Vario

Schizo (Dario Casabona)

Di - 7 Agosto 2007 - 13:18
Schizo (Dario Casabona)

Il 2007 ha visto il ritorno sulla scena di una formazione storica del metal
estremo nostrano, da cui si aspettava da troppo tempo il seguito del mitico
Main Frame
Collapse
. Le preghiere sono state esaudite,
Cicatriz Black
è finalmente giunto tra noi, riprendendo un discorso che non è mai stato
dimenticato dai sostenitori della band catanese. La parola al batterista Dario
Casabona. Buona lettura. Intervista a cura di Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli.

Ciao ragazzi, prima di tutto complimenti per il ritorno sulle scene! Mi
potete riassumere brevemente cos’è successo nel non breve periodo tra i due
full-length? Non a tutti è noto che in realtà avete continuato a scrivere
musica…

Grazie mille dei complimenti, innanzitutto. In effetti c’è una sorta di
controversa luce che illumina questa lunga porzione temporale che intercorre tra
“Main Frame Collapse” e “Cicatriz Black”, e di sicuro non è tra i compiti più
semplici riuscire a sintetizzare gli accaduti… Gran parte degli anni ’90 ed i
primi del 2000 furono generalmente caratterizzati da varie vicissitudini che
misero a dura prova i nostri nervi (nello specifico parlo di me ed Alberto):
citando a caso, fallimento dell’etichetta (Nosferatu rec.) con conseguente
annullamento dello studio con un certo Andy Sneap in consolle, carenza di
vocalist, problemi mistici (per così dire) interni alla line-up, insomma chi più
ne ha più ne metta. Sicuro, abbiamo continuato a suonare, nonostante tutto. Non
sono stati di certo tempi facili, ma forse hanno contribuito a mantenerci ancora
inequivocabilmente vivi, quindi tutto sommato siamo felici così.

Come siete arrivati infine a ricompattarvi su un suono thrash/death così
violento, classico e allo stesso tempo moderno?

Il tutto è avvenuto nel più semplice dei modi, senza troppi calcoli o eccessi
razionalistici. Ciò che gli Schizo “furono” sono tornati ad “esserlo” in maniera
naturale grazie al ritorno di S.B . Reder in formazione, deus ex machina
dall’immutata volontà di far musica come ai vecchi tempi, con la stessa “nera”
attitudine che si palesava esplicitamente negli anni ’80. E’ anche ovvio, però,
che una maturazione stilistica, tecnico/compositiva sia avvenuta in tutti noi
durante questi anni di devozione alla “causa”, permettendoci di ampliare il
nostro linguaggio espressivo e, perchè no, donando anche un tocco di modernità,
pur nel rispetto della “tradizione”.

Parlando delle singole composizioni, salta subito all’occhio che tra i nuovi
pezzi ce n’è anche uno che nuovo non è, essendo stato composto nel 1988: ‘Coma’s
Grip’. Come siete riusciti a riadattarlo al vostro odierno sound?

Ed infatti non ci siamo riusciti (ride)! Scherzi a parte, ci tenevamo parecchio
a registrarlo, proprio perchè questo brano non ebbe ai tempi la fortuna di
venire alla luce in modo ufficiale. Il suo feeling è veramente “old” e non si
discosta, proprio per la sua datazione, dal materiale presente su M.F.C.
Comunque il lato grottesco di questo pezzo, tra l’altro in parte sollecitato da
un – ahimè – vero accaduto, risulta essere il suo punto di forza, a nostro
parere.

La velocità sembra farla da padrone, ancora più che in passato, tanto che
arrivate alle soglie di certo grind talvolta: avevate come obiettivo il rompere
le barriere dell’estremo italiano?

Velocità e aggressione, così come psicosi e follia, fanno parte di questo
progetto musicale da sempre. Anche in questo caso non vi è nulla di premeditato,
semmai esclusiva voglia di creare parossistiche scosse interiori in noi stessi
prima di tutto, e nella gente che condivide la nostra musica e che riesce a
coglierne il movente più profondo. Le gare a chi va più veloce, ed il “fine a sè
stesso” in generale direi che non ci riguardano.


Sono rimasto particolarmente colpito dalla produzione: si direbbe uno studio
estero dalla qualità, se non fosse che avete registrato a Catania…
Ti ringrazio, e devo dire che questa cosa ci fa particolarmente piacere, in
quanto il lavoro di produzione non è stato di certo dei più agevoli e lineari.
Durante la pre-produzione in sala, si discusse molto su dove e con chi si
volesse registrare questo disco, e non nego che l’ipotesi estera era tra le più
accreditate in un primo momento, ma qualcosa ci spinse a dirottare quel corso
che stavamo intraprendendo, cercando una soluzione meno standardizzata e più
affine a ciò che volevamo trasmettere con “Cicatriz Black”. Lavorare “in casa”,
anche con un team affiatato ed amichevole come quello con cui ci siamo
rapportati, e la continua ricerca di un sound crudo, senza fronzoli, e
assolutamente non patinato come certe produzioni contemporanee, sono state le
carte vincenti di questo lavoro, a nostro avviso. A volte basta solo dare più
fiducia a chi si ha intorno, soffocando certe manie esterofile che potrebbero
rivelarsi poco fruttuose. Poi, in futuro, vedremo, non escludiamo nulla a
priori…

Potete spiegarmi il significato della frase inserita sul retro del CD “Le
ferite si cicatrizzano, ma le cicatrici crescono insieme con noi” nel contesto
del disco, visto che mi sembra la colleghiate direttamente al titolo?
Fondamentalmente quest’affermazione riassumeva il concept di “Cicatriz
Black” e ci è subito piaciuta l’idea di inserirla, quasi come epigrafe,
nell’artwork finale. La cicatrice che, dopo il totale “collapse”, si è venuta a
creare sia sulla nostra carne (come si può ben notare nelle foto interne del
booklet) sia, cosa ben più grave, nel nostro spirito, diventa paradossalmente
simbolo di forte volontà e di vittoria (la copertina disegnata da Lorenzo
Mariani ne è l’esatta rappresentazione, appunto), e la musica che trovi in
questo disco non è altro che questo vibrante tentativo di uscire dal “nero” di
cui tutti siamo, in fondo, nient’altro che vittime.

