Report: Metallica – Bologna (22/07/08)
Notte magica a Bologna; cinque anni dopo l’ultimo show solitario nel capoluogo felsineo, torna uno dei nomi più osannati e vilipesi della storia della musica. Allora c’era da promuovere un controverso St. Anger, oggi si attende un enigmatico Death Magnetic, la cui uscita ancora a venire amplia di molto le possibilità di composizione della scaletta. Esperienza insegna che dai Metallica ci si può aspettare di tutto, ma con una certezza: imbracciati i ferri del mestiere, nell’aria frizzante dell’arena questo branco di animali da palcoscenico trova il proprio habitat naturale. Ecco dunque il resoconto dell’esibizione tenutasi all’Arena Parco Nord la notte di martedì 22 luglio 2008 e di ciò che i presenti hanno potuto vedere, udire e sentire.
Riccardo Angelini
Il compito di scaldare il già rovente palco dell’Arena Parco Nord tocca ai texani The Sword, recentemente saliti agli onori delle cronache per la presenza di un proprio brano (Freya) inserito un po’ a sorpresa nella tracklist di Guitar Hero 2. La scaletta, incentrata su monolitici mid-tempo sabbathiani irrobustiti da chitarroni distorti di chiara matrice stoner-doom, intrattiene la turba che comincia ad accalcarsi sotto lo stage fin dalle ore più calde del pomeriggio, riscuotendo il plauso di gran parte dei presenti. A chi osserva di più lontano, invece, resteranno probabilmente un paio di dubbi. La band appare infatti decisamente statica, tanto nella tenuta della scena quanto nella proposta musicale in senso stretto: al di là del riffing derivativo, i brani ricalcano tutti le medesime strutture e anche nel corso di un’esibizione di durata contenuta come quella odierna scadono alla lunga nella trappola della ripetitività. Si può dire comunque che il loro dovere in quest’ occasione i The Sword lo abbiano svolto senza intoppi; per una valutazione più appropriata bisognerà rivederli in altra sede.
Riccardo Angelini
Per una volta gli organizzatori ci hanno visto giusto e, invece del raccomandato di turno (chi ha detto Godsmack?), spetta a Down il ruolo di principale support act. Phil Anselmo e soci vantano un discreto seguito in Italia, come testimonia la calorosa risposta di un pubblico che seguirà a braccia alzate l’intero show. La band sfodera un’ora di musica intensa, che spazia tra i tre album prodotti finora (il debutto, Nola, risale addirittura al 1995) e chiama a raccolta i numerosi fan presenti. Tra riverberi southern e bordate doom modello Black Sabbath (una granitica Lifer), il gruppo sfoggia un repertorio di qualità e regge abilmente la scena, con l’ex-vocalist dei Pantera a comandare le operazioni. Nonostante una certa staticità nel songwriting, indigesta specialmente a chi li ascolta per la prima volta, i cinque riscuotono applausi e ovazioni, lasciando il palco con la promessa di tornare prossimamente con uno show da headliner. Nessuna cover dei Pantera come qualcuno, in fondo, sperava, ma un commosso tributo a Dimebag Darrell, scomparso ormai quattro anni or sono nelle circostanze che tutti conoscono. Convincenti.
Federico Mahmoud
Hanno venduto milioni di dischi. Sono partiti da Los Angeles con un pugno di speranze e un furgone stipato, salendo pochi anni più tardi la scaletta di un jet privato. Hanno toccato il cielo con un dito e sono ripiombati al suolo con lo stesso fragore, in preda a dissidi ed eccessi. Tragedie, divorzi, posizioni impopolari ne hanno forse minato la credibilità ma non l’affetto del pubblico, nonostante una preoccupante crisi d’identità che in studio li perseguita da anni. Dei Metallica si sono dette e si diranno tante, troppe cose, ma nemmeno i più accaniti detrattori puntano il dito contro quella che, da sempre, è la specialità della casa: i concerti. Lo show di Bologna non fa differenza e restituisce una band che, prossima a festeggiare i trent’anni di attività, si ripresenta sulle scene con le batterie ricaricate e una gran voglia di mettere il naso fuori dallo studio. Death Magnetic si avvicina e una rigenerante “Summer Vacation” casca a fagiuolo per ossigenare i polmoni e regalare – si fa per dire! – ai fan un succulento antipasto.
Lo spettacolo.
Prezzi da salasso non hanno scoraggiato gli oltre ventimila appassionati che hanno gremito il Parco Nord di Bologna, un mese dopo il pienone registrato con Iron Maiden e carovana al seguito. Rispetto al torrido venerdì di giugno il cielo ha concesso qualche nuvola di conforto, la temperatura non ha superato i trenta gradi e una flebile brezza ha fatto il resto, lasciando a grilli e libellule il compito d’infastidire i nuovi inquilini dell’Arena. Cori da stadio, striscioni e cabarettisti nati (uno, in particolare, dominatore delle colline) hanno infiammato l’atmosfera sin dal tardo pomeriggio, mentre buona parte dei paganti sfilava ancora nel circuito di transenne installato all’ingresso. L’attesa è durata fino alle 21, dopo l’esibizione dei gruppi di supporto (applauditi e supportati con calore) e un rapido sound-check. Grandioso il colpo d’occhio: agli orpelli scenografici di rito, più consoni alla dimensione indoor, si è sostituito un gigantesco maxi- schermo che ha permesso a tutti, in primis gli spettatori più lontani, di avere uno sguardo ravvicinato sul palcoscenico; nota di merito per la troupe impiegata, che ha offerto una regia dinamica, puntuale e attenta alla cura dei dettagli. Una suggestiva cornice di giochi pirotecnici ha accompagnato la band nella parte conclusiva del set, illuminando la notte bolognese e i volti di fan in visibilio. Dopo l’altalena di volumi che ha parzialmente inficiato lo show degli opener, nessun problema per gli headliner: suoni potenti e calibrati hanno dato spessore alle chitarre e profondità alla sezione ritmica, nonostante una batteria partita in sordina. C’ erano tutte le condizioni, dunque, perché si svolgesse uno spettacolo esemplare. Così è stato.
La scaletta.
Quando le prime note di Ecstasy Of Gold fuoriescono dagli altoparlanti, il boato della folla è assordante. È un rito che si ripete ogni volta: la tensione palpabile, il senso di esaltazione che serpeggia tra i presenti, il crescendo maestoso di un’opera che prepara alla battaglia; in Italia, patria del grande Ennio Morricone, la magia è doppia. Creeping Death è l’opener d’ordinanza, brano di sicuro affidamento per interazione con il pubblico (il refrain è tra i migliori del repertorio) e potenza erogata; un aitante James Hetfield sale in cattedra con grinta da vendere, trascinando gli entusiasti compagni d’avventura. Sarà la costante di tutto il concerto. Il tentacolare Rob Trujillo introduce a suo modo For Whom The Bell Tolls, classico inamovibile per lo zoccolo duro dei fan che a più riprese invoca Cliff Burton. L’arena è un coro unanime, che sovrasta i microfoni e recita a memoria strofe e ritornello. Una magistrale Ride The Lightning completa un terzetto delle meraviglie che pochi si possono permettere e conferma la volontà del gruppo, attestata dalle ultime uscite, di rispolverare a piene mani il catalogo ottantiano. Paraculata o sincero dietrofront? A ciascuno le proprie considerazioni. Di concreto c’è una scaletta che ha un sapore antico eppure così familiare, che quasi boicotta le ultime produzioni (St. Anger in testa) e, qualità insuperabile, che varia ogni sera. La sorpresa è sempre dietro l’angolo e, lupus in fabula, dopo un’applaudita versione di Harvester Of Sorrow ecco il colpo di scena: Bleeding Me. Non una scelta insospettabile (la prima è stata in Olanda, a fine maggio), ma le ultime proiezioni davano la più inflazionata Fuel come favorita. Direttamente dal vituperato Load, di cui costituisce uno degli episodi più significativi, il pezzo racconta in otto minuti l’altra faccia della medaglia, un capitolo ormai chiuso dopo le polemiche degli ultimi anni; una domanda innocua, “vi è piaciuta?”, racconta molto del rapporto di amore / odio che il combo nutre nei confronti della discografia più recente. The Four Horsemen riporta la band sui binari del thrash metal più crudo e diretto, scatenando una bolgia infernale: “Bang That Head That Doesn’t Bang” era il motto ai tempi di Kill ‘em All e, venticinque candeline più tardi, la filosofia non è cambiata; lo conferma un’ assassina No Remorse, esplosa a stretto giro di lancette. In mezzo c’è spazio per …And Justice For All, alleggerita di qualche zavorra ritmica, ma ugualmente affascinante nel coniugare partiture cerebrali al classico trademark del quartetto. Fade To Black invita il Parco Nord a un ulteriore sforzo corale ed è preludio a uno dei momenti clou della serata: Master Of Puppets. Unico rappresentante dell’album che, per molti, fotografa i Metallica alla massima potenza, il brano non fa prigionieri per impatto e ferocia esecutiva, dimostrandosi elemento insostituible in scaletta. Micidiale. Non è da meno Whiplash, rullo compressore che travolge le ultime resistenze e chiude un uno-due da applausi. Molti, inutile negarlo, si trovavano a Bologna per una canzone: Nothing Else Matters, ballad di fama planetaria, icona di un disco che nel 1991 rompeva i ponti col passato per spalancare le porte del successo. E allora via di accendini (o cellulari, all’occorrenza)… Dal platinato Metallica, o Black Album che dir si voglia, vengono riproposte anche le immancabili Sad But True ed Enter Sandman, non prima che una strepitosa One abbia incantato la platea con trionfo di effetti speciali. In chiusura la roulette dei bis, con la cover di rito (un’energica So What) e un viaggio nei meandri dello speed metal di Motorbreath e Seek And Destroy. Total running time: due ore piene, pause ben diluite e una scaletta allestita con intelligenza. Forse qualcuno lamenterà il trattamento riservato a Master Of Puppets (chi non vorrebbe Battery? Chi Sanitarium?), ma l’abbondanza di alternative a disposizione impone alle volte tagli dolorosi.
La band.
James Hetfield è il mattatore. Macina tonnellate di riff come ai vecchi tempi, regge senza cedimenti due ore di show e instaura un filo diretto col pubblico, che incita a più riprese. Diverte, si diverte e scaccia i fantasmi di chi lo voleva alla canna del gas, mettendo sul piatto tutto il carisma che l’ha sempre distinto come frontman, prima ancora che come (ottimo) chitarrista. Un’energia ritrovata che fa ben sperare in vista di Death Magnetic, specialmente dopo un prodotto controverso come St. Anger. Lars Ulrich dovrà sudare le fatidiche sette camicie per reggere i ritmi dell’amico. A Bologna non si concede distrazioni, anche se i passaggi più irruenti ne mettono a dura prova la resistenza; No Remorse lo spreme fino all’osso, ma al netto di centoventi minuti registra poche sbavature. Non è appariscente come altri colleghi, non suona per incantare le platee, eppure garantisce quantità ogni sera. Può contare su un affidabile compagno di squadra, Rob Trujillo, che mette muscoli e cervello al servizio della sezione ritmica. I Metallica vantano una nobile tradizione in fatto di bassisti e l’ex-Suicidal Tendencies, arruolato da un lustro, non fa differenza. I più lo ricorderanno per le movenze da gorilla che dispensa sul palco, ma il suo contributo è degno di nota per una band che deve tanto al potere delle quattro corde. Kirk Hammett completa una formazione che si muove a memoria, sciorinando gli assoli più amati del repertorio (da Fade To Black a One) e improvvisando sulle note del classico The Sails Of Charon, di marca Scorpions. Con James Hetfield forma un tandem agguerrito, che negli ultimi anni ha ritrovato la grinta primigenia.
Il ritorno dei Metallica a Bologna, ormai la seconda casa dei Quattro Cavalieri sul suolo italiano, coincide con una prestazione da incorniciare per valori espressi e sudore profuso. In tarda serata l’entusiasmo collettivo è alle stelle: parte il countdown in attesa di Death Magnetic, l’album che sotto l’occhio vigile di Rick Rubin è chiamato a rilanciare le quotazioni del gruppo. Bocche cucite per scaramanzia, ma con queste premesse la fiammella della speranza vive di luce propria.
Federico Mahmoud
Setlist:
01 Creeping Death
02 For Whom The Bell Tolls
03 Ride The Lightning
04 Harvester Of Sorrow
05 Bleeding Me
06 The Four Horsemen
07 …And Justice For All
08 No Remorse
09 Fade To Black
10 Master Of Puppets
11 Whiplash
12 Nothing Else Matters
13 Sad But True
14 One
15 Enter Sandman
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16 So What
17 Motorbreath
18 Seek And Destroy