Vario

Queensrÿche (Geoff Tate)

Di Riccardo Angelini - 17 Giugno 2009 - 12:00
Queensrÿche (Geoff Tate)

Non capita tutti i giorni di parlare con un personaggio del calibro di Geoff Tate. Lontano dall’euforia dello stage il carismatico frontman si è dimostrato una persona coi piedi per terra, calma e pacata. La lista delle domande per Geoff si dilungava molto oltre il punto in cui la telefonata si è conclusa, ma l’esaustività delle risposte iniziali unita al tempo inevitabilmente tiranno hanno imposto di rinunciare a qualche curiosità ulteriore. Resta, al di là dei gusti musicali personali, l’impressione di un grande professionista. A lui dunque la parola.

Ciao Geoff, c’è un nuovo album nei negozi da un paio di mesi. Direi che l’elemento più notevole di American Soldier è il concept alla base. Puoi raccontarmi come è nata l’idea di dedicare un album alle storie dei veterani dell’esercito statuinitense?

Tutto è cominciato da una conversazione con mio padre, che a suo tempo fece il soldato in Vietnam. Sono cresciuto in una famiglia di militari e la guerra è qualcosa con cui ho dovuto sempre fare i conti. Non era però qualcosa di cui in casa si parlasse spesso. Mio padre non mi diceva mai nulla a riguardo, non era un argomento con cui si sentisse a proprio agio. Poi nel 2006 ebbi qualche giorno di riposo da tour e lavoro: allora avemmo la nostra prima conversazione a riguardo. Per me fu una vera sorpresa. Anche considerato quello che mi stava dicendo, dopo un po’ gli chiesi se potevo prendere la videocamera e registrare quello che mi stava dicendo. La settimana successiva mostrai il video a mia moglie e ai miei figli. E mi moglie mi disse: “perché non scrivi un concept su questo argomento?”. Era un’idea interessante, ma avevo dei dubbi. Che cosa avrei mai potuto dire? La guerra non è qualcosa che ho visto con i miei occhi, non sono un soldato, avrei potuto fare solo speculazioni. “Chiedilo ai soldati” mi disse lei. Allora pensai per la prima volta alle interviste. Grazie ai contatti di mio padre, non fu difficile trovare persone con cui parlare. All’inizio si trattava di conversazioni semplici, molto colloquiali. Ho parlato con centinaia di soldati, mi hanno raccontato della loro vita, delle loro avventure, delle loro prospettive. E delle esperienze sul campo, naturalmente. In seguito ho dato corpo alle loro narrazioni per trasformarle in un concept.

Immagino che la ricerca di una forma musicale adatta a esprimere i contenuti di quelle conversazioni non sia stata facile.

È stata una bella sfida. Guardando le interviste, ascoltando le storie raccontate, non puoi fare a meno di rimanere colpito. È stata una grande fonte di ispirazione.

Confrontarti con gente che ha combattuto la guerra in prima persona ha cambiato in qualche modo il tuo modo di vedere le cose?

Sì. Credo che tutti noi, singolarmente, siamo contrari alla guerra. Ma la guerra c’è, è inevitabile. Non si può far finta che non ci sia. È con noi. E allora devi chiederti: come ci convivo? Come rispondo alle domande che mi pone? Io credo che più se ne parla, più si cerca di capire che cosa sta succedendo, più siamo vicini a cambiare la situazione. Se la guerra è inevitabile, servono persone che siano capaci di affrontarla, di comprendere cosa sta succedendo e perché. Chiudere gli occhi, ripetersi che è sbagliato e fare finta che non ci sia non serve a nulla.

Tocchi un argomento ancora caldo. Dopo l’elezione del nuovo presidente, hai l’impressione che la situazione negli Stati Uniti e nel mondo stia cominciando a cambiare?

L’elezione di Obama ha rappresentato a mio avviso un enorme passo in avanti, a molto livelli. Forse i cittadini hanno visto in lui un leader capace di cambiare le cose. La situazione è difficile. Ci sono grossi problemi da affrontare e ci vorrà tempo per attuare soluzioni efficaci. Ma sono convinto che il cambiamento sia stato positivo e salutare.

