Report: Machine Head + Mastodon (Live, Trezzo, 19-06-2007)
Report di Alberto Fittarelli
Fotografie a cura di Enzo Mazzeo
Il concerto dell’anno? Come sempre definizioni come questa sono opinabili e
soggettive, ma è un dato di fatto che quello a cui ho assistito il 19 giugno al
rinnovato Live di Trezzo d’Adda sia stato uno show da incorniciare, uno di
quelli che si ricordano a lungo.
Iniziamo col dire che la sede dello spettacolo, l’arena esterna del nuovo locale
in provincia di Milano, è assolutamente appropriata: non eccessivamente grande,
anzi, ma dotata di un ottimo impianto audio e luci e soprattutto di un feeling
da ‘minifestival’ che sicuramente ben si adatta a gruppi appena passati
dall’oceanico Download Festival di Donington e da alcune altre apparizioni
caratterizzate da folle di grandi dimensioni.
Il bill prevedeva in apertura i tedeschi Caliban, a sostituire i
defezionari Chimaira, e il giudizio su di loro dev’essere impietoso: non pochi
tra il pubblico hanno infatti rimpianto gli autori dell’ottimo Resurrection,
visto che i tedeschi hanno dato vita ad una prova scialba, statica e
sostanzialmente noiosa. Quello che è mancato a loro in occasione del concerto
lombardo è stato il carisma: non basta un set di pezzi più o meno buoni (anche
se col riff di Blinded By Fear degli At The Gates utilizzato nel
pomeriggio per provare i suoni della chitarra hanno detto molto, se non tutto,
su di sé), anche se spesso troppo uguali gli uni agli altri; e nemmeno è
sufficiente un look uniforme e di sicuro impatto (camicia bianca sporca di ‘sangue’
per tutti i membri della band). Tutto questo svanisce di fronte ad una prova ad
impatto zero, ad un truccatissimo frontman, non certo a suo agio con una folla
da scaldare, ad una coppia di chitarristi da cardiogramma piatto specie quanto a
presenza scenica, e la breve performance scivola via nel caldo di Trezzo, sotto
a un sole che non accenna ancora a togliere il disturbo. Le speranze suscitate
6/7 anni fa con gli esordi non sembrano purtroppo trovare conferma nei Caliban
di oggi, peccato.
Ma è ora il momento dei Mastodon: amateli o odiateli, gli americani
sono la band più sinceramente rivoluzionaria che il metal abbia partorito negli
ultimi anni, ed era non poca l’attesa nel rivederli dal vivo dopo un tour con le
star Tool, in un contesto quindi decisamente più ‘heavy’ e probabilmente
congeniale a loro. Chi li ha già testati dal vivo sa benissimo che una delle
loro peculiarità è la scarsità di comunicazione col pubblico: e Troy
Sanders, per non smentirsi, appena dopo aver raggiunto il microfono si
profonde in un “Hello! Mastodon, hello!” e attacca
immediatamente col primo pezzo, che dà inizio ad una setlist senza un solo
attimo di respiro. Tra pezzi che riproducono la quasi totalità dei due ultimi
(capo)lavori Leviathan e Blood Mountain, più una
breve escursione nel debut Remission, il gruppo di Atlanta abbatte
sul pubblico una valanga di riff senza sosta, dando costantemente l’impressione
di plasmare con la massima scioltezza un’essenza musicale tanto multiforme da
risultare indefinibile: Iron Tusk, con la sua carica immensa, il riff
dirompente di Circle Cysquatch, l’impatto frontale di The Wolf is Loose,
le emozioni di Colony of Birchmen sono solo alcuni frammenti di uno show
che si imprime a fuoco in chi vi ha assistito. Troy e il tatuatissimo
chitarrista Brent Hinds si dividono le vocals, Bill Kelliher
cesella virtuosismi e riff da sberla in piena faccia e, soprattutto quella
piovra di Brann Dailor si rende protagonista di una vera e propria gara
di bravura e potenza con il drummer che lo seguirà nella serata, Dave
McClain.
La chiusura è ovviamente con Blood And Thunder, opener di Leviathan
che, con la sola partenza del riff principale, scatena il pogo definitivo nella
già stremata folla ai piedi del palco. Prestazione infuocata, e guai a chi dice
che non sono loro il futuro del metal.
Tempo di cambiare il palco e provare velocemente gli strumenti ed ecco
apparire i rinati Machine Head: la formazione di Oakland arriva sui
palchi italiani forte di un disco semplicemente perfetto come The
Blackening, che mostra forte il richiamo di un metal classico e di una
vena thrash antica ed allo stesso tempo rivitalizzata con arrangiamenti
complessi e veri e propri pezzi da collezione. Mancano da un po’ dai palchi
italici, e l’attesa da parte del pubblico è palese: subito dopo l’esibizione
dei Mastodon la già forte pressione sotto al palco si fa in certi tratti quasi
insostenibile! Ecco quindi salire i 4 thrashers americani, che attaccano come
previsto con uno dei gioielli del nuovo album, quella Clencing The Fist Of
Dissent che racchiude in sé tutte le caratteristiche dei Machine Head A.D.
2007: potenza, violenza, tecnica e melodia, il tutto in una struttura
insospettabilmente classica. Dopo i primi minuti di suono un po’ confuso, col
gruppo che cerca velocemente il rapporto col pubblico, il feeling raggiunge
subito livelli altissimi, con Robb Flynn che spinge il pubblico a cantare
e pogare di fronte al palco. La scaletta copre bene tutta la carriera della
band, andando a riprendere vecchi inni come Ten Ton Hammer così come
qualche fuggevole estratto dal periodo più controverso dei Machine: una The Blood, The Sweat, The Tears
presa direttamente dall’ammiccante The Burning Red è l’emblema di
un momento compositivo ormai passato, ma non dimenticato.
Inutile dire che il pathos raggiunge livelli massimi sui veri e propri
anthems di sempre del gruppo, da una Take My Scars da 30 tonnellate a una
Old eseguita in modo impeccabile e che sa prevedibilmente sconvolgere il
pogo; ma soprattutto i nuovi pezzi si confermano delle perle anche dal vivo,
nonostante qualche sbavatura vocale sulle parti pulite (il gigante Adam Duce
non è il corista più intonato del mondo, diciamolo): Now I Lay Thee Down
miete vittime, Aesthetics Of Hate (con tanto di intro di Flynn che
ricorda l’amico Dimebag Darrell) uccide i pochi superstiti e il capolavoro Halo,
vero e proprio scrigno emotivo, fa piazza pulita dei resti. Dave McClain,
come accennato recensendo i Mastodon, è semplicemente un mostro: preciso,
potente ma soprattutto spettacolare, si potrebbe dire che tiene il palco
dividendolo equamente con i restanti 3 compagni di gruppo, cosa decisamente rara
per un batterista. Lo spettacolo scivola via, in un Live ormai in delirio (e
fornito anche di pubblico straniero: avvistati spettatori scozzesi, tedeschi e
francesi), verso i doverosi bis, con Descend The Shades Of Night e la sua
intro di chitarra acustica a fornire una breve pausa prima della mazzata finale,
quella Davidian che tutti aspettano e che come sempre finisce i poveri
reduci delle prime file.
Caliban a parte, del resto poco più che comprimari questa sera, si è
trattato di un concerto, lo si diceva, da ricordare: rare emozioni, unite ad una
potenza ben distinta dal puro ammontare dei watt espressi, sono state l’essenza
di una serata intensa come poche altre, ultimamente, sui palchi italiani. È
notizia recente che i Machine Head torneranno a suonare nel nostro Paese
in autunno, mentre i Mastodon si concentrerano presumibilmente sulla
realizzazione di un nuovo album; per il momento chi non c’era sappia cosa si è
perso.