modo di intedere il satanismo in maniera ‘sudamericana’ e la loro musica, per tal motivo, è molto sanguigna, ferale, corrosiva e tagliente.
Quale degli Stati che hai visitato ha proposto le migliori realtà underground?
Guarda, sono rimasto particolarmente colpito dalle realtà musicali cilene. Sopratutto dal punto di vista compositivo. Credo che siano un po’ più avanti degli altri perchè il Cile è più ricco degli altri e quindi i ragazzi possono investire maggiormente nel tempo libero e nell’acquisto di dischi da tutto il mondo che, naturalmente, forniscono spunti di riflessione per composizioni più ricche e varie rispetto l’ordinaria ferocia che accomuna la maggior parte dei gruppi dell’America latina. Ad esempio quelli colombiani ed ecuadoregni hanno un’attitudine molto vicina al raw black metal. Le band cilene sono invece più progressive, oscure ed intimiste. A tratti possono riportare alla mente qualche produzione più ricercata del suolo statunitense.
Hai qualche nome da consigliare per l’ascolto ovvero qualche band che ti ha particolarmente impressionato?
Sì. Ad ogni concerto qualche ragazzo o qualche band ci ha lasciato dei demo, mezzo di trasmissione della cultura che personalmente apprezzo tantissimo perchè ti aiuta a capire come evolve il movimento underground. Farti qualche nome? Sono rimasto favorevolmente colpito dai colombiani Luciferian e Iblish, prima che bravi musicisti, davvero bravi ragazzi con cui abbiamo mantenuto rapporti anche dopo il tour. In Ecuador siamo stati supportati dai Sacrilegio, una band che proviene dalla città di Quito. Questi sono uno di quegli esempi di puro raw black di cui parlavamo prima. Bravissimi poi i cileni Perpetuum, autori di una sorta di avantgarde impreziosito da idee di tutto rispetto e i connazionali Animus Mortis per cui ho un debole, lo ammetto! In Perù abbiamo trovato solo band dal sound old-school; non saprei citarti nulla di particolarmente significativo.
Passiamo alle location. Come organizzano gli eventi in sudamerica?
La differenza tra come vengono organizzati gli eventi nei Paesi sudamericani e in Europa è un aspetto che cade subito all’occhio. Qui da noi è prassi stipulare dei contratti, laggiù non si firma mai nulla. Si procede per conoscenza, sulla fiducia. Tante serate vengono organizzate una settimana prima. Tanti day-off sono improvvisati al momento. Non c’è molta differenza tra underground e professionismo ovvero, l’aspetto organizzativo dei concerti non differenzia realtà importanti da meno importanti, chiramente non parliamo di Metallica o Iron Maiden. E questa ‘elasticità’ organizzativa può incidere anche in maniera negativa in quanto ti puoi aspettare uno show cancellato all’ultimo momento, sopratutto per motivi legati all’ordine pubblico e ai disordini sociali. A volerti trasmettere ciò che abbiamo percepito è che, più lo Stato è socialmente stabile, più risulta facile l’organizzazione e la back-line. In Ecuador abbiamo suonato in un posto piccolissimo, mentre in Cile ci siamo esibiti dove s’era esibita anche Madonna, un posto davvero emorme e sovradimensionato rispetto l’evento della nostra serata. Per noi non è stato un problema, ci siamo sempre adattati da bravi professionisti.
[Il manifesto del tour sudamericano]
Complessivamente i concerti sono stati un successo oppure avete avuto incontrato delle difficoltà?
Nel complesso è andato tutto bene. La maggior parte dei concerti non è stata viziata da problemi tecnici e organizzativi. In qualche occasione ci siamo adattati, come nel caso che ti ho già citato del piccolissimo locale in Ecuador. Ma sai, quando vedi che le persone si fanno in quattro per far sì che l’evento funzioni alla grande, allora non puoi far altro che onorarli e dare il massimo, cercando il top anche dalle situazioni che presentano qualche piccola difficoltà. Difficioltà che con un po’ di buona volontà superi senza particolari patemi d’animo.
La data più riuscita e quella meno riuscita…
Non te lo saprei dire. Ogni data ha avuto le sue peculiarità ed è stata da noi vissuta come una serata speciale. Posso invece dirti che il concerto più devastante è stato quello tenutosi a Bogotà dove, durante lo show ,un ragazzo si è arrampicato sull’impianto luci e l’ha fatto crollare. Un’altra data che non dimentico è quella di Loja, in Ecuador, dove la gente si è picchiata da orbi.
Bene, veniamo agli argomenti gossip. Parliamo delle vostre balordaggini post-concerto…
Beh, ce ne sarebbero da raccontare! Era bellissimo stare coi ragazzi. I Near Mataron detestano le fighette che si atteggiano a rock-star. A noi piace il contatto con il pubblico. Adoriamo bere birre con loro. Scambiare quattro chiacchere, sentire direttamente dalla loro voce come abbiamo suonato. Se abbiamo fatto schifo o se sono rimasti soddisfatti. Ogni after-party vissuto così è il massimo per chiudere bene una grande serata di metal: vere serate vissute da amici e con gente semplice.
[La band si rilassa alle Terme di Santa Rosa di Cabal, Colombia]
So che l’ambiente che ti circonda stimola la tua creazione. Hai avuto particolari spunti di ispirazione dai paesaggi dell’America latina?
Ne abbiamo parlato tante volte e, come sai, sono molto influenzato da tutto ciò che mi circonda, ambiente geografico compreso. Mi ritengo una persona assai sensibile al fascino della natura. Le distanze da coprire giornalmente erano impegnative ci hanno portato a contatto con panorami e distese che raramente riesci a vedere qui da noi. Ho avuto quindi l’occasione di ammirare deserti illuminati dalla luna e dalle stelle che, per la particolare inclinazione della terra, apparivano tanto vicine come mai m’era capitato di vedere. Osservando tutto questo sono rimasto spesso ammutolito e ho avuto la conferma che certe esperienze non ti cambiano solo professionalmente, ma anche umanamente. Sembra banale o una frase fatta, ma dopo questo tour credo di averne capito il vero significato.
[Alcune foto scattate nei Paesi visitati durante la tourné]
Chiuso il discorso tour: come è stato il ritorno?
Il ritorno è stato traumatico. Ho lasciato parte di me in quei posti. La mia memoria è ricca di nuove esperienze, amicizie, di ritmi giornalieri. Per me il ritorno è stato triste, davvero. Sarei stato là una vita. Certo, mi ha fatto piacere rivedere la mia famiglia, i miei amici e gli affetti più intimi.
Come sei rimasto con la band? Puoi anticiparci qualcosa sui progetti futuri?
Sono già molto contento che la band ha deciso di confermarmi a titolo definitivo. Sono quindi il nuovo batterista in pianta stabile dei Naer Mataron; entrare in una band sotto contratto aiuta tanto anche dal punto di vista delle certezze del futuro [la band è sotto contratto con Season of Mist]. Ci stiamo già confrontando con Vicotnik per la stesura dei nuovi pezzi e uno di questi è praticamente già pronto. Quindi al momento siamo in fase di songwriting.
Qualche anticipazione sul nuovo disco…? Lascio poi a te i saluti ai nostri utenti che hanno letto questa intervista…
Sì, ti posso dire che il seguito di “Pretorians” sarà un concept album. I temi saranno incentrati sull”ode alla morte’ e la durata sarà nettamente inferiore ai minutaggi che avevano caratterizzato i due capitoli precedenti. Ci sarà anche un sacco di thrash metal. Molte sezioni ritmiche potranno ricordare qualcosa di un certo “Reign in Blood” degli Slayer. Siamo alle prese con un sound molto, molto diretto. Ma non ti dico altro…
[Jonathan ‘Asmodeus D.D.’ Garofoli in una foto promozionale]
Voglio ringraziare di cuore chi mi ha supportato in tutti questi anni e chi ha creduto veramente in me con il cuore. Ringrazio quindi anche tutti i lettori di truemetal.it che hanno semplicemente letto questa intervista, lo faccio sinceramente. Grazie ragazzi. Ci vediamo in giro!
Nicola Furlan