Six Feet Under (Chris Barnes)
I Six Feet Under sono puntuali come le tasse e la morte, e come loro sono anche abbastanza prevedibili: se Death Rituals non è nulla di speciale, una volta di nuovo… beh, vediamo di andare a capire perché con Chris Barnes che ne è l’artefice. C’era un po’ di timore mentre aspettavo che mi telefonasse, memore di una precedente intervista in cui, forse non esattamente al massimo livello di coscienza, mi rispose a monosillabi e adattando a tutte le domande la risposta “Non lo so. A me interessa solo la mia musica.” È invece tutta un’altra persona quella che sento dall’altra parte del telefono, questa volta: socievole, spiritoso, brillante nelle risposte ma anche onesto fino in fondo.
Chris, iniziamo col parlare del sound del disco, che ormai sembra essere tornato al vero e proprio death metal, quantomeno a livello di produzione: complice sicuramente è stata la scelta di utilizzare di nuovo i Morrisound Studios…
“Volevamo un suono che risultasse pulito ma non asettico, ovviamente. A conti fatti, siamo molto contenti di come sia stata fatta la produzione, visto che i pezzi sono perfetti per quel tipo di suono, soprattutto sulle chitarre. Potenti, dirette, ottime per rendere al meglio.”
Mi pare che abbiate cercato comunque un certo ritorno a sonorità “classiche”, tipicamente floridiane…
“Dipende da cosa intendi, perché in realtà noi siamo sempre stati classicamente death. Quello che viene definito come “Florida Death Metal” fa parte del nostro DNA e della nostra voglia di comporre pezzi, e non credo che ci siamo mai discostati da questo nel corso della nostra carriera. Possiamo aver fatto dischi leggermente diversi, ma i confini sono sempre stati molto ben definiti, chiari agli occhi di chi ci ascoltava. Quindi non parlerei tanto di ‘ritorno’, quanto di conferma del nostro sound.”
E a livello di attitudine? In passato, con dischi come ‘Bringer of Blood’ per esempio, avete dato dimostrazione di voler uscire dall’immagine stereotipata del death metaller, almeno per quanto riguardava i testi e le tematiche affrontate. Qui si inizia con un brano intitolato ‘Death By Machete’, mi pare che un certo cambiamento nel corso degli anni ci sia stato…
“Beh, hai ragione, ma si tratta di cambiamenti minimi. In realtà non è stata l’attitudine a cambiare, ma solo i contenuti che decidevamo di inserire negli album di volta in volta; se ci pensi, è un bel po’ che siamo tornati a parlare di temi tipicamente death, basta riguardare album come ’13’ o ‘Commandment’… Capisco che alla gente possa essere rimasto in testa il cambiamento che avevamo avuto su ‘Bringer Of Blood’ ma io, da dentor, non lo vedo assolutamente così radicale, credimi. Ci siamo spostati di poco dal nostro solito modo di scrivere. Niente stravolgimenti di attitudine, quindi, e questo credo sia palese; ma se parli di come la gente ci percepisce, il discorso si fa diverso: francamente però tiro avanti per la mia strada senza curarmene troppo.”
“Death Rituals” contiene, nella sua “classicità, pezzi leggermente insoliti, come Seed Of Filth”, al momento la canzone che preferisco: mid-tempo groovy e con cori in background, sono sicuro che l’abbiate composta pensando all’aspetto live del gruppo, vero?
” (Ride, Nda) Sono contento che ti piaccia! Un paio di settimane fa abbiamo fatto qualche concerto ‘di prova’, diciamo così, e abbiamo proposto ovviamente qualcuno dei nuovi pezzi, credo tre in totale… ‘Seed Of Filth’ era tra quelli, e la gente ne è rimasta entusiasta. Sì, è un brano perfetto per i concerti, devo ammetterlo; ma un po’ tutto il nostro repertorio si adatta bene, dopotutto.“
Non manca nemmeno lo spirito rockettone che vi caratterizza da anni, ormai, visto che siete riusciti a coverizzare i Mötley Crüe di “Bastard”, questa volta… Fai conto che, senza note biografiche o altre info, all’inizio pensavo fosse un brano vostro!
“Un pezzo che ci piaceva inserire, si sente il rock ma lo rendiamo a modo nostro. Come dicevi, lo facciamo da tempo, in base a quello che ci viene voglia di suonare, e finora non siamo mai stati delusi dal risultato finale. Alla fine è rock anche quello che suoniamo noi, alla radice.”
Non è comunque sempre rose e fiori per voi, basta farsi un giro per Internet: si capisce ormai da tempo che dividete nettamente l’audience tra chi vi adora incondizionatamente e chi invece non vi sopporta proprio. Al di là del “buzz” da web, riesci a spiegarti come mai?
“Sinceramente? No e non mi interessa nemmeno. Evidentemente suoniamo qualcosa che non a tutti piace, e mi stupirei del contrario, vorrebbe dire che qualcosa non va; io mi preoccupo al massimo di chi ci ascolta con piacere e ci viene a vedere ai concerti, ma in fin dei conti faccio musica solo per me stesso, che poi piaccia o meno mi interessa molto relativamente. Non è che ci ascoltino in pochi, in ogni caso…”
Ecco, sono giusto curioso di sapere se riscuotete più successo negli USA o in Europa!
“Bella domanda: la verità è che non ne ho idea!”
Non sei troppo addentro al lato “business” della band, intendi dire?
“Mmm, più che altro l’etichetta non ci fornisce numeri da un po’, e non riesco a farmi un quadro preciso. Credo che comunque le zone si equivalgano abbastanza, anche se in Europa bisogna ovviamente fare dei distinguo, in quanto non vendiamo allo stesso modo ovunque, e lo stesso vale per i concerti. Ma suppongo sia lo stesso per ogni gruppo metal.”
Chris, facciamo un attimo un bilancio: sono passati giusto 20 anni dal tuo debutto (con i Cannibal Corpse), e la tua ex-band ha pensato bene di celebrare la cosa con un DVD mastodontico. Ora, a te non è mai venuto in mente di scrivere un libro, registrare un DVD o comunque pubblicare qualcosa di autocelebrativo? Diciamocelo, nel death metal sei una figura chiave da 20 anni, non sarebbe certo fuori luogo…
“ (Ride, Nda) Non lo so, davvero, non ci ho mai pensato. È vero che 20 anni sono tanti, ma non ho mai considerato l’ipotesi di fare qualcosa completamente incentrato su di me, non credo che a qualcuno in fin dei conti potrebbe interessare davvero; certo, ci sarebbe molto da raccontare, e sono contento di un prodotto come ‘Centuries Of Torment’ (il DVD dei Cannibal di cui sopra, Nda), che riprende benissimo quel periodo; ne sono contento anche per come le cose si erano concluse tra di noi. Sono orgoglioso di quello che ho fatto lungo tutta la mia carriera, non mi fraintendere: ma odio le primedonne, non sopporterei di essere considerato tale per aver ‘celebrato’ quanto fatto nell’ultimo ventennio. A volte mi è saltato in mente di scrivere qualcosa di mio, ma è solo espressione di creatività, e alla fine ho deciso che si sarebbe trattato di uno spreco di energia. Meglio non disperdere il proprio lavoro, mi voglio tenere concentrato su quello che faccio coi Six Feet Under.”
Six Feet Under che sono da sempre una vera “live band”: tra tour continuativi e DVD (abbiamo perso il conto), è quasi normale immaginarvi su un palco invece che in studio. Visto e considerato che i Cannibal Corpse, appunto, stanno per supportare un gruppo molto più giovane (ma evidentemente più di successo, in termini di ciniche vendite) come i Children Of Bodom nel loro tour europeo, avete mai preso in considerazione l’idea di fare lo stesso con un gruppo più “grosso” di voi?
“Sono cose che vengono proposte e che valutiamo di volta in volta. Sinceramente non mi va di giudicare le scelte degli altri, ma per quanto riguarda il nostro gruppo ti posso dire che le proposte arrivano quotidianamente, ma che l’esperienza ci insegna a gestirle e sceglierle con calma e ponderazione. Al momento non abbiamo nulla di questo tipo in ballo né lo prevediamo, ma potrebbe arrivare un’offerta interessante… Tutto sta nel vedere se si adatta veramente ai Six Feet Under, al di là dei numeri e del business.”
So che la band è comunque il to lavoro a tempo pieno: puoi descriverci come vive un Death Metaller di professione, dato che non è certo facile trovarne?
“Vive come una persona normale, che fa un lavoro che lo appassiona totalmente. Mi esercito molto, sia in termini fisici che di tecnica, e provo parecchio col gruppo, ovviamente. Gestisco anche qualche progetto personale, non necessariamente legato alla musica, e cerco costantemente di divertirmi in quello che faccio. Tutto qui, davvero!”
Chiudiamo allora l’intervista con una domanda (quasi) inevitabile: ora che le elezioni sono passate, Obama o Mc Cain?
“No, scusa, preferisco davvero non rispondere. Non credo che a qualcuno interesserebbe la mia opinione politica, o che qualcuno debba sentirsene influenzato, e non vorrei creare voci sbagliate per una frase pubblicata. Non ti offendere, ma eviterei.”
Capisco, ma è un peccato: ti avrei chiesto se nei prossimi anni avresti visto ancora “Amerika The Brutal”…
“ (Ride, Nda) Dai, quella è solo una canzone, non prendiamola troppo sul serio!”
Alberto Fittarelli