Recensione libro: “Dimebag – La storia di Darrell Abbott, chitarrista dei Panter

Di Daniele D'Adamo - 8 Marzo 2011 - 19:41
Recensione libro: “Dimebag – La storia di Darrell Abbott, chitarrista dei Panter

“Dimebag – La storia di Darrell Abbott, chitarrista dei Pantera”
Edizioni Tsunami

Autore: Crain Zac
Traduttore: Mirabella M.
Collana: “I Cicloni
Data di pubblicazione: Novembre 2010
ISBN: 8896131227
Pagine: 248
Prezzo: 20 €

www.tsunamiedizioni.com

 

Sulla storia di Darrell Abbott, chitarrista dei Pantera, si può scrivere un fiume di parole. Di quanto fosse talentuoso e di quanto il suo stile abbia dato spunti e linfa vitale a un movimento artistico in declino; di come si allenava per ore e ore in sala prove e a casa, spuntando sui muri, di cosa faceva nel tempo libero, di chi era innamorato… dell’importanza delle sue creature quali “Cowboys From Hell” e “Vulgar Display Of Power”.

Ovviamente questo libro è una biografia e come tale può esser interpretata sotto vari punti di vista. Da essa è possibile estrapolare ogni chiave di lettura che apra le porte del passato e metta in luce alcuni aspetti piuttosto che altri. Ma non è dei meri nozionismi che voglio narrarvi, quanto di quello ho colto dai racconti, dalle memorie e dalle considerazioni raccolte dall’autore durante questa ricerca delle fonti. Fonti che illuminano il viso di una rock star che rock star non era. Voglio dirvi… questa è l’idea che, paradossalmente, alla luce della storia, mi sono fatto di Dimebag Darrell!
 
Leggendo questo “Dimebag – La storia di Darrell Abbott, chitarrista dei Pantera” ho proprio colto quello che questa persona era, cioè un ragazzo come tanti altri, come tutti i semplici e bravi ragazzi che ascoltano metal per divertirsi, come tutti noi che da giovani andavamo in sala prove con i nostri compagni di gruppo a suonare le cover e i primi pezzi propri, costruiti assieme, da amici. Un ragazzo cui i genitori diedero massimo supporto (il padre Jerry Abbott fu il primo manager dei Pantera!). Un piccolo talento che amava Van Halen e Ace Frehley e che le strumentazioni se le acquistava con i soldi vinti in giovane età ai concorsi di chitarra; concorsi che lo ponevano sempre in cima al podio anche quando la sfida si accendeva contro chitarristi più maturi e preparati.

Poi vennero le scorrazzate in auto e pullman a suonare nei locali del Texas con strip tease e ubriacature colossali al seguito. Prima i piccoli locali, poi i grandi stadi, ma ben poco cambiava. Dimebag Darrell era un rocker, uno di quelli che una volta sceso da un palco con 20.000 fan in delirio, si metteva a scherzare e bere con loro, a firmare autografi ai ragazzini. Che c’è di strano? Nel corso della mia esperienza ho assistito mille e mille volte a ‘meet and greet’ patetici, dietro al cui tavolo sembrava partecipassero dei Reali d’Inghilterra, non musicisti. Per Darrell invece non era così! Non stava vis a vis ai propri fan per il solo gusto di mettere in mostra se stesso, non aveva bisogno di vantarsi di nulla: era quello che era, era assetato di corrispondenza di amorosi sensi, quella da qualche tempo instaurata con chi lo apprezzava.

Ed è proprio in una di queste occasioni che, oltre ad avermi toccato, rivela brillantemente il suo modo d’essere. La sua anima. Cita testualmente l’autore: «alla cerimonia di commemorazione per Darrell al Centro Convegni di Arlington, il suo vecchio amico e collaboratore Nick Bowcott raccontò una storia che sottolineò ulteriormente i suoi atti casuali di generosità. Un ragazzino andò con suo padre a un incontro, dove Darrell firmava autografi. Darrell chiese al ragazzo se suonasse e lui rispose che avrebbe voluto, ma che non poteva permettersi una chitarra. Darrell gli disse che sapeva cosa significasse trovarsi in quella situazione e gli fece l’autografo. Quando il ragazzo e suo padre furono fuori portata d’orecchio, disse a uno dei membri dello staff di assicurarsi che non se ne andassero. Aspettarono fino a che la fila non fosse finita e Darrell li fece rientrare nel negozio. Ad attenderli c’era una chitarra nuova di zecca. L’avrebbe data al ragazzo anche prima, ma non voleva imbarazzare il padre facendolo davanti a tutti: “È meglio per te se la prossima volta che vengo qua spacchi di brutto!”, gli disse.».

E ancora, Dimebag Darrell era un ragazzo che non hai mai tradito la fiducia di chi lo circondava, anzi, talvolta era talmente schietto da far sembrare il rapporto ben poco amichevole. Forse qualcuno non colse la cosa… Dimebag Darrell era uno che, sebbene considerato da critica, addetti ai lavori e fan un vero guitar hero, ‘sminuiva’ se stesso ponendosi a livello di mero esecutore, di mero contribuente un progetto che annoverava in formazione quattro membri e non un solo talento. E per questo fu rispettato e per questo qualcuno s’è ucciso. Ebbene sì, il riferimento è a quell’8 dicembre 2004, all’Alrosa Villa di Columbus, nell’Ohio, dove un folle che non merita nemmeno la citazione del nome l’ha ucciso.

E assieme a lui ha ucciso Nathan Bray, un ragazzo del pubblico che cercò di fermare il folle che però già aveva sparato due colpi a bruciapelo in testa a Darrell, a Erin Halk – uno dei primi a soccorrerlo – e alla guardia del corpo Jeff “Mayhem” Thompson. Altri rimasero feriti. Non sembrava vero leggere le news sulle webzine quando accadde. Ma di questo siamo stati quasi tutti spettatori impotenti. Personalmente, rimasi stordito, non ci volevo credere.
 
Tante volte si dice che si rivaluta il talento da morti, ma qui la questione è ben diversa. Se n’era andata una vera Star, non una di quelle patinate e costruite ad hoc, né tantomeno una di quelle che si crogiolava dietro l’alta posizione di un palco. Per Darrell quel palco coincideva con i suoi valori e con la sua vita. Quella ferita è ancora aperta perché è morto un ragazzo comune e le vittime innocenti non si dimenticano, e non si devono dimenticare.

Nicola Furlan