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Robert Plant (1988)

Di - 10 Febbraio 2010 - 0:10
Robert Plant (1988)

Intervista con risposte ad alzo zero da parte di Robert Plant tratta dalla rivista Metal Shock numero 17 del febbraio 1988. Faccia a faccia per certi versi rocambolesco con l’ex Led Zeppelin effettuato da Katia Natola, giornalista imprescindibile in quegli anni per il magazine che vedeva Giancarlo Trombetti in qualità di coordinatore redazionale.

Buona lettura.

Steven Rich     

 

ROBERT PLANT IL MAGNIFICO

LEGEND

Di Katia Natola


Leader dei leggendari Led Zeppelin, Robert Plant è tornato ad incidere un album solo. Per la prima volta da alcuni anni a questa parte Robert si è concesso alla stampa: l’occasione è servita anche per rivisitare con il mitico cantante un ventennio di storia del Rock, e chi meglio di lui avrebbe potuto affrontare con ironia e sarcasmo ed un giustificato distacco un ambiente che sembra non conoscere più i propri limiti?! Tra le righe, nascosta dalla dissacrazione, è tangibile il peso di una leggenda che affascina ed attrae ancora lo stesso uomo che l’ha creato…


Se le ragioni principali che spingono i giovani a diventare musicisti sono – come spesso hanno sostenuto loro stessi – le maggiori possibilità di godere dei piaceri del sesso o della droga (sic!),  dobbiamo anche ammettere che dall’altra parte della barricata — tra i giornalisti, cioè — figurino l’invidia nei confronti di molti artisti o l’opportunità di vedere da vicino, magari “da pari”, certi idoli del nostro passato. Con Robert “The Man” Plant non è stato così, non del tutto, almeno. L’ho avuto, è vero, per me, ma non come accade sempre in questi casi, nessuna ora trascorsa sprofondata in una poltrona a sorseggiare qualcosa con il registratore acceso, ma una chiacchierata convulsa, con altri giornalisti alle spalle, a premere, a rubar domande, a disturbare il mio incontro con uno dei pochi, veri miti di un’intera generazione Rock. Il quattro febbraio scorso, comunque, non è trascorso invano: ho avuto il piacere di assistere alla trasformazione di alcuni dei più famosi giornalisti del mondo in comuni (mortali) fans: un’orda famelica in fila ad attendere il proprio turno per ottenere… un autografo!

Robert si sarà certamente divertito: il suo rapporto con la stampa non è mai stato banale, comunemente diretto. Forse questa è una delle ragioni per cui mi sono sempre sentita attirata dalla sua personalità misteriosa. L’essermi trovata sbandata, fuori luogo, in una situazione simile è stata una reazione comprensibile, quindi: emozionata e praticamente muta per i primi minuti, sono rimasta affascinata dall’atteggiamento sereno e divertito, dall’ironia pungente con cui Robert Plant ha dipinto se stesso, la sua musica, quella pesante eredità che si trascinerà per sempre ed il mondo musicale in genere. È stato fatto solo un breve riferimento alla politica, ma nessuna rivelazione sul significato simbolico della copertina del nuovo album, Now And Zen, in cui riappare la misteriosa figura della piuma e dei tre simboli che avevano caratterizzato il quarto album dei Led Zeppelin.

Un ritorno alle origini o solo una ricerca grafica? Non sono riuscita a domandarglielo, ma forse non ha molta importanza… ciò che ci interessa è che Plant sia riuscito a produrre l’album che avevamo atteso per molto tempo; l’album che gli Zeppelin non potranno più creare perché… perché lo sapete da soli… In una situazione musicale che sembra necessitare più che mai della intangibile, esoterica, profumata poesia degli Zeppelin, Robert Plant pubblica un disco che potrebbe non tanto riavvicinarlo al pubblico di un tempo, quanto far germogliare ancora un terreno riarso ed abbandonato, che nessuno ha più coltivato, Sul suo volto è stampato un sorriso incontrollabi1e, il sorriso di un uomo fìero di se stesso e che non si è mai dato per vinto, davanti a nessun ostacolo… e le stelle stanno a guardare…

Live Aid luglio 1985

 

Perché un titolo come “Now and Zen”; Ha forse a che fare con le religioni orientali?

“No, niente di tutto ciò — risponde pacatamente Robert — durante la session abbiamo ascoltato molta musica degli anni ’60 e mi sono ritrovato a indossare ancora braccialetti ed orecchini, a fare cose insignificanti come ai tempi in cui scrissi Kashmir, quando parlavo di cose senza consistenza. Now And Then é il vero significato; penso che il fascino dei Sessanta, la bellezza della musica di quel periodo fosse nascosta nella mancanza di autocoscienza, nella sua profonda innocenza… Ad un certo punto mi sono reso conto che l’atmosfera di questo album rifletteva, appunto, questo senso di innocenza grazie anche all’età dei ragazzi, che suonano con me e mi sono accorto che è stato un vero piacere registrarlo…”.

Ti sembra, allora, che questo sia maggiormente un album di gruppo, piuttosto che un altro “solo-project”?

“Non del tutto, dato che, in fondo, sono stato io a controllarlo per ottenere ciò che avevo in mente. Direi che Now And Zen sia il frutto dell’unione dell’abilità di vari talenti; è certamente il mio disco in cui ho ottenuto una collaborazione più stretta da parte dei musicisti, anche se sono stato sempre
io a “dirigere l’orchestra”… forse l’aiuto maggiore l’ho ottenuto dal  tastierista, la persona con cui ho
lavorato più da vicino. Ma non è detto che in un prossimo futuro non venga deciso di trasformarci in un vero gruppo e chiamarci con un altro nome che non sia solo il mio…”.

Useresti di nuovo il nome Led Zeppelin?

“No, quel nome ha poco a che fare con il mio gusto attuale”, afferma sicuro Robert.

Il tuo successo in America è quasi in ragione di uno a tre rispetto all’Inghilterra: a cosa pensi sia dovuto?

“Al fatto che qui in Inghilterra il “gioco” sia diverso, ed io, normalmente, evito di “giocare” troppo con i media – sorride sornione Plant – sto giocando adesso perché mi sento molto sicuro di quello che ho fatto e non intendo rimanere indietro! Ho scritto materiale molto buono e capisco che sedersi in un angolo a dire: “Non ho mai fatto niente del genere in passato!” non mi servirebbe un granché… Prima non ho mai curato i rapporti con la stampa e questo non mi ha creato problemi in America, dato che lì esistono altri mezzi di comunicazione, di pubblicità. Qui in Europa è più dura e c’è sempre da tenere le dita incrociate!”.

Led Zeppelin 1977. Da sinistra: John Paul Jones, Robert Plant, Jimmy Page e John Bonham

 

La calca dei giornalisti alle mie spalle si fa sempre più pressante; forse sarà il fatto di esser stati nominati solo per far capire che il loro apporto è necessario esclusivamente in funzione promozionale, certo è che avverto un discreto tumulto alle mie spalle… Qualcuno chiede a Robert se dà per scontato il proprio successo: risponde di no e sottolinea quanto abbia dovuto sudare per ottenere quel che ha oggi…

“E’ strano suonare con un chitarrista giovanissimo che ti corre intorno sul palco ed assomiglia a Sid Vicious – spiega accuratamente Robert – così come è strano rendersi conto di ottenere solo oggi quell’attenzione che ho cercato, sul palco, per anni. Solo ora il pubblico viene a vedermi senza
curarsi di quel che gli darò, ed il risultato è straordinario!”.

Dieci anni fa i Led Zeppelin erano decisamente fuori luogo, in piena invasione Punk; oggi sono tornati di moda…

