Simon Wright
Come avviene nel contesto degli sport di squadra, laddove le vittorie risultano il frutto non soltanto dei numeri dei fuoriclasse, ma anche dell’oscuro lavoro e del costante supporto dei gregari, così in ambito musicale non bisogna dimenticare che i successi delle cosiddette Star di primo piano si fondano anche sulla fatica e sul sudore (oltre all’indispensabile bravura) degli altri componenti della band, spesso poco valorizzati e anzi, a volte, addirittura sottovalutati da critica e pubblico, in quanto considerati alla stregua di mere pedine intercambiabili.
L’accenno a doti indispensabili quali umiltà e professionalità, che rappresentano qualità essenziali non solo nel Rock, ma anche nella vita, costituisce – a mio avviso – una pertinente introduzione per l’intervista che segue, in quanto il suo protagonista incarna pienamente entrambe queste doti.
Treuemetal oggi ha l’onore di incontrare uno dei più bravi batteristi in circolazione (secondo il modesto parere di chi scrive), al secolo Simon Wright da Manchester (UK), classe 1963, il quale, dopo anni di gloriosa militanza nelle armate di Dio, ci racconta un po’ di sé, delle sue esperienze e della musica in generale, nella piacevole atmosfera di una divertente chiacchierata fra vecchi amici, grazie soprattutto alla grande simpatia che ispira il personaggio.
Bene Simon, cominciamo dall’inizio della storia: quando hai sentito per la prima volta, nella tua vita, il richiamo della musica? C’è stato qualche disco che ti ha acceso la fiamma, come si suol dire?
Ti confesso che in Inghilterra, negli anni 70, era piuttosto difficile trovare dell’Hard Rock o del Metal in radio, eccezion fatta per uno show di 2 ore condotto da Tommy Vance, al venerdì sera, che io ascoltavo sempre; inoltre guardavo, in tv, un programma chiamato “Top of the Pops”, e potevo ammirare gruppi quali Status Quo, Thin Lizzy ecc., che mi hanno spinto a comprare il primo album dei Led Zeppelin: è in quel momento che ho veramente iniziato ad amare la musica Heavy.
Ricordi il primo concerto che hai visto? Quanti anni avevi?
Mmmhhh… credo avessi circa 13 anni: si trattava dei Runaway.
Quando è nato, esattamente, il tuo amore per la batteria? A quale età precisamente?
Penso che avessi circa 10 o 11 anni, quando effettivamente iniziai a percepire il lavoro dei batteristi nelle band: mi sembrava una cosa proprio interessante da fare e così convinsi mio padre a comprarmi un drum kit e incominciai a suonare, accompagnando i vari album e immaginando il risultato finale.
Mi risulta che iniziasti a suonare in una band quando avevi 16 anni. E’ vero?
Sì, verissimo. A 16 anni stavo in una band chiamata AIIZ, a Manchester.
In quei giorni la tua famiglia ha condiviso la tua decisione di darti alla musica?
Assolutamente! Mi hanno sempre supportato. They rock!
Quali sono i batteristi che ti hanno dato l’ispirazione, a quell’epoca?
Ascoltavo più batteristi che potevo, a quei tempi, ma i pochi che mi hanno veramente ispirato sono stati John Bonham, Cozy Powell e Bryan Downey.
Questa è una domanda che faccio spesso. Sai che in Italia il calcio è lo sport nazionale; ci sentiamo tutti dei coach e ci divertiamo con la fantasia a formare le nostre squadre preferite. Potresti dirmi la formazione della migliore band di tutti i tempi, secondo te? Immaginiamo una line-up di 5 elementi: voci, chitarra, basso, tastiere e batteria: dimmi il tuo “dream team” segreto, dunque!
Bella domanda! Bene, vediamo:
Ronnie James Dio – voce
Eddie Van Halen – chitarra
John Paul Jones – basso
Rick Wakeman – tastiere
Neil Peart – batteria.
Non sono sicuro se la cosa avrebbe funzionato, come band, però – sotto il profilo essenzialmente musicale – il progetto sarebbe stato proprio interessante. Non credi?
Senz’altro! Un po’ di fantarock non guasta mai, no? Ma dimmi, sempre parlando di band del passato: quali sono le migliori secondo te?
Beh, ce ne sono così tante… Led Zeppelin, UFO, Sabbath…
E quali sono le tue preferite in questo momento?
