Vario

Pallas (Alan Reed)

Di Riccardo Angelini - 20 Aprile 2008 - 0:49
Pallas (Alan Reed)

In occasione dell’uscita del nuovo DVD ai veterani del neoprog britannico Pallas, abbiamo rivolto qualche domanda ad Allan Reed, storica voce del gruppo scozzese.

“Moment To Moment” è il vostro terzo DVD: che cosa rappresenta per te nella discografia dei Pallas?

Fondamentalmente rappresenta due cose. Fa il punto della situazione attuale, con una selezione delle tracce che abbiamo inserito nelle nostre esibizioni dall’uscita di “The Dreams Of Men”. Inoltre ci permette di riproporre alcuni brani passati che rischiavano di finire nel dimenticatoio. Canzoni come “Heart Attack” e “Queen Of The Deep” sono state suonate raramente dal vivo da quando faccio parte del gruppo (soltanto ventiquattro anni fa!!!), e curiosamente ci siamo accorti che si abbinano piuttosto bene con il nostro sound attuale.

L’esibizione è stata registrata nel Wyspiánki Theatre di Katowice. Perché avete scelto la Polonia per registrare questo DVD?

Al di là del fatto che è un posto favoloso sia in termini di palco sia in termini di pubblico, l’opportunità si è inizialmente presentata a partire dalla mia collaborazione con Clive Nolan nel progetto “She”. Dal momento che dovevo essere in Polonia già per quel concerto, mi è sembrata una cosa abbastanza sensata portare con me il resto della band. Avevamo già discusso con la Metal Mind circa la possibilità di registrare un DVD, ma fino a ora non si era presentata l’occasione. Questa volta le stelle si sono allineate in modo propizio.

Come abbiamo detto, il concerto ha avuto luogo in un teatro. Ritieni che questo tipo di scenario possa limitare l’impatto della vostra musica o condizionare l’interazione col pubblico?

Beh significa che non ci sarà pogo sotto il palco, ma questa non è necessariamente una cosa negativa. A noi piace che il pubblico sia partecipe durante l’esibizione, e la folla presente al Wyspiànki si è dimostrata entusiasta fin dal principio. Ma era più una cosa del tipo “sediamoci e godiamoci la musica”.
Quella sera siamo stati entusiasti del pubblico. Possiamo dire che si siano divertiti tutti, e che ci abbiano dato la carica per suonare. Riguardando l’esibizione a distanza di tempo, non sono così sicuro che un uomo della mia età dovrebbe saltellare su e giù come ho fatto (risate) soprattutto se ad attenderlo c’è un’ulteriore esibizione da due ore e mezza a fianco di Clive Nolan.

La presenza di brani tratti dal vostro ultimo album è piuttosto cospicua. Ritieni che tra queste canzoni ce ne siano alcune già pronte a diventare classici del repertorio dal vivo dei Pallas? Come valuti l’accoglienza riservata ai nuovi pezzi da parte del pubblico?
 
Ce ne sono diversi che possiamo considerare già appuntamenti fissi delle nostre esibizioni, soprattutto “Warriors”, “Ghostdancers” e “Invincible”. Di solito è facile capire se una canzone dal vivo funziona o no, e queste di sicuro funzionano. Il problema che si manifesta sempre più spesso è di stabilire quali brani escludere. La maggior parte dei nostri pezzi tende a essere di lunghezza medio-lunga. Le più brevi si aggirano sui cinque o sei minuti. Quindi a meno che non vogliamo finire a suonare per tre ore dobbiamo compiere qualche scelta difficile ma necessaria. Dobbiamo anche dare al pubblico una prospettiva di luci e ombre, un equilibrio fra i nostri pezzi più energici e pesanti e quelli più riflessivi ed evocativi. Non siamo esattamente come i Motörhead!

A tre anni dalla sua uscita, sei soddisfatto con le recensioni e le vendite del vostro ultimo album?

Di buone recensioni ne abbiamo ricevute molte (e anche qualcuna cattiva, naturalmente). Ma possiamo sempre fare qualcosa di più. Io tra l’altro ho bisogno di una nuova Lamborghini. Il posacenere di quella vecchia ormai è pieno.

Tornando al DVD, mi pare che la presentazione del brano “Northern Star” abbia avuto qualche problemino. Ce ne vuoi parlare?

Abbiamo editato qualcosa in quell’introduzione. Graeme (Murray, ndr) ha cominciato a introdurre per errore “Northern Star” quando in realtà avrebbe dovuto introdurre la traccia precedente, “Queen Of The Deep”. Abbiamo mantenuto la maggior parte dell’errore perché lo trovavamo divertente, ma poi finiva per ripetersi un po’ troppo quando siamo arrivati a “Northern Star”, così l’abbiamo tagliata un pochino.

I Pallas sono stati parte della rinascita del progressive rock negli anni ottanta. A tuo avviso, com’è cambiata questa scena negli ultimi venti/trenta anni? Credi che il prog tornerà mai a toccare le medesime vette che ha toccato negli anni settanta?

