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Sinestesia (Roberto DeMicheli e Paolo Marchesich)

Di Fabio Vellata - 26 Dicembre 2009 - 21:44
Sinestesia (Roberto DeMicheli e Paolo Marchesich)

Intervista raccolta da Daniele Peluso

In concomitanza con l’uscita del nuovo disco “The Day After Flower”, abbiamo raggiunto il chitarrista Roberto De Micheli e il batterista Paolo Marchesich dei Sinestesia per parlare, oltre che della nuova release, del mondo della musica in generale, di progetti ed aspirazioni future…
Buona lettura!

 


Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Truemetal.it! Per prima cosa direi di partire con una piccola presentazione della band a chi non ha ancora avuto modi di conoscervi.

Paolo Marchesich: ciao, grazie a te. Allora, il progetto Sinestesia nasce nel 1998 in forma assolutamente embrionale. Il 2004 è formalmente l’anno più importante della band perché raggiungiamo una certa stabilità di line up. Questa formazione è in definitiva quella che ha registrato due dischi e che ha partecipato alla compilation “It’s Christmas Time”.

Roberto De Micheli: oltre a noi, il resto della band è composto da Riccardo De Vito alla voce, Alberto Bravin alle tastiere e Alessandro Sala al basso. Fondamentalmente, tralasciando i primi anni, il gruppo nasce quando abbiamo stabilizzato questa formazione: da quel momento abbiamo iniziato seriamente a lavorare sulla nostra proposta musicale.

Sinestesia: dateci un termine non troppo “standardizzato” o “enciclopedico”. Dateci il vostro personale significato del termine che avete adottato come moniker .

Roberto De Micheli: allora, il fatto di prendere spunti musicali da svariate fonti e da svariati generi anche diversi tra loro ci ha messo in condizione di dover trovare un nome che fosse in grado non solo di rappresentare questa diversità stilistica ispiratrice, ma anche quell’immensa onda emotiva fatta di sensazioni, stati d’animo ed energie che volevamo uscissero con la nostra musica.

Paolo Marchesich: Sinestesia sintetizza perfettamente il concetto espresso da Roberto: il nome esprime ottimamente il concetto a noi molto caro di “visione sonora”, la coniugazione dei sensi e di sfere sensoriali ben distinte tra loro.

In effetti la migliore comunicazione, almeno così insegnano, è tanto più efficace quando si uniscono i messaggi visivi a quelli musicali…

Roberto De Micheli: esattamente, questo è quello vorremmo poter portare nei concerti, non appena avremo a disposizione un budget che ce lo potrà consentire. Nei nostri progetti sicuramente sono previste delle installazioni visive che possono essere coniugate con la musica. La creazione di un piccolo universo a se stante dove chi ci segue possa perdersi: un mondo dove noi possiamo decidere il genere di sensazioni da condividere con la gente, fondendoci in un tutt’uno immersi nella musica.

Credete sia questa una prerogativa del genere musicale da voi suonato? Mi spiego: queste installazioni hanno riscosso un particolare successo, per esempio, nell’ultimo Progressive Nation 2009 ad opera dei Dream Teather. Cosa ne pensate?

Paolo Marchesich: credo sia essenzialmente un caso, anche se in effetti questo è un genere di musica che si presta molto a questo tipo di esperienze di stampo puramente visivo. Credo sia piuttosto difficile creare dei buoni schemi visivi da poter associare a determinate melodie, ma di sicuro è un’esperienza che prima o poi faremo.

Roberto De Micheli: secondo me è una questione semplice: dipendo quello che devi dire. Cioè, sta tutto nel messaggio che il musicista vuole comunicare a chi lo ascolta. Se un musicista ha come obiettivo quello di sfornare centinaia di dischi senza badare troppo all’aspetto comunicativo della musica, di sicuro l’aspetto visivo conta ben poco. Perciò non lo ricondurrei al genere musicale specifico, dipende dalle concettualità che devi esprimere e le sensazioni che devi trasmettere. Dal mio punto di vista la nostra musica non appartiene nemmeno al “genere” progressive: parlerei piuttosto di crossover.