Mmhh… Potrei citare: Nickelback, Danko Jones, Broken Teeth, Airbourne, ecc.
Da te in effetti mi sarei aspettato gli Airbourne, eh eh! Puoi rivelare che tipo di musica ascolti di solito? Solo Hard Rock e Metal, o altro?
Principalmente Heavy, e occasionalmente musica classica.
Potresti citare i più importanti album della storia del Rock, secondo la tua opinione?
Rainbow – Rainbow Rising.
AC-DC – Back in Black.
Led Zeppelin – Physical Graffiti.
Deep Purple – Machine Head.
Fra tutti i concerti che hai visto, qual è quello che più ti ha impressionato, da spettatore?
Roger Waters: stavamo {come DIO} a un festival in Olanda. Roger era headliner, e sono rimasto a guardare lo spettacolo: davvero fenomenale quello show, con tutte le classiche canzoni dei Floyd e molto altro ancora.
Torniamo alla tua storia, Simon. Sei nato a Manchester, e mi pare di ricordare che tu sia stato coinvolto in un progetto con le Girlschool, quando ancora eri giovanissimo. Com’è successo?
Stavo in una band chiamata AIIZ, come ti ho detto prima: aprivamo per loro nel British Tour. Era il primo grande Tour nel quale fossi stato coinvolto, e ricordo che le ragazze erano davvero grandi.
Dopo le tue prime esperienze con band quali Tora Tora e Tytan, sei entrato negli AC-DC nel 1983, giusto? Puoi raccontare come hai fatto a diventare il batterista di una band così famosa?
Ho risposto a un annuncio su una rivista musicale, che diceva: “se non picchi duro, non rispondere”. Come vedi, la morale della favola è questa: vale sempre la pena leggere certi annunci “cercasi musicista”; non si sa mai..!
Ah ah! Giusto, a volte bisogna osare… Come dice Ronnie nella canzone “Push”, no?
Tornando all’era AC-DC, hai qualcosa da raccontare di quei giorni?
Sono stati veramente bei tempi. Gli show erano qualcosa di massiccio; mi è capitato di incontrare un sacco di gente in quei giorni, frequentando quell’ambiente: alcune persone si sono rivelate positive, altre meno, proprio come succede nella vita…
Un’altra domanda sugli AC-DC: ti piace “Black Ice”?
Oh sì: è un gran bell’album, suona tremendamente solido e roccioso, tipicamente AC-DC.
Proseguiamo con la storia. Dopo gli AC-DC, sei entrato nella band di un certo Ronnie James Dio (nel 1990, giusto?). Come è avvenuto?
Bene: mentre ancora stavo negli AC-DC, abbiamo partecipato ad alcuni festival in cui c’era anche Dio; ci siamo conosciuti, abbiamo cominciato a parlare… poi, quando è arrivato per me il momento di lasciare gli AC-DC, un amico di un amico ci ha messi in contatto. Caso vuole che, proprio in quei giorni, Dio e il suo drummer avessero preso strade diverse, e così gli ho fatto sapere che sarei stato interessato a collaborare con lui. Abbiamo fatto alcune prove per l’album “Lock up the wolves” e abbiamo subito scoperto che nella band c’era buona chimica fra tutti noi.
E dopo “Lock up the wolves” hai lasciato la band per imbarcarti in altre esperienze con UFO, John Norum e Rhino Bucket. Come mai? Eri forse interessato ad altri progetti in quel tempo?
No. Il fatto è che Ronnie aveva messo in attesa la sua band, per cominciare a lavorare con i Black Sabbath, e così ciascuno di noi si è impegnato in altri progetti. Lavorare con gli UFO, comunque, per me è stato molto positivo; nonostante tutti i contrasti, si tratta di persone ottime e simpaticissime: ricordo che ci siamo fatti un sacco di risate! Lo stesso vale per i Rhino Bucket, buoni amici con i piedi per terra. Anche registrare con John è stato un vero piacere, perché è un ragazzo semplice e pure un grande musicista.
Alla fine (1999, mi sembra) sei tornato a casa (Dio), registrando “Magica”, “Killing the Dragon” e “Master of the moon”. Com’è stato per te questo rientro?