“Sfortunatamente gli Zeppelin vennero classificati a fianco di gruppi veramente noiosi, come i Deep Purple, i Black Sabbath, i Jethro Tull, band, bands di merda, insomma — dice Plant sconcertando un po’ tutti — in quel periodo ci rinfacciarono di dar di noi stessi l’immagine delle rockstars inaccessibili, degli “eroi” che non hanno punti di contatto con il pubblico. E allora? Se fai della buona musica, puoi anche venire da Marte! Prince, ad esempio, chissà da dove viene, eppure è eccezionale! Sento, comunque, di dover prendere le difese degli Zeppelin, nonostante abbia cercato per tutti questi anni di prenderne le distanze: anche se ammassati a gruppi insignificanti, producevano musica eccellente!  Page ha inventato dei riff devastanti e quelli che non ha composto di proprio pugno li ha “rubati” a qualcuno, ma nel miglior modo… i testi, invece, lasciavano a desiderare, specialmente quando mi mettevo a fare quegli urletti troppo ripetuti, ma io ero il più giovane del gruppo quindi il più scusabile… (risata generale). “La nuova fama degli Zeppelin è dovuta a mancanze nelle nuove tendenze, alla musica computerizzata ed al fatto che gli eroi creati dalle case discografiche non abbiano posseduto la stessa forte personalità che avevano i gruppi del passato! Band del calibro dei Southern Death Cult (gli attuali Cult) o i Sisters Of Mercy che dicevano di odiare i Led Zeppelin hanno imparato a proprie spese la lezione…”.

Forse quel che costoro odiavano era quel che gli Zeppelin rappresentavano… ora che il rock è tornato in auge ed il pop ha perso rispetto, ti sentiresti di affermare che il musicista pop ha vita più breve di quello Rock?

“No — dice sicuro Plant — sono le canzoni che contano! Non è il genere né il personaggio che le esegue: le canzoni valide restano valide anche nel tempo”.

La sera precedente all’incontro con la stampa, Robert Plant ed il nuovo gruppo si erano esibiti al Marquee di fronte a circa 350 persone. Su tutto aveva colpito i presenti una versione ‘jazzata’ di Stairway To Heaven; Plant spiega la ragione delle modifiche…

“Successe un po’ di tempo fa: ero in un Hotel in California, quando mi si avvicina un tipo dicendomi che aveva un gruppo che aveva fatto una versione speciale di Stairway To Heaven e mi chiese di ascoltarla. Pensai che fosse magnifica, così, adesso, la eseguo dal vivo, anche se mi accorgo che così perde un po’ della serietà che la rivestiva. Al pubblico non piace questo trattamento ed in genere mi mandano in culo! ‘Non uccidere le nostre canzoni’, mi urlano…”.

Cosa pensi di chi ha derubato molte vostre canzoni?

“Tutti hanno sempre saccheggiato qualcosa da qualcuno! L’intera scuderia della Def Jam, Rick Rubin, i Beastie Boys si compreranno chili di cocaina pura vendendo i riff rubati a Jimmy Page, i ritmi di John Bonham, ma chi ha voglia di litigarci? Io non compro droga e, magari non rubo riff: preferisco le Mercedes… la musica è una stecca di cioccolata, una bottiglia di champagne, nessuno dovrebbe brontolare sull’uso che se ne fa!”.

Cosa ne pensi degli Honeydrippers?

“E’ stata un’idea divertente, ma non tornerei a farlo ancora. Credo di aver confuso troppa gente con i miei continui cambiamenti e solo ora mi sento interamente quello che sono”.

Qual è la tua canzone preferita del nuovo album e perché?

“White Clean And Neat è la mia favorita, perché è il mio tributo ad Alan Freed, the Moondog, l’uomo che l’America ‘americana’ uccise, l’uomo che fu rovinato dalla città, l’uomo che suonava musica nera di fronte a giovani bianchi e che intimoriva i benpensanti che avevano paura che potesse influenzare i ragazzi ad ascoltare la musica di Satana, il Rock and Roll; l’uomo ucciso dall’alcool. La canzone mi riporta indietro alla mia gioventù, ai miei genitori che credevano che il mondo fosse perfetto perché lo diceva Debbie Reynolds e che si spaventavano vedendomi tornare a casa dopo una serata in un club con una strana espressione in faccia… Ho scritto quella canzone per tentare di proporre altri aspetti della vita di Freed che considero ancora oggi molto attuali, guardando al mondo del misic-business… Debbie Reynolds è ancora in circolazione, questa volta ha preso le sembianze degli Spandau Ballet…”.

Cosa pensi dell’immagine che l’Heavy Metal da di sé?