Oggi la scena è per molti versi più in salute. C’è molta più influenza reciproca fra generi ora rispetto a quella che si trovava negli anni ottanta, che erano molto chiusi da questo punto di vista. Se ti piaceva e suonavi un certo tipo di musica, allora non potevi ammettere di apprezzare o di essere influenzato da nulla fuori da quel genere. Era una mentalità molto chiusa, che ha portato alla nascita di musica molto noiosa, soprattutto nel metal e nel prog. D’altro canto, l’erosione delle vendite tradizionali causata dal download e via dicendo, oltre alla limitatezza di vedute delle major (che preferiscono giocare sicuro coi mercati di massa anziché investire sui nuovi talenti) fanno si che l’industria musicale con la quale sono cresciuto sia in procinto di volgere verso la propria fine.
Personalmente non credo che il prog per se possa mai avere il tipo di influenza che ha esercitato negli anni settanta, sebbene molte idee di matrice progressive siano sorprendentemente diffuse in molti generi musicali di versi oggidì. Il mondo è cambiato e non sono sicuro che qualche tipo di genere musicale in particolare possa di nuovo assurgere di nuovo a quel tipo di supremazia musicale. Credo che le band capaci di riempire gli stadi siano sempre più una realtà che appartiene al passato.

Gli appassionati di prog amano distinguere tra “progressive” e “neo-progressive”. Credi che questa distinzione abbia senso? Come si è evoluta a tuo avviso la concezione di “progressive”?

È un’etichettatura facile distingere tra le band degli anni settanta e quelle che nacquero nella decade successiva. Da questo punto di vista la distinzione ha senso. Comunque, come tutte le facili etichette si corre il rischio di non descrivere accuratamente ciò che si vorrebbe descrivere. Per molti il “neo-progressive” è un termine spregiativo con cui inquadrare le “band degli anni ottanta che suonavano come i Genesis, ma non altrettanto valide”. Si tratta di una descrizione che coglie nel segno abbastanza spesso, ma penso che mi opporrei al ritenerla una definizione adatta ai Pallas. Difatti nel mondo del progressive siamo stati spesso descritti come “una band Heavy Metal band sotto mentite spoglie”. Anche questa non è una descrizione accurata, ma mi piace come suona (risate).

Dal punto di vista cronologico, possiamo dividere la discografia dei Pallas in due tronconi: quello che comprende gli album degli anni ottanta e quello che riunisce gli album che hanno seguito la reunion. Ritieni che questa nuova era sia il naturale proseguimento della vecchia era, o pensi che tra le due si possa insturare un qualche tipo di opposizione? Come è cambiato il tuo modo di approcciarti alla musica nel corso degli anni?

Credo che la “Pallas-osità” del nostro materiale non sia cambiata. Tutto ciò che abbiamo suonato ci rappresenta, o almeno rappresenta come noi eravamo quando abbiamo realizzato ciascun album singolarmente inteso. Come noi siamo cambiati nel tempo, così ha fatto la nostra musica. Abbiamo incorporato le differenti influenze che ci hanno colpito nel corso degli anni all’interno della nostra musica, e abbiamo abbracciato i vari progressi della tecnologia che abbiamo incontrato nel nostro cammino. Ma quando saliamo sul palco, siamo la stessa band che siamo sempre stati. C’è una magia (almeno per noi) che avviene solo quando noi cinque siamo sul palco insieme. È ciò che ci spinge ad andare avanti, ad avere una scusa per presentarci davanti a un pubblico.

Guardando alla scena internazionale, c’è qualche band che ha catturato la tua attenzione di recente? In generale preferisci ascoltare i vecchi classici o ti dedichi alla ricerca di nuovi talenti?

Non so se si possano chiamare recenti, ma sono un grande fan degli ultimi due album dei Muse. Sono stato anche favorevolmente impressionato dai Pure Reason Revolution quando ci hanno supportato a un concerto un paio di anni fa. Non mi metto più in caccia di nuove band, ma occasionalmente mi soffermo sulle band che mi piacciono. Ogni tanto torno a rispolverare i dischi più vecchi della mia collezione. Per esempio recentemente ho riscoperto l’album “Strangers In The Night” degli UFO.

Come abbiamo accennato in precedenza, nello stesso giorno in cui è stato registrato si è tenuta la prima di “She”. Ce ne vuoi parlare?

Il progetto Caamora è stato una vera sfida per me, sotto molti aspetti. Ha richiesto un approccio diverso da qualunque cosa io avessi fatto prima. Molta più disciplina, molta più tecnica. E non sono abituato a vestirmi come un esploratore e a portare un fucile pesante in scena quando canto (risate).
L’album “She” ha richiesto molti sacrifici nella sua creazione, e un grande sforzo in un sol colpo durante la sua esecuzione. Tutti noi ci siamo spinti al limite delle nostre capacità per tirare fuori il massimo. Ma è stato grandioso lavorare con una squadra del genere. È stato particolarmente piacevole lavorare con Tina dei Magenta. L’ho incontrata di sfuggita un paio di volte e ho pensato che fosse un’ottima cantante, ma non ho capito quanto fosse realmente in gamba fino a che non l’ho sentita all’opera su “She”. Ha anche un senso dell’umorismo pazzesco. Ci siamo diverti a tal punto che potremmo anche rifarlo in futuro… forse (risate).

Tornando ai Pallas, hai novità sul prossimo album?

Beh, direi che dovremmo riuscire a realizzare un CD entro le Olimpiadi… di Londra (2012)!! Ci stiamo lavorando su, ma i progressi sono più lenti di quello che speravamo. La causa non è tanto una nostra mancanza di interesse, quanto una serie di pressioni esterne alla band. Vuoi sapere come suonerà? Beh, probabilmente conterrà musica. Circa cinquanta minuti di musica. Sarà tondo, con la superficie argentata e si adatterà a uno di quegli aggeggi che leggono i CD. O forse sarà solo un download (risate).

Ultima domanda: a quando un concerto in Italia?

Per il momento vorremmo concentrarci sull’album prima di fare altri concerti. Ma ci piacerebbe molto tornare in Italia una volta finito quel lavoro.

Riccardo Angelini