Paul Chain
Dopo aver recensito “Master Of All Times” e lo split con i Johar, ho avuto la possibilità di intervistare Paul Chain che ho raggiunto telefonicamente dopo aver stilato una serie di domande che, fortunatamente, è servita a poco, poiché Paul ha preferito “chiacchierare” per un’ oretta con me piuttosto che seguire rigorosamente una scaletta che sarebbe risultata sterile. Ed è proprio questo il tema centrale dell’intervista, ma anche delle composizioni e, diciamola tutta, della vita di Paul: l’uscire fuori dagli schemi consolidati… Paul Chain è l’Improvvisatore (in studio, dal vivo, in intervista), ogni sua esperienza è qualcosa di nuovo; e non si può capire il suo discorso musicale, culturale, artistico in senso lato senza presupporre questo concetto.
Ciao Paul, allora parliamo dei tuoi nuovi lavori.
Bene, il mio ultimo cd è “Park Of Reason”, una raccolta di containers uscito per la Beyond, mentre “Master Of All Times” e lo split con i Johar (promettente prog rock band italiana) per la Quasar, che è di mia proprietà. Diciamo che, essendo le produzioni della Beyond Prod. abbastanza particolari, ho inserito in questo “Park Of Reason” containers più simili tra loro e diversi dal Paul Chain – The Improvisor di “Master Of All Times.
Ecco a proposito dei containers, perché senti la necessità di catalogare il tuo operato tramite container?
Diciamo che per capire la mia storia bisogna tornare indietro intorno al ’77 quando avevo 15 anni. A quel tempo avevo già un gruppo, facevamo improvvisazioni, cover di Deep Purple e di gruppi prog. Le mie basi sono la musica prog italiana, “Le Orme” soprattutto, che ascoltava mio padre. Cominciai ad 8 anni a suonare la batteria, ero una sorta di bambino prodigio, infatti mi iscrissero all’accademia. Me ne andai dal conservatorio a 10 anni dopo esser rimasto folgorato da Jesus Christ Superstar.
Nel ’77 irruppe la musica punk, di cui mi innamorai, ascoltavo principalmente Ramones, Damned, ecc…; conobbi in quel periodo Stefano Silvestri e da quel momento nacquero i Death SS (le SS erano una specie di moda tra i gruppi in quel periodo); ambedue avevamo la passione per Alice Cooper, Kiss, i film horror in bianco e nero e ovviamente il punk, il problema è che eravamo troppo punk per i metallari e troppo metallari per i punk. Dopo aver avuto problemi con Steve, sciolsi i Death SS e lasciai il nome della band a Steve. Il mio modo di lavorare, e di vivere, è sempre stato basato sull’onestà, io sono un tipo pacifico. I Death SS si sciolsero perché, pur interpretando personaggi classici dell’orrore (io ero la morte), il fine era sempre positivo e Steve da buon vampiro rappresentava l’elemento destabilizzante; lo stesso obiettivo fu quello dei Violet Theatre. Anche per ciò che riguarda l’occultismo, io vissi l’esperienza come ricerca personale che mi portò ad abbandonarlo nel 1982. Io sono un grosso conoscitore di occultismo, a tal punto che formai i Death SS per questo motivo, in un periodo in cui il satanismo non andava di moda, Black Sabbath a parte.
A proposito di Black Sabbath…
Me li fece conoscere Steve, ma io già ascoltavo i Budgee, che sono i Black Sabbath senza occultismo. A livello musicale i Black Sabbath non mi hanno dato molto.
Per quanto riguarda l’occultismo, cioè occultato, nascosto, beh… ma io sono un tipo solare, solo che vedere il mondo così com’è mi porta a parlare di cose tristi. Però l’esperienza fatta con lo studio dell’occultismo mi portò a scoprire l’esistenza di creature angeliche decadute, ecc… che io non conoscevo, quindi prima feci l’esperienza e poi capii la questione, anche perché io sono autodidatta, anche in questo campo. E’ per questo che non mi trovo con i molti satanisti dell’ultima ora, perché loro sono persone che, più che altro, leggono un libro e poi pensano di aver capito tutto, ma queste sono cose pericolose, io c’ho rimesso parti fisiche. E’ tutta una questione di percezioni; l’artista è colui che possiede una percezione medianica tra il Cosmo e la Terra. La musica esiste già, il compositore non inventa nulla, riesce a percepirla.
Oltre ad essere un compositore e musicista, in ambito musicale, di cosa ti occupi?
Sono un produttore ed un ingegnere del suono, anche in questo campo sono un autodidatta. Ho deciso di fondare una casa mia perché non voglio scendere a compromessi con il music business. Anche io avrei potuto firmare contratti miliardari e commercializzarmi, ma sempre per la questione dell’onestà ho preferito fare tutto da me.
Vorrei sapere quali sono i tuoi lavori che consideri più importanti della tua carriera.
Park Of Reason sicuramente, In The Darkness e Life And Death dei Death SS, Alkaist con Lee Dorrian, aggiungerei anche Space e Cosmic Wind (che sta per uscire).
Master O All Times sono esperimenti di progressive, miste a Doors (con quelle atmosfere plumbee) suonato improvvisando, registrato in presa diretta, così come lo split con i Johar; in realtà le tre canzoni incluse nello split sono quelle che non sono riuscite ad entrare in Master Of All Times.
Tornando al sistema dei containers, essi prendono forma dal sistema Violet Theatre del lontano 1985 con il quale gestivo 10 bands che proponevano generi diversi, una sorta di comune artistica. I containers sono l’evoluzione di questo sistema, proprio per non far confusione, dato che ogni esperienza comporta un genere differente di musica. Questa commistione mi ha portato a sperimentare l’unione di fusion con il doom. Questo perché, soprattutto per ciò che concerne la batteria, i jazzisti sono molto tecnici. Io necessito di elementi preparati perché per fare musica di un certo tipo non ne posso fare a meno. Spesso mi avvalgo della Drum Machine perché i batteristi non mi soddisfano perché sono troppo umani. Da qui nasce Park Of Reason per la Beyond, che ha un mercato particolare e quindi non ho potuto inserire container di vari generi, ma più che altro di composizioni doom. Una particolarità di quest’album è la traccia 11, nella quale ci sono due canzoni da 15 minuti; ho mischiato la tecnica mono degli anni ’60 con quella del 2000: in pratica ho registrato sul canale sinistro una canzone e sul destro l’altra cosicché si possa decidere di ascoltarne una o l’altra o entrambe contemporaneamente, anche se le due batterie non si sincronizzano sempre, diciamo che è molto sperimentale.
Ti voglio spiegare perché “Park Of Reason”, cioè il parco della causa, perché anche grazie ai miei studi sull’occultismo, ho letto molto le Sacre Scritture, e devo dire che mi ci sono ritrovato, ho ritrovato idee che già avevo io, continuo a ripetere che sono una persona buona, positiva e solare. Ecco il parco della causa, l’Eden; insomma noi ci portiamo dietro quel peccato che i nostri avi hanno commesso, cioè mangiare la mela e quella mela era marcia, e noi non facciamo niente per migliorare la situazione.
Un’ultima domanda, perché utilizzare il fonetico piuttosto che una lingua ben precisa?
Viene dal fatto che il progressive era forse l’unica forma di musica moderna che noi italiani avevamo, infatti i Genesis si ascoltavano prima in Italia che in Inghilterra; noi avevamo grandi bands ma quando gli americani, anche a causa del fatto di averci liberato dal nazismo, decisero di monopolizzare l’Europa e di globalizzare il tutto. Dato anche il fatto che, grazie all’influenza clericale molto forte in Italia, venne uccisa la cultura italiana, e fu fatta una censura velata, ma esistente, verso il rock, il progressive roc cesso’ di esistere.
Allora l’italiano non ho voluto usarlo perché secondo me si sposa male con il genere da me proposto, l’inglese per ribellione e denuncia, ecco il perché del fonetico, anche perché, essendo io un improvvisatore, mi permette di concretizzare al meglio e più velocemente ciò che ho in mente.
Allora Paul grazie per l’intervista e a presto.
Grazie a te, spero di essere stato abbastanza esauriente, ciao.