Se non sbaglio all’inizio di ‘M.G. 1942’ è presente il sample di un comizio
di Hitler, non temete che la cosa possa crearvi qualche problema magari in quei
Paesi particolarmente ‘sensibili’ alla cosa?
Mi spiace correggerti ma si tratta di un discorso di Goebbels miscelato ad
affermazioni di Churchill, ma noto che quest’ultimo non salta mai all’attenzione
quanto il primo (ride)! Ed in effetti qualche piccolo problemino lo ha creato,
soprattutto inizialmente, ma tuttavia si è trattato di ostacoli facilmente
superabili, fortunatamente. Sinceramente credo ancora sia nel buon gusto del
“dosare” sia nella totale libertà quale legge universale nel campo dell’arte e
della creatività, di conseguenza non penso che fare chiari riferimenti a realtà
storiche che fungano da cornice al substrato musicale sia mancanza di rispetto
per qualcuno. Poi, in fondo, noi continuiamo a seguire la nostra strada… and
we don’t care!

Che significato ha, per voi, essere Schizo nel 2007? Che obiettivi vi ponete?
Guardando soprattutto i fondatori di questa band puoi ben capire come le
cose non siano cambiate più di tanto con il passaggio al nuovo millennio;
l’attitudine alla musica permane identica nel corso del tempo, semmai vi è una
maggiore attenzione alla cura del dettaglio, ma fondamentalmente l’approccio
oscuro ed estremo non viene e non verrà mai a mancare. Obiettivi? Uno su tutti:
mantenere questo stato di cose ed avere sempre la possibilità di trasformare le
passioni più nere e le pulsioni più feroci in musica sotto il monicker Schizo.
Il resto, se dovrà esserci, verrà da sé…


Vi sentite inseriti in una scena metal italiana? O agite semplicemente per
vostro conto, senza curarvi dei legami con band connazionali o meno?
Siamo sicuramente legati ad alcune bands, e non solo per mere cause
musicali, ma anche per motivi personali e di amicizia (vedi Necrodeath,
Novembre, Glacial Fear, etc.), ma sinceramente non credo si possa parlare di una
e vera e propria scena italiana, malgrado io sia stato da sempre estimatore dei
nostri “prodotti tipici”. Certo è che la nostra collocazione geografica ci
spinge molte volte a lavorare in solitudine, direi, ma tutto sommato ciò non è
per noi un grave rammarico…

Siete stati citati, in passato, da diversi artisti estremi come influenza
basilare per ‘Main Frame Collapse’, assurto subito al ruolo di disco di culto:
che effetto fa?
La forza di “M.F.C” risiede tutta nella sua primordiale personalità, e non
mi stupisce che molti artisti, anche piuttosto quotati, lo citino come una tra
le più importanti fonti d’ispirazione. Ad ogni modo, sebbene sia gratificante,
gli Schizo non si vogliono ancorare a quello che fu solo un ottimo punto di
partenza che nel corso del tempo è stato sempre più rivalutato e di cui è stato
compreso il valore, anche rispetto al periodo ed al luogo in cui uscì…

Quell’album tra l’altro è stato stampato su CD per la prima volta solo l’anno
scorso: credete che se avesse ricevuto una distribuzione migliore la vostra
storia sarebbe cambiata?
Forse, come probabilmente sarebbe cambiata se il ritorno di S.B. fosse
avvenuto prima del 2006, ma gli eventi furono diversi, e su questo non creiamo
eccessive tragedie. Hic et Nunc!

Del trio Schizo/Bulldozer/Necrodeath mancano oggi solo i milanesi, credete
che sia auspicabile anche una loro reunion? Che ricordi avete di quella fine
degli anni ’80 in cui insieme eravate la bandiera del metal italiano più
violento?
E’ molto facile che alcune sere, durante le prove, riaffiorino ricordi su
quegl’anni che, nel bene o nel male, furono indubbiamente magici; periodi
intrisi di una certa aria dal sapore manifestatamente “estremo” e una sorta di
incosapevolezza di stare scrivendo una piccola parte della storia musicale di
questo paese. Giusto come piccola chicca amarcord, io fui quello che in tenera
età scappai di casa per andare a vedere un concerto degli Schizo (ride). Per
quanto riguarda i Bulldozer non so se sia auspicabile una reunion, ma da
estimatore della band posso dirti che ne sarei davvero lieto…

Progetti per il prossimo futuro?
Dopo l’estate alcune date con gli amici Necrodeath in giro per l’italia, poi
saremo immediatamente impegnati con il successore di “Cicatriz Black” su cui non
voglio esprimermi apertamente ma penso in tutta sincerità che sarà una vera e
propria piacevole sorpresa, non solo per gli appassionati. Grazie
dell’intervista, a presto!

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli