Report: Opeth e Sahg @ Alcatraz – Milano 14.11.16
Report: Opeth e Sahg @ Alcatraz – Milano 14.11.16
Report e Photo Report a cura di Elena “DraconianHell” Pisu
Il regno del nord si unisce ancora una volta in quel di Milano, nella tanto attesa data dei maestri del prog gli Opeth e il loro “Sorceress” tour. La data milanese, l’ unica in Italia è quasi sold out a detta degli addetti ai lavori. L’Alcatraz apre per l’ occasione il main stage ed entrando la prima cosa che mi si profila davanti solo le decine e decine di monitor posizionati nella parete che fanno pregustare uno show con i controfiocchi.
Gli Opeth per questo grande tour si stanno avvalendo di grandi opener, i norvegesi Sahg, gli Antimatter che non hanno bisogno di presentazioni e la norvegese e dea nordica Myrkur. Che si alterneranno nell’ arco di tutto il tour.
Questa sera abbiamo la possibilità di vedere sul palco gli Sahg. Band all’attivo dal lontano 2004 e che vedeva tra i fondatori Einar Selvik, dei Wardruna che sedeva dietro le pelli. Gli Sahg propongono un raffinato e ruggente hard rock con pesanti contaminazioni doom che li rendono sicuramente una band interessante e che dal vivo risulta davvero grandiosa. Nonostante ci siano tantissime persone ignare di chi sia questo quartetto l’ adrenalina è salita alle stelle già dalle prime note della loro performance, che racchiude in se i “gioielli” della loro discografia partendo da quello che è l’ultimo lavoro della band “Memento Mori”. ‘Black Unicorn’, ‘Devilspeed’ e la mia preferita ‘Blood of Oceans’ scritta con collaborazione con Einan Selvik, che ha chiaramente lasciato il suo marchio sonoro, sono sicuramente i pezzi che più trascinano il pubblico. Ma la band pesca a piene mani dalla sua discografia con pzzi come ‘Firechild’ da “Delusions of Grandeur” e quei capolavori presi dai primi 3 album degli Sahg (I,II,III) ‘Repent’ e ‘Hollow Mountain’, chiudendo la loro esibizione con la più nota canzone del loro repertorio ‘Pyromancer’, che fa toccare l’ apice di questa esibizione alla band.
La scaletta che ci hanno proposto è stata sicuramente una scelta azzeccata perchè ha regalato una visione a 360° sulla discografia della band che unita alla loro presenza scenica e potenza musicale porta gli Sahg ad aggiudicarsi, sicuramente nuovi fans. Un esibizione davvero eccellente, non monotona e sempre al top in cui Olav Iversen ,Tony Vetaas, Ole Walaunet e Mads Lilletvedt dimostrano di avere tutte le carte in regola per continuare la loro scalata nel jetset musicale, che spero li porterà presto a calcare i palcoscenici italiani. La band lascia il palco tra le ovazioni del numerosissimo pubblico che affolla l’ Alcatraz. Non è cosa scontata se dico che pubblico intorno a me è rimasto estasiato e carico di energia, cose, che solo la musica di grande spessore ti lascia dentro e chi ancora si chiedeva chi fossero gli Sahg ,perchè “sono troppo bravi per non conoscerli meglio” si precipita al merchandise… aprofittando del cambio palco che, di li a breve, avrebbe portato gli headliners della serata il tutta lo loro maestosità, sulla scena.
La mezz’oretta che ci separa dall’ inzio dello show attesissimo degli Opeth passa veloce e mi trovo ad un parterre che si riempie sempre più e come nelle migliori tradizioni italiane si alza un grido da stadio, che solo noi italiani sappiamo fare, e al grido di “Michele..Michele ..Michele” si abbassano le luci.. e ci siamo. Martin Mendez e Martin Axenrot fanno il loro ingresso sul palco seguiti a ruota da Joakim Svalberg e Fredrik Åkesson. Tutto si colora di rosso e sulle note di ‘Sorceress’ Mikael “Michele” Åkerfeldt, fa il suo ingresso sul palco, che definire trionfale è dire poco. Per chi ha delle riserve sull’ ultimo capolavoro degli Opeth potrà solo ricredersi sententone i pezzi in chiave live. Ia title track dal vivo è qualcosa di incredibile e lascia senza parole chiunque. Chi conosce gli Opeth sa benissimo la maestria che li contraddistingue, sia come musicisti che come performers e ancora una volta il quintetto svedese si dimostra davvero una delle band più spettacolari e geniali degli ultimi 20 anni. Cambi tempo gestiti ed eseguiti in modo magistrale, caratteristica questa che si porteranno dietro per tutta la loro esibizione, sopratutto quando, con la seconda canzone, ci si tuffa dentro quel capolavoro che è stato, ed è tuttora, “Ghost Reveries” mi riferisco alla grandiosa ‘Ghost of Perdition’ in cui “Michele” sfodera il suo growl migliore e che tanto mi mancava.
Atmosfere da sogno grottesco arrivano con l’ inizio di ‘Demon of the Fall’ da “My Arms, Your Hearse” durante il quale il pubblico può inizare a scatenarsi un pò.. Ma si sa, agli opeth piace molto variare e subito dopo siamo introdotti nel secondo e ultimo pezzo tratto da “Sourcess” ovvero ‘The Wilde Flowers’ che sicuramente è stato un momento di puro godimento per tutti gli amanti dei tecnicismi musicali con i suoi 6 minuti di oscillazioni oniriche che proseguono con la punta di diamante della loro discografia che è ‘Face of Melinda’, o almeno lo è per la sottoscritta. ‘Face of Melinda’ è fatta di un velluto sonoro che ti avvolge nella sua melanconica melodia e trasporta la mente lontana dal proprio “io” interiore lasciandolo vagare nel nulla e che in ‘In My Time of Need’ trova il suo naturale percorso ed evoluzione.
Lo spettacolo che ci si para davanti è perfetto…. la parete composta dai monitor crea delle video-coreografie che vanno in perfetta simbiosi con l’esibizione di questi Maestri. Immagini e parole che si susseguono dando ulteriore spessore e nuova vita ai pezzi.
Con ‘The Drapery Falls’ e ‘Cusp of Eternity’ abbiamo il privilegio di toccare l’anima degli Opeth, della quale siamo tutti innamorati e dalla quale siamo immediatamente allontanati per essere sommersi dalle note di ‘Heir Apparent’. L’ immancabile ‘The Grand Conjuration’ ci fa rendere conto, con nostro rammarico, che ci si avvicina alla conclusione di questo grande evento e anche alla fine di questo viaggio sensoriale. Lord Åkerfeldt e soci non deludono mai e prima di tornare nella “Città della Luna” ci salutano con la magnifica ‘Deliverance’ , accolta da tutti con un enorme boato ma che segna la fine di uno spettacolo maestoso e coinvolgente.
Lord Åkerfeldt e soci fanno musica con il cuore e questo continuerà a premiarli sempre.
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