Vario

Paradise Lost (Nick Holmes – Gregor Mackintosh)

Di Alberto Fittarelli - 22 Giugno 2007 - 2:01
Paradise Lost (Nick Holmes – Gregor Mackintosh)

Mi sono recato presso gli uffici italiani della Century Media per
intervistare Gregor Mackintosh e Nick Holmes, colonne portanti dei Paradise Lost:
se sul disco di ritorno (e di risurrezione) della band si è già detto in fase
di recensione, va detto che mai come ora la loro essenza ‘metal’ risulta
evidente, sia nelle parole che nel look dei due musicisti. Gregor addirittura
sembra tornato a tempi in cui l’estremo era pane per i loro denti… Due persone
ovviamente interessanti, pacate e con molto da dire: buona lettura.

Iniziamo ripercorrendo un attimo gli ultimi anni dei Paradise Lost: che cosa
è accaduto alla band dopo ‘One Second’, l’album che ha segnato l’inizio
graduale di una deriva dal metal propriamente detto?

Greg: “Sapevamo che ‘Draconian Times’ aveva segnato un punto di
svolta definitiva per la nostra carriera: dovevamo buttarci su qualcosa di
nuovo, una diversa strada per la nostra musica, non copiarci sterilmente. La
novità si materializzò in ‘One Second’, un disco davvero ottimo che secondo me
è stato fin troppo sottovalutato; è esattamente quello che ci sentivamo di
fare in quel momento, ci abbiamo messo tutta la nostra ispirazione, quindi
davvero non capisco perché ci si sia ostinati a definirlo ‘commerciale’ e ‘poco
spontaneo’. Voglio dire, avremmo potuto restare sul sicuro e ripetere un
successo commerciale come ‘Draconian’ all’infinito, invece abbiamo seguito la
nostra reale ispirazione! Poi abbiamo registrato ‘Host’, nel 1999, ed è un
disco che tutti ancora oggi ci contestano, ma sono convinto che gli ascoltatori
più attenti e smaliziati si siano accorti in realtà delle sue qualità.”

Pensi che continui ad essere questo il vostro disco più sottovalutato?

Greg: “Assolutamente, la gente non ha capito la nostra volontà di
slegarci dal metal senza per questo perdere le atmosfere gotiche, o meglio le
vibrazioni profondamente dark della nostra musica. Hanno tutti pensato che
volessimo raggiungere chissà quali obiettivi, quando la nostra meta era solo un
sound differente, dopo tanti anni di carriera. Poi arrivò ‘Believe In Nothing’,
nel 2001, il secondo per una major come la EMI, e ad essere onesti penso che
effettivamente questo sia il nostro album meno riuscito: quando ti trovi in
determinate situazioni devi scendere a compromessi con troppa gente, tanto che
il sound delle chitarre, gli arrangiamenti, sono tutti frutto di diversi momenti
di indecisione. C’è anche qualche pezzo valido, ma in effetti si potrebbero
cambiare molte cose. ‘Symbol Of Life’ (2002) è una nuova svolta: siamo tornati
fortunatamente ad occuparci di musica e non di altre cose, iniziando il ritorno
verso sonorità ‘rock’ che avevamo abbandonato con i due dischi precedenti, e
resta un disco interessante, secondo me; mentre ‘Paradise Lost’, del 2005, è il
primo passo verso il ritorno alle sonorità pesanti che hanno poi trovato la
loro apoteosi in ‘In Requiem’, grazie ai suoi riff lenti e pesanti come
macigni…”

Quest’ultimo in effetti ripesca diversi elementi del vostro passato, dalle
vocals straziate di ‘Draconian Times’ a certi riff doom tipici di ‘Gothic’,
passando anche però da momenti di alleggerimento alla ‘One Second’… un ottimo
sunto del vostro sound con diverse novità, non credi?

Greg: “Certo! Non potevamo certo ignorare ciò che ci ha portati
sino a questo punto della nostra carriera, del resto. In questo disco convivono
tutte le anime della nostra musica, ogni singola vibrazione che ci ha condotti
sino a qui.”

Sarò molto schietto allora: è chiaro che i maligni possono interpretare
questo “ritorno alle origini” con una volontà di recuperare i
consensi perduti con ‘Host’ e ‘Believe In Nothing’… voi come rispondereste?

Nick: “Ma veramente non c’è niente di male nel voler tornare a
quanto si è fatto in precedenza, specie considerando che queste sonorità le
abbiamo inventate noi! Non abbiamo proprio bisogno di un ritorno d’immagine o di
un recupero di consensi tramite un passo indietro: semplicemente anni fa ci era
sembrato giusto lasciare da parte il metal, oggi invece lo sentiamo vibrare
dentro di noi come non ci accadeva da molto tempo. ‘In Requiem’ ci provoca gli
stessi brividi dei vecchi album, senza farci dimenticare ciò che abbiamo
composto dopo. La mia voce, come dicevi prima, è tornata ad essere aggressiva
come allora, ma non per questo ha perso le sue tonalità più morbide; così
come restano i toni baritonali. Ci sono nel disco riff decisamente doom metal,
ma non per questo mancano tastiere e qualche effetto elettronico. Volevamo fare
un passo avanti in realtà, non uno indietro.”

Parliamo allora dell’appesantimento di chitarre e voce, a volte sembra di
sentire davvero i Paradise Lost poco più adolescenti che pubblicarono ‘Lost
Paradise’…

Greg: “Pensa che sono arrivato all’accordatura in Si bemolle della
chitarra, 3 toni e mezzo sotto alla norma: oltre sarebbe stato impossibile
suonare!
(Ride, Nda) Volevo davvero qualcosa di profondamente
dark, di pesante e morboso… ho deciso di spingere la mia chitarra ai limiti:
quando sono arrivato al punto massimo ho capito che il disco avrebbe seguito
quelle tonalità.”

Nick: “Anche per me si è trattato di una sfida: la prima volta
che ho sentito su che basi avrei dovuto suonare mi sono detto ‘Ma è troppo
bassa!’. Poi però ho trovato le giuste tonalità, in fin dei conti la vediamo
come una nuova sfida per i Paradise Lost, un nuovo traguardo.”

Credete che, come accaduto in passato, col vostro nuovo cambiamento di sound
anche i vostri ‘followers’ modificheranno il loro? Voglio dire, dopo ‘Draconian
Times’ tutti erano lenti, pesanti e aggressivi, mentre dopo ‘One Second’ tutti
si riscoprivano amanti dei Depeche Mode…

Nick: “Non lo so sinceramente, non è qualcosa a cui penso. È
innegabile che, avendo praticamente creato noi il gothic metal, siamo stati un
esempio per decine di band, ma non sto a pensare a quello che faranno le band
collegate in qualche modo a noi, non mi riguarda: sono solo orgoglioso di essere
ancora un punto di riferimento, ma poi bisogna distinguere chi prende esempio
cercando una propria via e chi invece clona senza ritegno.”

Passiamo all’artwork: forse il più “forte” della vostra carriera,
con questo angelo dark che sanguina dalla testa…

Nick: “Guarda, possiamo tranquillamente dire che per la cover non
avevamo molte idee, o meglio le idee c’erano ma nessuna era convincente. Poi
abbiamo trovato questo spunto e, parlandone insieme, abbiamo convenuto che fosse
il migliore: volevamo un’icona forte, oscura, che rappresentasse in modo
semplice il contenuto musicale del disco.”

Anni fa dichiaravate che suonare un genere così decadente e profondo fungeva
da ‘catarsi’ spirituale per voi come persone, credete che sia ancora così,
oggigiorno?

Greg: “Di sicuro lo è per me: mi permette di esprimere in modo
diretto cose che altrimenti resterebbero chiuse dentro di me. Credo che sia
un’esperienza comune di tutti i musicisti degni di essere chiamati tali: la
musica ti riappacifica col mondo, ti permette di raggiungere mezzi espressivi
altrimenti preclusi; è feeling, è un insieme di sensazioni, di colori,
frammenti che poi si solidificano nella tua personalità. Non puoi definirla
un’esperienza sensoriale se la consideri a livello emotivo, perché si va oltre
ai 5 sensi; ma non è nemmeno extrasensoriale, perché i sensi sono comunque
coinvolti nella sua creazione. Hai ragione tu, è catarsi, è una liberazione
dai fardelli della vita.”

Un piccolo salto nel passato: possiamo tranquillamente definire ‘Draconian
Times’ come il ‘Black Album’ del gothic metal, e non a livello commerciale, ma
per la sua perfezione, la sua capacità di essere emblematico per un intero
genere. Voi cosa ne pensate?

Nick: “Beh, ti ringrazio… Vedi, con quel disco abbiamo cercato
di rendere un po’ più accessibile un genere che sino a quel momento era stato
estremamente di nicchia, con pochi e fedeli appassionati. Le sonorità più
aperte, i chorus melodici ci hanno permesso invece di portare il gothic metal a
molte più persone, rendendolo quel fenomeno che è diventato negli anni a
seguire.”

Il promo del nuovo album, molto ben fatto rispetto agli standard, presenta al
suo interno le vostre spiegazioni sia musicali che liriche per ogni singola
canzone: avete paura della superficialità dei giornalisti o di essere di nuovo
incompresi dalla gente?

Nick: “Guarda, ho un sacco di amici giornalisti e non sono
assolutamente persone superficiali. Però penso che effettivamente questo sia un
grosso problema nel campo dei media, non solo musicali: di norma le persone non
vanno a fondo del loro lavoro, e così rischiamo di vedere travisato tutto il
significato e le intenzioni di qualcosa che abbiamo fatto. In realtà volevamo
offrire uno sguardo il più approfondito possibile sul disco, con una panoramica
relativamente ampia, visto che sarebbe stato impossibile includere i testi. Del
resto musica e testi per noi sono sullo stesso livello, ed è impossibile capire
l’una senza gli altri. L’incomprensione delle nostre intenzioni fa parte del
gioco, per questo non ci tiriamo mai indietro quando si tratta di spiegare cosa
abbiamo fatto e perché: ma questa volta, dopo tante esperienze passate, abbiamo
deciso di fare un passo in più per evitare il problema.”

Alberto Fittarelli