La politica è un ambito che in qualche modo tocca anche i testi dei Queensrÿche, anche se mai in modo diretto. Altre band e generi musicali utilizzano testi e temi più espliciti. Cosa pensi della connessione fra politica e musica?

A musica è arte. L’arte è un riflesso dell’artista, quindi indirettamente anche della cultura. Non ci sono regole, la musica può essere qualsiasi cosa. Di fronte alla stessa canzone, persone diverse coglieranno sempre aspetti diversi. Magari non coglieranno le singole differenze fra le melodie e le armonie, o fra i diversi strumenti. Le persone amano la musica perché questa entra nella loro vita, come una colonna sonora, ispira la loro immaginazione, li porta fuori dal loro quotidiano. Ha un ruolo molto importante e assolutamente soggettivo, per questo non ci sono regole. Anche se sono accomunati dalle emozioni, il cuore della musica è diverso rispetto a quello dello sport o degli eventi analoghi: non c’è punteggio, non c’è vittoria e sconfitta. La politica è a sua volta una cosa diversa. È compromesso, si tratta di soddisfare due partiti. Quello che abbiamo fatto nei Queensrÿche è esaminare problemi sociali, non la politica. Che cosa facciamo, perché lo facciamo: è questo che mi interessa guardare. Spesso perpetuiamo il comportamento dei nostri genitori, almeno finché non si verifica qualche evento shock che ci porta a cambiare. Queste osservazioni sul comportamento delle persone sono una grande fonte di ispirazione per la mia musica.

Veniamo dunque alla musica in senso stretto. Negli ultimi due album molti dei brani portano, oltre alla tua firma, anche quella di Jason Slater, il produttore della band. Quanto c’è di suo nei nuovi Rÿche e quanto pesa la sua influenza sul vostro sound?

Jason è un produttore molto professionale e un ottimo compositore, credo che il suo contributo abbia arricchito molto il nostro sound. Ha fatto un lavoro eccellente sull’audio e il suo aiuto è stato molto prezioso per articolare il video e i contenuti delle interviste con la base musicale delle canzoni. Era un compito estremamente difficile e per certi versi artificioso, e lui ha fatto un ottimo lavoro.

L’inizio di quest’anno ha portato a una defezione in casa Queensrÿche: Mike Stone ha posto fine alla sua collaborazione con la band. Posso chiederti qualche dettaglio in più sulle ragioni di questo split?

Mike è un ragazzo straordinario, abbiamo sempre lavorato benissimo con lui. Da quando Chris DeGarmo ha lasciato la band nel 1997 abbiamo deciso di comune accordo di non sostituirlo con un membro a tempo pieno ma di lasciare il posto di secondo chitarrista aperto per persone diverse. Credo sia stata un’ottima cosa per la band. Oltre che a Mike per esempio abbiamo suonato anche con Kelly Grey: ogni musicista ci ha portato influenze diverse, in questo modo ci divertiamo e possiamo stimolare la nostra creatività. Mike è andato via perché aveva un altro progetto che voleva seguire, ma di fatto è sempre stato un esterno, spiendiato per suonare e libero da qualsiasi vincolo ulteriore. Speriamo di avere la possibilità di lavorare ancora con lui in futuro, ma in Queensrÿche sono e restano un nucleo di quattro persone.

Quindi per Parker Lundgren vale di fatto la stessa cosa?

Esatto. Parker ha già dimostrato di essere un valido compositore, quindi credo che potremo lavorare molto bene assieme. Il suo aiuto sarà prezioso.

Se non ricordo male qualche anno fa hai pubblicato un disco solista durante una pausa dal lavoro con  i Queenrÿche. Hai altri progetti in ballo, oltre alla tua band principale?

Sì, ne ho molti. Ci sono due progetti solisti di cui mi sto occupando. Inoltre ci sono in ballo delle colonne sonore per tre diversi film. Uno di questi sarà piuttosto grosso, per il momento non posso dire ancora molto a riguardo, un altro è in uscita ad agosto mentre nel terzo, ‘House Of Eternity’, avrò una parte da attore insieme a Candice, la moglie di Ritchie Blackmore.