“E’ una necessità di mantenersi al centro dell’attenzione, un dare in una forma perché non si ha altro da offrire in un’altra… Succede anche ai politicanti, per certi versi, solo che non hanno le medesime esigenze dei rockers! In America censurano l’Heavy Metal come se fosse una cosa pericolosa per la religione… nessuno si è ancora accorto che gli heavies sono innocui: poveri ammalati di mente che non vedono al di là del proprio naso!”.

Queste opinioni sarcastiche a cosa sono dovute, forse alla maturità?

“Non so, con gli Zeppelin non ero così imprudente… il mio successo è diminuito, ma la mia impertinenza è aumentata! Forse sarebbe meglio se fossi paranoico ed incredibilmente famoso…”.

Plant on stage con la Band Of Joy, 1988

 

Cosa riesce a turbarti?

“E’ difficile rispondere, mi chiedi troppo… voglio il successo, sarebbe ridicolo dire il contrario, ma è dura, con l’ombra degli Zeppelin che mi segue ovunque… Solo ultimamente mi sono ritrovato a riflettere su quello che abbiano rappresentato per me, non solo come successo, ma per quello che erano. E’ un passato che rappresenta l’ambiguità del Diavolo: da una parte non ho alcuna chance di poter toccare ancora, da solo, la grandezza, il potere che essi avevano: dall’altra sono eccitato dallo stimolo di provarci, almeno…”.

Credi di festeggiare in qualche modo i vent’anni degli Zeppelin che cadono proprio quest’anno?

“Non penso proprio ci sia bisogno di commemorazioni — dice tranquillo Robert —, gli Zeppelin hanno fatta della buona musica, questo è quello che rimane di loro; festeggiare a distanza di tempo sa di commemorazione e questa parola si usa per le cose negative, per ricordarle meglio… inoltre,  personalmente, sono 22 anni che incido, Page ancora di più ma le gente pensa solo agli Zeppelin!”.

Che ricordo hai del Live Aid?

“E’ stato tremendo — dice Plant con un’espressione di disgusto sul viso — il nostro concerto è stato una vera pena! Tutto il resto, invece,  è stata una cosa grandiosa. Il mio problema fu che avevo appena fatto tre show di fila ed ero rimasto senza voce, Page aveva riciclato la sua vecchia chitarra che non toccava da dieci anni… e che era ancora da accordare poco prima di salire sul palco… ma l’intera ‘saga’ dei Led Zeppelin sì è scatenata quando siamo saliti sul palco… a me è sembrato più un cane che volesse mordersi la coda! L’idea di dover rifare la stessa cosa ogni notte è forse quello olio mi spaventa di più, oggi. Tornare a stare su un palco con Jimmy Page è un po’ tornare a stare con un ex-moglie: le cose non sono mai le stesse di un tempo…”.

Parlare di una riunione dei Led Zeppelin è quindi inutile?

“Si, la nostra separazione è definitiva – risponde sicuro Plant – io e Jimmy continueremo a scambiarci favori, ma non ci riuniremo mai per nostalgia.  Inoltre, credo sinceramente che questo mio album possa rappresentare per me tutto ciò che i Led Zeppelin avrebbero dovuto arrivare a fare se fossero esistiti ancora: un bel rock’n’roll moderno, che mantiene la spontaneità con cui è stato creato. Se Page e Jones avessero partecipato direttamente al disco, sarebbe stato diverso… Ho creduto giusto chiamarlo per Heaven Knows perché mi ricorda molto gli Zeppelin e volevo che Jimmy mi prestasse la sua ritmica… senza rimanerci molto attaccato… lo stesso vale per Tall Cool One”.

Hai letto “The Hammer Of The Gods”, la vostra biografia, ufficiale?

“Solo il paragrafo che mi riguarda, per vedere che opinione era stata data della mia carriera, non il resto. Il grosso problema di quel libro è che fu fatto dal nostro ex tour manager, un individuo con guai con l’eroina che ha infilato in quella stola tutto quello che gli era successo con gli Yardbyrds, i Vanilla Fudge, Jimi Hendrix ed altri con cui aveva lavorato, riunendo il tutto sotto il nome dei Led Zeppelin per assicurarsi dieci settimane di vendite ininterrotte!”.

Come vedi lo sfruttamento dell’elemento diabolico nella musica rock?

“E’ disgustoso e non comprendo assolutamente gente come Ronnie James Dio o Ozzy Osbourne.  Inoltre non credo che l’effetto visivo venga aiutato in qualche modo da quel genere di testi… Trovo ridicolo infilarsi cappucci in testa o fare strani gesti con le mani… la connessione degli Zeppelin con l’occulto derivò dall’interesse di Page per Aleister Crowley e tutto si risolse in alcuni bozzetti disegnati da Jimmy e che non ho neppure mai visto! Non amo questa associazione, specialmente se riferita a Stairway To Heaven che era stata scritta con tutt’altre intenzioni… Se la nostra leggenda deriva da associazioni del genere, è davvero usurpata!”.

C’era animosità tra i gruppi di una volta?

“No, non eccessivamente; ce n’era un po’ tra noi e gli Stones, ma roba da poco…”.

E fra te e David Coverdale?!

“Chi, scusa? — domanda Robert come se non avesse mai sentito parlare di Coverdale — mi pare di averlo conosciuto quando faceva il verso a Paul Rodgers…”.

Hai visto l’album di Michael White? Che pensi della copertina?

“…Penso che dovrebbe fare una dieta – risponde serio Plant — lo conosco perché lo incontrai nel Colorado; faceva parte di un gruppo, i White. Facevano tutte cover degli Zeppelin suonando anche di fronte a grosse platee; ognuno di loro si vestiva come facevamo noi e si atteggiava come facevamo un tempo… Hanno anche scritto del buon materiale, quando si chiamavano White; io e Page stavamo per scritturarli per la Swan Song (la famosa label degli Zeppelin ndr). La nostra intenzione era di far uscire l’album con il nome di Led Zeppelin…”.

Cosa ascolti in questo periodo?

“Sinead O’Connor, Husker Du, Faith No More… darei qualsiasi cosa per avere una copia del Black Album di Prince, penso che molti altri farebbero lo stesso!”.

Sei davvero sicuro che non faresti qualcosa di meraviglioso suonando ancora con Page?

“Ho fatto una canzone sul suo album; lui mi ha dato una base musicale su cui io ho scritto i testi e cantato. Sono sicuro che non riusciremmo mai ad eguagliare quello che abbiamo fatto in passato… forse, se ci sedessimo a fianco per un anno e tornassimo ad abituarci uno all’altro, qualcosa di buono verrebbe fuori. Il problema il che non ho più molta pazienza come una volta e tendo a scrivere di getto, senza riflettere troppo e non so se ne valga veramente la pene di perdere così tanto tempo… Siamo comunque grandi amici e se le nostre strade dovessero nuovamente incontrarsi, dovrà essere una cosa naturale, da cui trarre entrambi piacere”.

Hai molti rimpianti?

“Rimpianti — sospira Robert— è una domanda che non amo… ti tornano alla mente cose che non avresti dovuto fare… come andare in tour nel ’75 perché la mia squadra di calcio andava molto bene, oppure nel ’77 perché morì mio figlio…”.

Quali canzoni non vorresti  aver mai scritto?

“Living Loving Maid é forse la prima della lista! E’ tremenda, ha testo orribile… Misty Mountain Hop è divertente, ma mi fa pensare se sia davvero stato io a scrivere quei testi!”.

Ascolti ancora i tuoi vecchi album?

“L’ho fatto recentemente — sorride piacevolmente Robert — il ragazzo di mia figlia suona in un gruppo e sosteneva che noi facevano un sacco di errori con i tempi… così gli ho fatto riascoltare i vecchi pezzi… e gli ho dimostrato che si sbagliava…”.

Robert sorride ancora una volta. Guarda dritto negli occhi quella massa tumultuosa di giornalisti, eccitati ed ormai incontenibili, pronti con i foglietti e le penne in mano… si alza e si allontana leggero. Appena scomparso dietro una porta, la stanza sembra ripiombare nella normalità quotidiana… per un’ora – lo scommetto – a tutti è sembrato di vivere in un film, davanti ad un personaggio immaginario. Now And Zen è la sola prova che dimostri ché non si è trattato di un sogno…


KATIA NATOLA


Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti