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Pain of Salvation (Daniel Gildenlow)

Di Nicola Furlan - 22 Maggio 2007 - 0:00
Pain of Salvation (Daniel Gildenlow)

‘Unire musica e lyrics significa farle comunicare nella stessa lingua in modo tale che sposino lo stesso ritmo, abbiano la stessa sincronia e che diano, combinate, una vasta gamma di colorazioni del concetto che nel complesso si vuole esprimere’
(Daniel Gildenlow)

Primo pomeriggio grigio e piovoso quello che mi ha visto dirigermi al New Age di Roncade (TV) per intervistare Daniel Gildenlow, voce e chitarra dei famigerati e controversi Pain of Salvation. Mi presento puntuale alle 14:50 e, sebbene l’intervista sia cominciata con leggero ritardo (per cause non dipendenti dalla volontà della band), devo constatare gentilezza e cortesia da parte del tour manager e Daniel stesso. Il singer si presenta rilassato con cappuccino caldo in mano e, in un clima piacevole e disteso, l’intervista ha inizio. Avrei discusso per ore data l’affabilità del personaggio in questione cui va davvero tutta la mia stima per cortesia e professionalità. Ma veniamo al succo della conversazione.

Ciao Daniel. Intanto complimenti per “Scarsick”, come sempre non si sa che aspettarsi da voi. Personalmente non credo esista stimolo più grande del vivere un’attesa trepidante per un nuovo lavoro che possa lasciarti a bocca aperta. Come vi rappresenta questo disco?

Grazie mille! Mi fa piacere quando ci ascoltate col cuore. Mesi fa in un intervista qualcuno mi ha chiesto quanto di se stessi bisogna mettere nella propria musica. Ho risposto che un livello accettabile sarebbe riuscire a mettere tutto se stesso. Più tu riesci in questo più la musica cambierà con te con cadenza costante. Credo che se nella vita hai la mentalità aperta per relazionarti con tutto e tutti allora cambierai con essa. La stessa mentalità poi costituirà un nuovo processo creativo che ridefinirà il modo di comporre, giorno dopo giorno, anno dopo anno. Per me è diventato quasi un processo naturale variare la mia musica, quasi fosse ormai una dedizione non volermi ripetere. Non che mi sforzi al cambiamento… preferisco semplicemente pensare che venga da un desiderio naturale. Io ci provo…

Quanto può essere pericoloso cambiare in maniera radicale da un disco all’altro? La gente è secondo te in grado di accettare risvolti così radicali?

Certamente. Forse solo per il marketing potrebbe essere importante non discostarsi da uno standard, più che altro per previsioni di vendita. Se “One Hour By the Concrete Lake” vende allora col capitolo successivo si vuole sentire un altro “One Hour By the Concrete Lake”, è normale. Il mio invece è un viaggio, non un circolo vizioso e penso che la maggior parte dei fan apprezzi questo e lo abbia capito ormai. Loro hanno acquistato un biglietto per un viaggio nella salvezza e credo che questo viaggio porti al luogo dove tutte le cose cambiano forma col tempo.

Torno al vostro ultimo studio album. E’ stato complesso far convivere le tematiche forti alle musiche più rilassate e viceversa?

Non c’è una risposta vera e propria. Unire musica e lyrics significa farle comunicare nella stessa lingua in modo tale che sposino lo stesso ritmo, abbiano la stessa sincronia e che diano, combinate, una vasta gamma di colorazioni del concetto che nel complesso si vuole esprimere, come se facessero parte della stessa burrascosa onda. Il tutto deve fluire all’unisono con energia.

Mi puoi fare un esempio concreto?

Allora. Un esempio di tale sincronia è Disco Queen, canzone contrastante che investe e sbatte l’ascoltatore alla deriva, ma lo fa cadere in piedi e lo rende consapevole di certi aspetti della vita. Questa è comunque la sensazione che si ottiene da tutte le cose contrastanti perchè danno due tipi di messaggio che spesso si fondono in un solo. Ti emozioni nel momento in cui capisci questa dualità. E’ la forza di questi messaggi che appassiona. E’ come in un film d’orrore quando per spaventare usi la figura del clown. Orrore e divertimento operano in direzioni differenti determinando così un messaggio molto forte. E’ per questo che non mi piace molto l’idea di realizzare album legati gli uni agli altri. Si perderebbe la magica abilità di portare i propri cambiamenti in musica e le propire esperienze esistenziali del periodo verrebbero messe da parte perchè bisognerebbe andare a ripescare il proprio passato. Ed il tempo che passa per fortuna tende a smorzare certe sensazioni. Se passano troppi anni la cosa diventa improponibile e ti ritrovi a giocare con le canzoni senza conferire una vera identità ai contenuti del disco. Se non avessimo ragionato così non sarebbe mai nato “Be”.

Interessante quello che hai detto, davvero. Colgo la palla al balzo e ti domando: quanto è stato difficile mettere in scena “Be”? (Be – Original Stage Production [DVD] n.d.r.)