Niente male! Parlando di altri progetti meno impegnativi, un paio di anni fa i Queensrÿche hanno pubblicato una raccolta di cover, ‘Take Cover’ appunto. Devo ammettere che i titoli scelti mi hanno stupito: sono quasi tutti straclassici del rock degli anni ’60 e ‘70 che credevo avessero ormai una rilevanza minore rispetto alla strada presa dalla band negli ultimi 10-15 anni. Me ne vuoi parlare?

L’idea di quel disco è nata mentre stavamo già lavorando su American Soldier. Dovevamo prendere le distanze dal materiale che avevamo composto, e avevamo tre settimane di tempo nel tour. La nostra etichetta ci ha proposto di suonare un album di cover e l’idea ci è piaciuta molto. La parte più difficile è stata scegliere le canzoni. Abbiamo tutti collezioni molto vaste, quindi abbiamo stabilito di scegliere due pezzi a testa. La cosa ha funzionato. È stato un lavoro veloce, direi quasi rinfrescante. Non c’era pressione e ci siamo divertiti molto. Non tutti i brani erano familiari a ciascuno quindi in qualche caso ci siamo trovati a improvvisare un po’.

E quali sono i pezzi che hai scelto tu di persona?

Di mio ci ho messo Welcome To The Machine dei Pink Floyd e l’ultima traccia, Odissea.

Ah, ecco chi l’aveva scelta!

Sì, era su un mio CD di musica classica, ora come ora non ricordo bene chi sia l’autore…

Se non sbaglio è di Carlo Marrale, non so se il nome ti è familiare. In Italia è piuttosto noto.

Ah ecco ti ringrazio, adesso cercherò il CD. Mi piace molto quel pezzo.

Di sicuro mi fa capire che i tuoi ascolti sono parecchio diversificati. Ci sono altre band o album che di recente ti hanno colpito?

Guarda in generale noi come band siamo molto aperti a tutti i generi. Musica classica, jazz, rock… ci piace attingere a tanti tipi di influenze diversi. Quando ci troviamo per una jam session può capitare che si cominci con qualcosa di  funky o di RnB, di jazz, e poi si passi ai Black Sabbath e al metal. Alla fine si mescola tutto insieme, l’unica cosa che conta è l’amore per la musica, poi col tempo lavoriamo per trovare il modo di mettere tutto questo insieme…

[qui ci contatta l’assistente di Geoff per dirci che il tempo dell’intervista sta finendo e che fra poco dovremo concludere la telefonata]

Geoff avevo molte altre domande per te, posso saltarne tante ma non questa. L’anno scorso sei passato a Milano per il tour di Operation Mindcrime, con le due parti del concept messe in scena in uno spettacolo a metà fra concerto e musical…

Sì, era da tempo che desideravamo presentare Mindcrime in un modo più teatrale, nel quale non solo la musica ma anche la storia potesse essere espressa al meglio. Mettere insieme le due parti è stata la cosa più logica da fare. Ci abbiamo lavorato molto a lungo: non avevamo mai realizzato nulla del genere e c’erano un sacco di aspetti per noi nuovi e sconosciuti, come la gestione delle coreografie e, per quanto mi riguarda, un tipo di recitazione e di atteggiamento che non può essere lo stesso di un qualsiasi altro concerto. Allo stesso tempo è stata una bella sfida, oltre che un’esperienza straordinariamente divertente.

A fine mese suoni in Italia al Gods Of Metal. Aspettative?

Beh spero che il pubblico italiano sia caloroso come sempre. Ho letto su qualche forum che il nuovo album sembra essere piaciuto. Gli italiani sono di mentalità sempre molto aperta, mi auguro che possa essere una bella esperienza per tutti!

Grazie Geoff, rimarrei volentieri a parlare con te ancora a lungo ma mi pare di capire che il tempo stringe. Ti ringrazio di nuovo per la disponibilità e ti lascio l’ultima battuta, ciao!

Grazie a te Riccardo e a tutti i lettori che hanno ascoltato i Queensrÿche. Speriamo di venire a suonare vicino a voi il più presto possibile!

Riccardo Angelini