 



Spiegaci meglio quest’ultima definizione…

Roberto De Micheli: il crossover, dando per scontato che il progressive sta all’interno del crossover, è proprio la capacità di poter riunire nella stessa matrice comune le differenti influenze musicali differenti, cercando di dare più sensazioni possibili all’ascoltatore. Per noi il futuro della musica sta nel poter colorare con colori sempre diversi gli stessi disegni. Attingere al pop, attingere al rock, al progressive, al metal, alla psichedelica o all’hard rock, sempre cercando di dare alla nostra musica una struttura ben definita che parta dalle nostre cinque differenti personalità. Quello che cerchiamo di dare è un messaggio ad “ampio respiro” ecco perché cerchiamo di suonare inserendo di volta in volta il maggior numero di situazioni sonori differenti.

A questo punto, spiegateci il percorso che queste cinque persone fanno nella stesura dei questa musica.

Paolo Marchesich: il lavoro parte quasi sempre da una “visione” o da un’intuizione di un componente del gruppo che poi viene sviscerata, analizzata e ponderata dagli altri componenti. Spesso le idee vengono accantonate o scartate dal resto della band, ma questo non provoca mai dissapori ne tensioni perché tutti lavoriamo per il bene del gruppo e per il bene della nostra musica. L’interazione tra di noi è il segreto di un buon lavoro, indipendentemente da chi ha proposto la novità.

Roberto De Micheli: magari può capitare che da un’ora di jamsession esca del buon materiale su cui lavorare. Dal mio punto di vista, la cosa davvero importante è ognuno di noi ha cieca fiducia nel lavoro degli altri quattro. Il lavoro di fondo è questo: c’è un totale rispetto e una totale stima del lavoro degli altri, cosa che ci permette di poterci confrontare, anche litigando qualche volta, in maniera assolutamente onesta e propositiva. Siamo cinque amici prima di tutto, che poi hanno la fortuna di suonare assieme.

Paolo Marchesich: è normale che non sempre si sia d’accordo, ma questa attitudine positiva e questo modo di lavorare ci ha permesso di poter davvero cresce tanto, sia come uomini che come musicisti.

Roberto De Micheli: nessuno lavora in maniera ostruzionistica. Nel nostro gruppo non sentirai nessuno dire: “in questo pezzo c’è troppa chitarra e poca batteria”, cioè nessuno lavora da primadonna. Sappiamo che tutto le parti di una canzone sono egualmente importanti e che questo equilibrio governa tutto. È un aspetto sano sia musicalmente che umanamente.

Quindi partendo dal fatto che la fase compositiva rimane invariata, quello che è da sottolineare è una grande evoluzione, musicalmente parlando, tra l’album d’esordio e il nuovo “The Day after flower”

Paolo Marchesich: diciamo che nell’album d’esordio erano ancora ben presenti le influenze musicali degli artisti che erano in forza alla band prima del 2004. Certo è che molto è stato riarrangiato e rielaborato dandoci il primo disco, ma è innegabile che in certe canzoni il lavoro fatto a monte è un lavoro di anni addietro.

Roberto De Micheli: è una fatto innegabile che l’ essere un gruppo così affiatato e “longevo”, se non altro nella line up, è stato un grosso aiuto per lo sviluppo del nuovo disco. Questo è il punto: il conoscersi talmente tanto ci ha dato la forza di metterci l’uno nelle mani degli altri e i risultati a nostro avviso sono stati più che soddisfacenti. In fase di composizione, invece, il periodo è da ritenersi medio/lungo visto che il lavoro è durato circa due anni; ma alla fine il risultato è uno specchio fedele di quello che noi cinque siamo al momento. Tutti hanno messo dentro al disco una parte enorme del proprio io, nessuno ha risparmiato la minima goccia di sudore, questo è fuori da ogni dubbio.

Tornando ai discorsi precedenti: Paolo, sintetizzaci in tre parole questo disco!

Paolo Marchesich: una domanda più bastarda no eh? Allora fammi pensare. La prima è senz’altro forza. In questo disco l’equilibrio di forze è molto più netto che nel primo album. Energicamente diverso, molto più forte e veloce. La seconda è luce, e mi viene in mente dal booklet: molto luminoso e positivo, messaggio che si può ritrovare anche in alcune parti delle canzoni contenute nel disco. Un grande messaggio positivo insomma.

…anche qui a differenziarci dal primo lavoro, dove il booklet era abbastanza buio, tetro, assolutamente nero…

Paolo Marchesich: assolutamente si, questo è un altro dettaglio che differenzia nettamente i due lavori. Il fiore rappresenta un lato positivo, una ricrescita, una rinascita dopo un evento drammatico come la distruzione della città che gli fa da sfondo. Questa è la luce di cui parlo.

Roberto De Micheli: il terzo lo direi io…

Paolo Marchesich: vai! Grazie! (ride)

Roberto De Micheli: la terza parola è assolutamente passione! Passione è il termine che rappresenta il nostro lavoro, tutta la passione che concettualmente abbiamo messo dentro questo disco e quello precedente. Una dedizione totale alla musica e un amore senza fine verso quello che facciamo. Spero che questo traspaia da ogni nostra singola nota.

A questo punto addentriamoci nell’argomento artwork: chi ce lo vuole spiegare?

Roberto De Micheli: decisamente io! Quello che volevamo comunicare era un segno di speranza; guardando la copertina, subito dopo il fiore, si può intravedere una scia che lo collega alla città. Volevamo indicare la speranza e la gioia della vita: la natura, anche a dispetto delle barbarie dell’uomo, riesce sempre a riportare la vita laddove è stata tolta. Chi come noi è un figlio degli anni ottanta e sicuramente ricorda Chernobyl e le tragedie avvenute in seguito, ha in mente dei scenari catastrofici ben definiti. Questo è un segno di rispetto verso la natura e verso il suo modo di ristabilire gli equilibri a dispetto di tutto, anche dell’uomo stesso.

Parliamo ora di questa evoluzione: è avvenuta anche grazie a chi ha fermamente creduto in voi.

Roberto De Micheli: assolutamente si! Franz (Di Cioccio N.d.R.) ha davvero puntato tanto su di noi ed è stata una gioia immensa. Sai, quando una persona di quella caratura ti fa capire che hai delle possibilità ancora latenti, devi per forza cercare di ripartire e tornare indietro nel tuo percorso artistico. Mi spiego: dopo che per anni studi, ti impegni, cerchi di migliorare nella tecnica puoi perdere di vista altri aspetti importanti dell’essere musicista; quello che ci ha insegnato e di non dimenticare di comunicare con la gente. Se ti perdi in troppi tecnicismi puoi risultare sterile e la gente ti può vedere “lontano”. Un passo indietro significa a tornare a pura emotività e a quando cerchi di tradurla in note. Il nostro percorso è stato quindi introspettivo: cercare in noi le pulsioni primarie e tradurle in musica, non fermandoci al solo dato tecnico. Una buona canzone e ce funziona può avere anche due accordi e non essere stupida…

Beh, in questo lavoro la varietà è un tratto fondamentale…

Roberto De Micheli: esatto. E qui mi ricollego al discorso del crossover quindi la capacità di attingere a diverse ispirazioni. Qui mi è stata di insegnamento una frase di Franz che pressappoco dice: “non mettere la mano sempre e solo nella tasca sinistra perché li sai che trovi le chiavi, mettila anche nell’altra tasca: magari trovi qualcosa di cui ti eri dimenticato e che avevi già”. Per noi quindi, è stato un onore e un orgoglio avere a che fare con una persona di questo livello, fermo restando che da parte sua c’è sempre stata una grande stima in noi e nel nostro lavoro e una totale carta bianca.

 

Roberto De Micheli


Prendendo la palla al balzo, cosa vi aspettate dal lavoro promozionale dell’album?

Roberto De Micheli: partiamo da una base solida: noi siamo assolutamente soddisfatti di questo disco perché ci rappresenta. Ci aspettiamo che la gente possa essere colpita dalla nostra musica e che possa entrare in feeling con la band. Ci piacerebbe essere la colonna sonora della giornata di chi ci ascolta, seguendolo in ogni parte della giornata. Per esempio, posso aspettarmi che l’ascoltatore quando ha bisogno di una carica di energia cerchi “Feast”, mentre quando vuole rilassarsi e staccare un po’ faccia partire “Memento”. Tutto qua.

Una canzone per ogni momento della giornata? Soggettivamente come vedi l’ascoltatore in rapporto al disco?

Roberto De Micheli: decisamente adatto ad ogni fase della giornata. Può essere ascoltato in macchina, durante un lungo viaggio, o in qualsiasi frangente della giornata. Personalmente prediligo le ora serali, quelle più buie e tranquille per dedicarmi all’ascolto della musica. La cosa importante è entrare in sintonia piena con la musica e che sia un momento dedicato solo a te stesso. Per me la musica è relax che deve essere fatto di silenzio: solo così posso cogliere le sfumature, quei particolari che creano la magia.

In questo senso, quali sono secondo te, quei “valori aggiunti” che trasformano un disco in un capolavoro?

Roberto De Micheli: secondo me le differenze le fanno i dettagli. Credo che un capolavoro è tale se l’ascoltatore percepisce chiaramente il messaggio che viene riportato nel disco, se riesce a mettersi in sintonia con quello che l’artista voleva trasmettere. E questo a prescindere dal possedere o meno le chiavi di lettura della musica, qui si parla di emotività, la capacità di cogliere il messaggio diretto di chi quel messaggio ha creato. È la capacità di far cogliere la propria onestà creativa ed intellettuale. Fare arte è fare comunicazione. Ho amato gruppi come i Metallica, i Toto, gli Yes, o per farti un esempio, l’espressione massima di comunicatività era Reign in Blood degli Slayer: in quel frangente volevano comunicare violenza, disagio, ed è venuto fuori un disco che è una pietra miliare nel metal. Ma potrei parlare di Made in Japan dei Deep Purple, i primi due dischi dei Led Zeppelin, Master of Puppets, The dark side of the moon…questi sono i dischi che personalmente associo alla massima creatività in ambito comunicativo e musicale. Senza tralasciare, ovviamente, il teatro del sogno.
Poi ci sono artisti come Prince che reputo geniali e che danno l’idea di cosa si può fare per la musica e per la voglia di comunicare: lui se ne è sempre sbattuto di tutti arrivando a farsi pubblicare con svariati pseudonimi pur di far musica. Questo credo la dica lunga su tutti quegli artisti che fanno musica solo perché obbligati da un contratto.

Alla fine parliamo solo di comunicazione! A questo punto, parliamo dell’apice per un musicista, il concerto. Cosa è stato fatto fino ad ora, e cosa sarà fatto nel prossimo futuro?

Roberto De Micheli: credo che tutte le band siano fondamentalmente delle live band, e anche i Sinestesia trovano ragione d’esistere nei concerti. Noi sicuramente abbiamo avuto la fortuna di poter presentare il nostro primo lavoro su palchi molto importanti: dal Gods of Metal al Romarock passando per il Rolling Stones o l’Allianz Theatre. Questi tipi di palchi, unito al riscontro positivo di quasi tutte le persone che hanno visto le nostre esibizioni,pur non conoscendoci, ti da una grande carica e contribuisce senza dubbio all’affiatamento dei componenti della band. Sicuramente non siamo riusciti a fare 100 date in un anno, ma quelle che abbiamo avuto la fortuna di fare sono state fatte in contesti davvero ottimali. Al momento la D&D concerti è al lavoro per farci suonare…vediamo cosa accadrà!

Nello specifico? Una persona che non vi ha mai visto dal vivo, cosa credi che si possa aspettare da una vostra esibizione? A cosa va incontro?

Roberto De Micheli: sicuramente una riproduzione il più fedele possibile, quasi speculare, del disco. Cerchiamo sempre, in fase di registrazione, di fare quello che saremo poi in grado di riproporre ai concerti senza mai aggiungere niente di artificioso. Onestà musicale, cerchiamo sempre di mantenerci “reali” per rispetto verso chi ci ascolta. Certo che nel live è presente la componente umana a fare la differenza: il movimento, il sudore, l’interazione con il pubblico, coinvolgimento emotivo. Niente di più.

E in questi anni di attività, secondo te, quali sono stati i “top” e i “flop” della vostra carriera?

Roberto De Micheli: beh, il top è sinceramente ora. Cioè i Sinestesia sono “The Day after flower”, tutti assieme, tutti e cinque assieme a Franz, Iaia e chi ci supporta da sempre. Questo sicuramente è uno dei punti più alti della nostra “carriera” musicale. Abbiamo la fortuna di avere tante persone che ci seguono, ci supportano e ci aiutano senza aspettarsi nulla in cambio, questo secondo noi è successo. Quando un amico si offre per guidare il furgone per farci riposare: questa è amicizia ed è già questa estrema felicità. Non serve altro. Poi musicalmente, l’essere sul palco del Gods è stato un momento di estrema felicità. Ma anche fare di supporto ai grandi Musical Box davanti ad un teatro sold out è stato fantastico. Di contro la parte peggiore sono i momenti di blocco compositivo, il famoso blocco dello scrittore. Quando non riesci a trovare la parole giuste per poterti esprimerti, questo è sicuramente frustrante. La cosa peggiore è quando ti si rompe una corda durante al concerto (ride) questo è davvero seccante!

Siamo quasi in conclusione della nostra chiacchierata. Quale è il tuo giudizio sulla scena musicale italiana, e in particolare del nord est del paese?

Roberto De Micheli: in Italia il fermento è notevole e stiamo vivendo un ottimo momento, musicalmente parlando. Credo si sia instaurato uno spirito competitivo sano che spinge le band a lavorare con molta più attenzione alzando la qualità in maniera assoluta. Il problema, a mio avviso, è che non veniamo ancora presi troppo sul serio. La nostra musica, quella italiana intendo, non gode ancora dell’attenzione dei media italiani, ne tantomeno da quelli stranieri anche se i risultati a livello di creatività e qualità della proposta parlano da soli. Tanti gruppi italiani hanno qualcosa di valido da dire, molto spesso però non c’è nessuno disposto ad ascoltare. Più in particolare credo che il Nord-Est stia dando una notevole spinta in questo scenario globale molto positivo. Credo che l’essere geograficamente lontani dai grandi centri come Milano, Bologna e Roma ad esempio, ci spinge a colmare un vuoto di strutture e possibilità che le nostre terre non sempre offrono. Siamo insomma, ancora più spronati. In questo scenario permettimi di rivolgere un pensiero a Nicola Milanese dei Slowmotion Apocalypse, affinché possa affrontare la difficoltà che lo ha colpito recentemente con tutta la forza e l’energia possibile.

Mi associo in tutto e per tutto e rivolgo anche il mio “in bocca al lupo” a “Nicolas”.
In conclusione, ringraziandoti per la bella chiacchierata, lascio a te l’ultima parola.

Roberto De Micheli: innanzitutto ringrazio te Daniele, Nicola Furlan e Fabio Vellata, ma estenderei i nostri ringraziamenti a tutta la redazione di Truemetal.it. Grazie per il vostro supporto, per il vostro lavoro e la vostra passione. Siete gente che lavora per “la causa” e si vede in come lavorate, in come interagite con le persone e nella professionalità del vostro lavoro. Siete un gruppo impagabile che mette noi musicisti in grado di poter parlare del nostro lavoro e della nostra passione in maniera del tutto libera, e questo è un tesoro nel mondo moderno. I nostri saluti vanno anche a tutti i vostri utenti e agli appassionati di musica in generale: se poi questa intervista uscirà nel periodo festivo, estendo i saluti con gli auguri di buone feste. Grazie di cuore.

Daniele Peluso

Discografia

“Sinestesia” – 2007
“The Day After Flower” – 2009

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