E’ dipeso tutto dall’aiuto della gente che ci ha lavorato sopra. C’erano tante di quelle idee sul come rappresentarlo che non hai idea (ride n.d.r.) e non sempre è una fattore favorevole perchè hanno anche determinato molte incertezze. Poi non ti dico la continua ricerca dell’equilibrio tra budget a disposizione e possibili soluzioni da adottare. E qui è colpa mia perchè purtroppo non ho limiti alla mia creatività (risate generali n.d.r.)…a questo punto quello che mi ha detto “stop!” non è stato un compagno di team, ma il preventivo stesso (risate generali n.d.r.).

Come sono stati studiati i suoni?

Te lo stavo per spiegare. Un altro fattore di difficoltà incontrato è stato l’acustica del posto perchè non sapevo come avrebbe reso in sede live. Non parlo di qualità della location sia ben inteso, ma di come sarebbe stato percepito il nostro lavoro con una determinata acustica. Ci tenevo che la gente ne godesse a 360°, anche perchè volevo sentissero il suono dell’acqua e tutto ciò che era fondamentale dettaglio della nostra prestazione. Per me è molto importante curare la scena. So che non si può sempre fare le cose perfette, ma tutto deve essere progettato perchè lo show gratifichi chi ascolta. Mi ricordo che una volta abbiamo fatto i salti mortali per suonare bene in quanto la location era davvero molto stretta. Mi sono anche fatto male ed i tecnici hanno lavorato come pazzi nel retropalco. La gente però ha apprezzato.

Cambio discorso e torno a “Scarsick” perchè il discorso di prima mi ha incuriosito molto. Da che punto di vista guarda il mondo “Scarsick”? O se preferisci da che punto di vista guarda il mondo la musica dei Pain of Salvation?

E’ una domanda difficile e giusta, ma provo a risponderti. Premessa: onestamente sento ogni album come il mio migliore album, non mi piace pensare che uno sia la continuazione dell’altro. Come ti ho detto prima sono stati i momenti della vita che hanno dato l’input per la realizzazione del disco. Come tale ognuno di essi acquisisce e trasmette qualcosa a seconda del momento in cui è nato.
Se guardi le copertine degli inizi della nostra carriera capisci che stavamo guardando temi da un punto di vista globale. “Scarsick”, invece ha una prospettiva che mette a fuoco l’intimità degli individui che sono una parte di questo paesaggio e che lo caratterizzano nella sua globalità. Con “Scarsick” infatti ci siamo mossi nel senso opposto fino a che non abbiamo riottenuto il medesimo punto di partenza, dove il singolo rappresenta di nuovo l’umanità intera.

Ed i capitoli intermedi che ruolo hanno avuto in tal senso?

Una fondamentale tappa evolutiva leggibile la trovi soprattutto tra “Entropia” e “Remedy Lane”. Il viaggio che porta dal debut album a Remedy ha una percezione dei contenuti che va dalla prospettiva individuale alla globalità del mondo e dal mondo alla piccola prosepttiva esistenziale. Capitoli a parte avrai capito sono proprio “Scarsick” e “Be”. Il primo perchè continuo fraseggio tra l’essere ed il mondo, ovvero un lavoro che legge cosa c’è nel piccolo attraverso la prospettiva del grande; il secondo perchè generatore di pensieri collettivi e quindi rappresentante l’umanità attraverso il singolo. Con “Scarsick” abbiamo chiuso il cerchio ed ora ricominceremo ad un altro livello.

Potresti approfondire un pò di più la prospettiva di Scarsick?

Lo sapevo che me lo avresti chiesto (risate n.d.r.). Certamente. “Scarsick” scava i canali del disappunto e della disillusione. Fa perdere la speranza in molti sensi e per questo per certi versi è molto vicino a “Remedy Lane”, fondamentalmente uguale, anche se tocca un livello specifico, quello del sociale. In “Scarsick” si parla di disillusione e disappunto verso l’umanità e del contesto esistenziale che ha portato l’essere vivente a diventare creatore di se stesso. Per darti la mia chiave di lettura ti dico che per quanto mi riguarda “Remedy Lane” è molto vicino al mio cuore mentre “Scarsick” è molto vicino al cuore di ognuno di noi. Quest’ultimo è specie di combinazione di tutti questi album differenti che abbiamo composto negli anni. È un cerchio che si chiude e come tale anche un punto di partenza.

Grazie dell’intensa chiaccherata, credo che potremmo stare a parlare per ore soprattutto di come intendete la musica. E’ stato un sincero piacere.

E’ stata per me una intervista davvero interessante, mi hai dato la possibilità di esprimere concetti importanti. Vi ringrazio per questo. Spero di tornare presto da voi. Oltretutto mi piace sempre molto l’idea di mettere piede in Italia. E’ da tempo che penso di prendermi proprio una vacanza qui. L’Italia sarà sempre nel mio cuore. Da piccolo ci venivo molto spesso in vacanza con la mia famiglia.

Davvero?…mi fa piacere…

Credo che l’Italia avrà davvero un posto speciale nel mio cuore. Grazie Nico e grazie a tutti voi di TrueMetal per il supporto!

Nicola “nik76” Furlan