Recensione libro: Mario “The Black” Di Donato – Ars et Metal Mentis
Mario “The Black” Di Donato. Ars et Metal Mentis
di Mattia Montanari
€ 17,00
235 pagine
2014
L’esercizio di leggere l’autobiografia di Mario “The Black” Di Donato piuttosto che assistere a uno dei Suoi concerti possiede lo stesso, fragrante, sapore, ossia la percezione di fruire di un qualcosa di particolare, che non per forza debba piacere a tutti. Il musicista pescarese, pur di muoversi libero nell’aere, a tutti i livelli, negli anni si è ricavato una propria posizione, che gli ha permesso di dire molti “no”, anche pesanti, piuttosto che ricevere dall’esterno delle direttive riguardo le scelte artistiche da operare. Non di solo HM tratta il libro curato da Mattia Montanari uscito per Crac Edizioni: il personaggio The Black viene vivisezionato da cima a fondo, con cura, senza trascurare nulla. La pittura, la storia dell’Abruzzo e dell’Italia in genere, oltre la musica e all’interesse per l’antiquariato, a suggellare un percorso affascinante che rende Mario Di Donato peculiare, a livello nazionale ma anche oltre confine, come molte delle Sue particolari tele testimoniano.
Gli Unreal Terror prima, poi i Requiem fino ad arrivare alla creatura definitiva dell’acciaio fatto musica del rocker nato a Pescosansonesco: The Black. Di educazione cattolica, il Nostro ha sempre tirato dritto, forte delle proprie convinzioni interiori, fregandosene bellamente di quella critica sommaria che lo accostava, a tratti e con ignoranza crassa, ad artisti estremi in piena antitesi con il Suo credo. In nome dell’arte, comunque, Mario si è spesso accompagnato a immagini intense, dall’impatto inequivocabile, così come non si è fatto mancare, giustamente, frequentazioni con musicisti di diversa inclinazione ideologica quali Steve Sylvester, Paul Chain e Thomas Hand Chaste, accomunati dall’amore per sonorità oscure e misteriose, anche se di matrice diversa.
Ars et Metal Mentis dispensa lezioni di storia, che servono a spiegare il percorso di maturazione e continua ricerca del protagonista ma anche aneddoti divertenti, come quando Mario viene pericolosamente puntato da due dobermann neri in occasione di uno scambio relativo a pezzi d’antiquariato con il facoltoso E.F. oppure nel momento in cui, armato di un tubo di rame, a solo scopo di difesa, per un pelo non si scontra fisicamente in un duello all’ultimo sangue con “L’Aquilano lo sguercio”, uomo orribile e pazzo, brandente una sbarra di ferro. Altro mistero, per usare un simpatico eufemismo, è quello che ammanta il pezzo dei Mondocane, figlio della partnership fra gli Schizo e i Necrodeath, del 1990, intitolato Mario, Please Don’t Cry.
Come un po’ tutte le biografie musicali ufficiali, impossibile, anche per Mattia Montanari, sottrarsi a quella sana dose di celebrazione dello stesso Di Donato durante il lungo excursus riguardante la Sua carriera. Peccato incappare in alcuni, fastidiosi refusi, vista l’evidente cura con la quale l’autore ha allestito l’opera. Al di là del frequentissimo “lenght”, evidentemente indigesto a tutte le latitudini dell’empireo heavy metal tricolore, la stessa “H” assassina si propaga all’interno di Mothorhead. Daniele “Bud” Ancillotti, il cantante della Strana Officina, viene poi fatto passare per un chitarrista…
Al di là di questo Ars et Metal Mentis è lavoro intrigante, a tratti maniacale, sicuramente definitivo, che tratteggia alla bisogna il carattere e la personalità di Mario “The Black” Di Donato, antico e unico cantore in lingua latina delle gesta del Metallo, nonché uomo dalla sensibilità contagiosa, come chiunque abbia avuto il piacere di conoscerlo di persona può confermare. C’è da andare fieri di avere un connazionale come Lui.
Chiudo riportando pari pari una serie di dichiarazioni rilasciate dallo stesso uomo di Pescosansonesco tratte dal libro, a pagina 152, che possono essere lette, con un po’ di fantasia, come la parafrasi della Sua vita artistica, così come del volume marchiato Crac Edizioni che lo riguarda.
“Quando suonavo con le mie precedenti band, durante i concerti, poteva anche capitare che ci fossero persone nel pubblico che si distraevano e che non si coinvolgevano al 100%. Non che la nostra proposta musicale fosse così noiosa ma probabilmente non si riusciva a trasmettere sempre in maniera completa le nostre emozioni e sensazioni. Con i The Black invece la partecipazione del pubblico è totale e si crea una perfetta simbiosi tra i fans e gli artisti sul palco. La cosa più incredibile è che quando iniziamo il concerto le persone non si scatenano e non saltano come succede tipicamente nelle serate Heavy Metal ma restano in religioso silenzio, a bocca aperta, affascinati dall’atmosfera che riusciamo a creare sul palco. Solo in un secondo momento il pubblico si lascia andare e si “risveglia” dal mistico torpore iniziale. Questa cosa si ripete magicamente ad ogni serata dei The Black, sia che suoniamo in Italia sia che suoniamo all’estero”.
Stefano “Steven Rich” Ricetti