E’ stato meraviglioso. Ronnie è un grande, soprattutto dal punto di vista lavorativo; è veramente un maniaco del lavoro e ciò ti spinge a lavorare duro, a metterci sempre il massimo dell’impegno; questo mi fa molto piacere. Possiede la singolare caratteristica di saper tirar fuori il meglio dai musicisti che stanno nella sua band, ed è pure una persona divertente; anche per quest’ultimo motivo ero molto felice di essere tornato!
Nelle mie interviste sono solito domandare chi è il più grande cantante di tutti i tempi. Ma stavolta eviterò di porti questa domanda, per ovvi motivi, eh eh! Dimmi, piuttosto, qual è il più grande chitarrista con il quale hai lavorato nella tua carriera.
Beh, ti dirò: sono stati tutti grandi, tranne… Ah ah ah!
Ok, non insisto e rispetterò la tua “messa in corner”. Cosa pensi, invece, delle varie “reunion” di molti gruppi storici, verificatesi di frequente in questi ultimi anni? Parlo di Europe, Asia, Led Zeppelin, degli stessi Black Sabbath… L’unica ragione è il business, o c’è dell’altro?
Penso che la risposta stia nella sintesi di entrambe le tue motivazioni. Sostanzialmente è una bella cosa assistere a queste “reunion”: pensa solo al fatto che, quando hanno cominciato a suonare certi gruppi, molti di noi erano giovanissimi e molti non erano nemmeno nati, e pertanto è un’ottima chance, per le nuove generazioni, poter vedere dal vivo certi “mostri sacri”. Ma è anche ovvio che “business is business”, quindi ci sono anche soldi da fare, persino in quei casi in cui è rimasto un solo membro della band originaria, ah ah!
Venendo ora alla tua professione, hai qualche suggerimento da dare a un giovane batterista all’inizio della sua carriera?
Ascoltare più batteristi possibile e lavorare duro, allenarsi il più possibile e seguire il proprio istinto, divertirsi nel suonare, ascoltare cosa suonano i propri compagni, cercando anche di fare loro i complimenti, insomma creare una buona armonia.
Penso che l’avvento della tecnologia abbia drasticamente cambiato il mondo della musica, in particolare il modo di suonare e registrare, con conseguenze spesso negative sul piano dello stile personale e della creatività. Questo discorso vale soprattutto per i batteristi, non credi?
La tecnologia rappresenta il modo per sostituire certe componenti in fase di registrazione; i cosiddetti “pro tools” sono indubbiamente validi strumenti per un songwriter che non ha il tempo o lo spazio per una batteria, o magari non ha la possibilità di mettere sotto contratto un drummer. Ma è altrettanto indubbio che, per una band, non può esistere alcun compromesso per quanto concerne il feeling e la presenza di un vero batterista, sia in studio che dal vivo.
John Bonham e Cozy Powell, tanto per fare i due nomi più rappresentativi, erano totalmente diversi rispetto alla schiera di altri batteristi, grazie al loro particolare tocco, capace di dare un’inconfondibile impronta al loro stile. Pensi che sia questa la direzione giusta da prendere, per un buon drummer?
Sì, senza dubbio lo è, ma occorre tener presente che uno stile si forma a poco a poco, e arriva in modo estremamente naturale; la batteria è una cosa organica, e dipende solo da te renderla originale, grazie al modo in cui suoni, e imprimere così la tua personalità.
Quando sono a un concerto, attendo con ansia e curiosità il momento del “drum solo”. Potresti svelare come costruisci un assolo e cosa vuoi esprimere in quei minuti, o meglio, cosa vorresti che venisse percepito da parte del pubblico?
Bene: come punto di partenza, ho dei modelli che ho creato personalmente e che arricchisco di volta in volta. Non si tratta, però, di schemi fissi; diciamo che mi ritrovo a tagliarli o ad allungarli, o a renderli più intensi, a seconda dei momenti e delle necessità, “nel calore della battaglia” potremmo dire…
La mia intenzione primaria, con gli assoli, è di creare un momento spettacolare nello show, una sorta di eccitazione che la gente dovrà ricordare… Con Dio, per esempio, suoniamo a lungo e, a volte, è duro lavorare su un assolo che abbia la medesima intensità e durata delle canzoni; ciò nonostante, cerco di impegnarmi al massimo per renderlo il più tosto e speciale possibile, e spero tanto che i fans gradiscano!
Riguardo agli assoli: penso che Cozy Powell, con il suo famoso “1812”, abbia dato un saggio di come si può combinare la Musica Classica con il Rock. Anche tu – lo ricordo molto bene – qualche anno fa hai voluto ripescare il celebre pezzo di Cozy proponendolo nel tuo assolo, e dando così intense emozioni a tutti coloro che erano in grado di apprezzare questo tributo. Da allora hai continuato su questa strada, costruendo i tuoi assoli partendo da una base musicale piuttosto originale. Dove trovi l’ispirazione per comporre i tuoi assoli?
Mi è sempre piaciuto il solo di Cozy (1812) e, quando ho avuto la chance di presentare un assolo, ho subito pensato a come lui utilizzava la musica: Cozy era davvero capace di alzare la tensione creando un grande effetto spettacolare. Da parte mia ho usato 1812, così come altri pezzi che avevo sentito in tv o in radio, sebbene fosse alquanto difficile trovare il brano giusto. Molte composizioni orchestrali sono effettivamente fantastiche, ma in verità credimi, è un’impresa suonarci una ritmica, semplicemente perché quei brani non sono stati scritti, in origine, per la batteria. Tuttavia per fortuna ho sempre avuto una mentalità piuttosto aperta ed elastica, ed è questa la ragione per cui sono sempre alla ricerca di quel pezzo di musica che sia veramente speciale, per poi elaborarlo e proporlo nel mio “drum solo”.
Parlando di Hard Rock: è vero che la tendenza di questo genere è in ribasso, se paragonato ai fasti degli anni 80, oppure pensi che ci troviamo in una fase di ripresa, come sostengono i più ottimisti?
Mah… non sono così sicuro del fatto che il genere sia in ribasso. Piuttosto noto che ci sono un sacco di Hard Rock band in tour, in giro per il mondo, in questo periodo; non le vediamo più su MTV, ma i tour continuano, per fortuna…
Ora una domanda di fantasia. Se non fossi diventato un batterista, che tipo di lavoro avresti voluto fare? Il calciatore, magari? Sai, pensavo al tuo amore per il calcio…
Ah ah! Sì, il calcio in effetti è il mio sport preferito, ma il problema è che non sono molto capace. Magari come arbitro, però, avrei avuto un futuro, chissà?!
Ah ah! Dai, allora è andata bene così. So che sei un grande tifoso del Manchester United. Ma vivendo a Los Angeles, hai la possibilità di seguire le partite della tua squadra del cuore?
Beh… C’è un canale via cavo, che si chiama Fox Soccer Channel, che costituisce il mio cordone ombelicale con la Premier League inglese, così come Internet, ovviamente.
Pensi che per il Manchester Utd. sia più facile, quest’anno, vincere la Premier o la Champions’?
Nessuno di questi obiettivi si presenta come facilmente raggiungibile, questo è certo. Il Man Utd fra l’altro ha subito una notevole serie di infortuni, ultimamente, e pertanto, sebbene la squadra abbia saputo far fronte a tutte queste avversità in modo incredibile, le cose si stanno mettendo un po’ maluccio. Tuttavia sono convinto del fatto che la squadra non mollerà, vedrai.
Siamo arrivati all’ultima domanda: perché non vieni in Italia per fare qualche drum clinics? Sarebbe davvero interessante – non credi? – organizzare qualcosa del genere, proprio nel Paese che diede i Natali a molti famosi drummer; basti pensare a: Carmine e Vinnie Appice, John Macaluso, Virgil Donati, Mike Terrana, Joe Morello, Terry Bozzio, Vinnie Colaiuta, Bobby Rondinelli, ecc…
Sì, sarebbe davvero interesante: ci può essere una possibilità un giorno, perché no? Ho molti amici nel tuo Paese e, ogni volta che sono venuto in Italia, ho passato veramente dei bei momenti.
Alla fine di questa intervista, sentiti libero di mandare un saluto ai tuoi fans italiani, nonché a tutti i lettori di Truemetal.
A Truemetal: You Rock! Continuate a fare un così buon lavoro!
Ai miei fans in Italia vorrei dire: grazie per il vostro supporto. You Rock! Ci vediamo al prossimo show!
Uno show? Non vedo l’ora! E come me – credo – la pensano in molti. A presto, Simon, e grazie di cuore per la tua disponibilità. You rock!!!
Marcello Catozzi