Vario

Profundi (Jens Rydén)

Di Alberto Fittarelli - 25 Aprile 2007 - 0:00
Profundi (Jens Rydén)

Ho scambiato quattro interessanti chiacchiere col disponibilissimo Jens
Rydén
, ex-cantante dei Naglfar ed oggi leader e membro unico degli
affascinanti Profundi: una band che, come leggerete in fase di
recensione, segue la traccia da lui delineata in un oltre decennio di musica,
con risultati decisamente migliori di quelli dei suoi vecchi compagni
d’avventura (musicale). La sincerità è alla base di questo progetto, a lui il
compito di dimostrarvelo.

Jens, prima di tutto non posso che farti i compimenti per un album davvero
azzeccato: non rivoluzionario come coordinate stilistiche, ma davvero
appassionante. Com’è nato il progetto Profundi?

“Grazie davvero per i complimenti, sono felice che ti sia
piaciuto. I Profundi nascono dalla mia esigenza continua di esprimermi in
musica: come forse saprai sono stato molto occupato giorno per giorno dai miei
studi, ma ora che sono in parte più libero ho sentito il bisogno di creare
nuove canzoni, che seguissero a pieno la mia ispirazione.”

Parliamo allora del tuo abbandono dei Naglfar: mi sembra obbligatorio partire
da lì per una breve storia di questo disco…

“Niente di troppo traumatico, lo studio non mi permetteva di
seguire la band al 100%, oltretutto mi sono dovuto trasferire a centinaia di
chilometri dagli altri ragazzi, quindi di comune accordo abbiamo deciso di
separarci. I tour sarebbero diventati irrealizzabili per me, così come la
maggior parte delle prove in saletta. Insomma, a un certo punto ho dovuto
scegliere: una carriera sicura o quasi, con una base che mi permettesse di
costruirla, e comunque seguendo quella che è la mia passione per il design; o
una devozione totale per un gruppo metal, che come sai spesso non paga in
termini prettamente economici, purtroppo, e difficilmente permette di
mantenersi.”

E così, dopo qualche anno di pausa, eccoti tornare sulle scene con un disco
che riprende molto del tuo passato: non solo coi Naglfar, ma anche coi Dead
Silent Slumber (in realtà tuo progetto personale, senza altri musicisti
coinvolti). Anche tu concordi nel ritrovare tutti questi elementi nella tua
musica di oggi?

“Direi di sì, del resto è inevitabile: fanno tutti parte del mio
bagaglio musicale. ‘The Omega Rising’ è la mia anima, lo specchio della mia
creatività, senza barriere, compromessi o altro, e se ne sono orgoglioso è
proprio perché mi rappresenta in pieno…”

Come già ti rappresentava il progetto DSS: una necessità di essere libero
che manifesti in canzoni splendide ma che non vedrei magari sui Naglfar odierni,
come ‘Split-Tounged’ o ‘Coffinborn’…

“Può darsi. Vedi, non seguo in realtà quello che stanno facendo
loro di questi tempi… Ti posso dire che è stato fondamentale, per me, seguire
la realizzazione dell’album in ogni suo passo, senza la minima fretta – del
resto ho trovato una label solo dopo averlo registrato – e con la massima
accuratezza. Immagini che cosa voglia dire questo per un musicista? La
condizione ideale per esprimersi al meglio! Ho voluto io questi suoni in studio,
ho curato ogni minimo arrangiamento, ho rivisto tutti quei passaggi che ad ogni
ascolto non mi convincevano troppo finché tutto non è stato cesellato alla
perfezione; era stupido rilasciare qualcosa che non mi soddisfacesse, nelle mie
condizioni, no? O meglio, era del tutto inutile: questo disco doveva essere me!
(Ride,
Nda)

E infatti ricorre qualche tocco di pianoforte, un bel tocco epico,
sovrapposizioni vocali con varie timbriche, testi profondi ed evocativi…

“Tutto quello che fosse funzionale al mio Io attuale, e ti
assicuro che non ho progettato niente a tavolino: è un disco ragionato nel
“come”, spontaneo nel “cosa”.

Immagino che di concerti per i Profundi non si possa parlare, ad ogni modo…

“Esatto, sono e devono restare il mio progetto da studio, e non
sento nemmeno la necessità di aggiungere altri musicisti. Quando ci sarà il
modo e il tempo lavorerò su altri brani, di sicuro dal vivo non andrò a
suonare, anche perché comunque sono abbastanza stanco della vita on the road,
non fa per me.”

Mi sento costretto a tornare sull’argomento Naglfar, dato che comunque una
considerevole parte della tua carriera coincide con la loro: hai sentito il loro
nuovo ‘Harvest’?

“No, né quello né ‘Pariah’, che mi dicono essere molto buono. Tu
l’hai sentito?

Sì, e mi sembra che manchino un po’ di idee ultimamente…

(Ride, Nda) Guarda, è un po’ il motivo per cui
voglio fare tutto da solo, oggigiorno. Nessun compromesso, nessuna ambizione
particolare, solo la pura e libera espressione artistica quando sono stimolato a
metterla su disco. Sai che non avevo nemmeno un’etichetta quando ho registrato
il disco? Ho fatto tutto, ripeto, da solo, per non avere scadenze di nessun tipo
ed essere libero, senza vincoli. Poi ho cercato una label che potesse
comprendere a pieno il mio progetto e commercializzarlo al meglio.”

E hai trovato la tedesca Viva Hate Records…

“Sì, un’etichetta giovane e appassionata, che segue in primis
ciò che piace ai suoi responsabili. È ciò che cerco, la passione: un lavoro
ce l’ho già, non mi interessa rendere la mia musica un business a tutti i
costi.”

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli