Speciale Varg Vikernes, prima intervista da uomo libero: ‘Non mi pento’

Di Daniele Balestrieri - 28 Luglio 2009 - 18:36
Speciale Varg Vikernes, prima intervista da uomo libero: ‘Non mi pento’

Tornando a casa dal lavoro in una assolata notte di mezza estate non ho potuto fare a meno di notare un volto conosciuto spuntare dalla rastrelliera di giornali nei pressi di un rivenditore generico.
Dagbladet, uno dei giornali più importanti della Norvegia, ha dedicato a Varg Vikernes, icona black metal dalla travagliata storia personale, una parte del suo monografico “Magasinet”.
Ecco la traduzione integrale del lungo speciale venuto alla luce in tutta la Norvegia sabato 4 luglio 2009.

 

 

 

Condannato per omicidio volontario e per il rogo di tre chiese, dopo 16 anni dietro le sbarre è finalmente un uomo libero.
Ora la vita quotidiana di Varg Vikernes (36) si divide tra cambi di pannolini, lavori in giardino e scrittura di libri.

NELL’ERA DEL CONTE

“Non sono il “Conte” dipinto dai media”

“Nel più totale spirito di ribellione che aleggiava a quei tempi, dicevamo sempre il contrario di quello che diceva la gente, indipendentemente da ciò che diceva, solo per prendere le distanze dalla massa. Alla fine ci siamo chiamati satanisti anche se non lo eravamo veramente. La verità è che non c’era un singolo satanista nell’ambiente black metal del 1991-1992. Ci chiamavamo satanisti perché i musicisti death metal del tempo erano letteralmente immersi nella società benpensante del tempo e si dichiaravano contro il satanismo.
Ho sempre sottolineato il fatto che all’epoca non ero, non sono mai stato e non sarei mai diventato un satanista, ma questo era un dettaglio che ai giornalisti evidentemente non interessava, perché volevano dare al popolo norvegese un’idea distorta della mia persona. Volevano che io fossi satanista e per questo mi hanno dipinto come un satanista.
L’intero ambiente black metal è diventato satanista per colpa del continuo concentrarsi dei media sul satanismo.”

(Tratto dal libro ancora non pubblicato di Varg Vikerness.)

Telemark, giugno 2009.

Guidiamo attraverso fitte foreste, circondati da monti scoscesi e valli impervie. Il sole splende nel mezzo di un cielo blu cobalto e senza nuvole. L’aria è calda e tranquilla. Superiamo una stazione di servizio quando il cellulare inizia a squillare: è Varg Vikernes, meglio conosciuto come “Greven”, il Conte. Si vuole assicurare che siamo sulla retta via.
Venti minuti più tardi svoltiamo e ci accostiamo a una piazzola di sosta, dove vediamo un tizio alto, biondo, barbuto e pallido con dei pantaloni da lavoro, una felpa e scarpe da tennis. Ci avviciniamo alla sua nuova dimora.
Appare da subito una casa recente, acquistata da un membro della famiglia diversi anni fa. Si trova in un luogo idilliaco, circondato dalla natura. Qui vivono la moglie francese, in attesa del secondo figlio, e il loro primogenito di un anno e mezzo.

Abbiamo acquistato casa qui praticamente per caso. Volevamo un posto in mezzo alla natura, lontano dalla città. Ma vivere in campagna ha bisogno di molto impegno, tra giardino, terra ed edifici e a me è sempre piaciuto fare lavori manuali. Difficilmente mi annoio“, dice Vikernes.

Sono passate alcune settimane da quando l’uomo, considerato il mostro degli anni ’90, è uscito di prigione dopo aver passato la metà dei suoi 36 anni di vita dietro le sbarre.

Aveva quasi 21 anni quando il 16 maggio del 1994 gli fu assegnata la peggior condanna per la legge norvegese: 21 anni di galera per aver ucciso il collega musicista Øystein Aarseth (25), per aver bruciato tre chiese, per tentata piromania ripetuta e per diversi furti.
La condanna, la pubblicità che ne derivò e i giornalisti contribuirono a conferire al giovanotto di Bergen uno status quasi mistico, sia in Norvegia che all’estero.
Le riviste hanno finalmente avuto accesso al suo libro inedito, scritto nei passati 16 anni e che racconta la sua versione su tutto ciò che è successo nell’ambiente black metal da quando fu creato in Norvegia nel 1991 fino al giorno in cui fu condannato per omicidio e piromania.
Nel passaggio che segue, Vikernes descrive ciò che successe dopo che fu rilasciato una prima volta dopo 6 settimane, nel 1993 per una temporanea assoluzione dal reato di piromania delle tre chiese.

Devo dire di esser rimasto estremamente sorpreso, una volta uscito di prigione, nel constatare l’immagine che i media avevano dato di tutta la situazione. A cominciare dall’uso che fecero del nome “Greven”, soprannome che mi venne affibbiato al tempo da Øystein a causa dello pseudonimo “Count Grishnack” che utilizzai sul mio album d’esordio. Ho letto interviste di tutti i tipi, fatte a emeriti psichiatri e sedicenti esperti di satanismo. Io, personalmente, avevo utilizzato il satanismo unicamente come provocazione, come simbolo di contrasto contro la cristianità. Il satanismo di cui parlava la carta stampata era un tipo di satanismo nel quale non mi sono mai rispecchiato, né io né tantomeno tutti gli altri esponenti dell’ambiente black metal. Io non sono il “Conte” dipinto dalla stampa. L’immagine che la gente ha di me mi intristisce, e molto. Coloro che mi conoscono bene fanno fatica a credere che io sia la stessa persona descritta dai giornalisti. Ma devo dire di esser parzialmente responsabile di una simile distorsione dei fatti. Questo è il motivo per cui ho scritto il libro che state leggendo. Voglio dare una visione delle cose reale e non distorta, secondo il mio punto di vista. Dopodiché mi getterò tutto alle spalle e comincerò a vivere una nuova fase della mia vita” – dice il trentaseienne.

Siamo seduti sotto l’albero più grande della proprietà. Sul tavolo c’è una teiera con del caffè e dei baci di dama appena sfornati.

Amo quest’albero e questo luogo. Mi piace sedere qui e rilassarmi. È tutto molto tranquillo e pacifico.”

È la moglie a occuparsi della piccola famiglia.

Non ho mai chiesto aiuto. E non ne ho mai ricevuto”, esordisce Vikernes.

Il bel giorno d’estate in cui fu liberato dalla prigione, Vikernes aveva alle spalle ben quattro respinte di scagionamento per assenza di prove. L’ufficio di investigazione criminale ha sempre dichiarato che non era ancora pronto per essere reinserito nella società.

Sono contento di essere uscito di prigione. È bellissimo essere di nuovo insieme alla mia famiglia. Ho premuto il tasto di pausa appena ci sono entrato e ho premuto di nuovo play appena sono uscito di prigione. Quando ero lì dentro non pensavo a niente, pensavo al futuro. Mi allenavo, scrivevo, mangiavo cibo sano e tentavo di affrontare la vita di prigione nel modo migliore possibile. Ma non ho nulla di buono da dire sulle prigioni norvegesi. Non c’è la benché minima traccia di rispetto della sicurezza personale. Mi è venuto da ridere quando Knut Storberget ha dichiarato che prendevano estremamente sul serio i problemi relativi alle intossicazioni in prigione. Buffonate. Anche se io stesso non ho mai toccato né droghe ne alcool durante la mia permanenza in cella.”

Ma chi è, esattamente, quell’uomo che chiamiamo “Il Conte”?

È nato a Bergen e cresciuto in loco. Da piccolo era come tutti gli altri bambini: attivo, curioso e vivace. Inoltre era molto creativo, amava leggere, andava bene a scuola e amava approfondire ogni aspetto della cultura che lo circondava. Era membro di una squadra di pattinaggio, impegnato negli sport all’aria aperta e negli sport a squadre. Presto si iniziò a interessare di musica, in particolar modo quella classica o i canti popolari, ma dichiara di non aver mai ascoltato pop.
A 14 anni ricevette una chitarra. Quello fu l’inizio della sua carriera musicale.

È strano pensare che al tempo non sognavo minimamente di diventare famoso. Quando diedi inizio alla mia one-man band, cercai in tutti i modi di rimanere anonimo. Usai uno pseudonimo sul disco, una foto in cui ero irriconoscibile e non volevo in alcun modo essere associato alla musica né tantomeno fare concerti“.

Vikernes è stato attivo in diverse band. A 17 anni entrò a far parte degli Old Funeral, una band death metal di Os, un sobborgo di Bergen. L’anno dopo iniziò il suo progetto solista Burzum, per alcuni il picco assoluto del Black Metal, e che tuttora è considerato uno dei gruppi più rappresentativi del genere. Il numero di copie vendute di tutta la sua discografia è sconosciuto, ma gli esperti credono che si aggiri attorno al centinaio di migliaia.

Burzum è stato una boccata d’aria fresca negli anni ’80, pregno di intensità e aggressività. Burzum ha aperto la strada a una musica densa di monotonia intrinseca, una cosa che mancava nel mercato fino a quel momento“. A parlare è Gylve Nagell, frontman e cantante dei Darkthrone, una delle band black metal più famose della Norvegia.

Vikernes ha già completato nove tracce del suo nuovo album, che si spera esca ai principi del nuovo anno. Ci racconta inoltre che molte label si sono interessate alla pubblicazione del suo primo lavoro dopo ben undici anni.

Non voglio aver fretta. Voglio disporre di tutto il tempo che ho. Sarà vero metal, i fans possono tranquillamente aspettarsi un nuovo disco 100% Burzum“.

Il 6 giugno 1992 la Norvegia si sveglia alla notizia che una delle attrazioni turistiche più popolari, la chiesa di legno di Fantoft, è stata data alle fiamme. Nei sei mesi successivi bruceranno altre tre chiese di legno. La polizia spiegherà ingenti forze sul campo nel tentativo di scovare il piromane, ma ci vorranno otto mesi prima che riescano a mettere le mani su Varg Vikernes.

Quando la chiesa di Fantoft bruciò nel 1992, Øystein pensò immediatamente che ci fossi io dietro al rogo, specie perché poco tempo prima parlammo di bruciare chiese dopo aver letto sul giornale che una chiesa era andata a fuoco pochi mesi prima per colpa di un fulmine. Iniziò immediatamente a sfruttare quest’incidente per promuovere il black metal norvegese e per spaventare i “ragazzini trendy con i pantaloni chiari” e simili menti deboli e facilmente manipolabili. Si mise a spargere ai quattro venti la voce che ero stato io a bruciare Fantoft, e la cosa diventò immediatamente di pubblico dominio nell’ambiente underground. Tutti “sapevano” che ero stato io a bruciare la chiesa di legno di Fantoft, o almeno lo credevano, solo perché Øystein aveva sparso la voce. Non si preoccupò nemmeno per un istante di chiedermi se fosse vero o no ogni volta che ci incontravamo. D’altra parte, io non feci nulla per mettere a tacere tutte quelle voci. Non lo presi sul serio e pensavo che non sarebbe successo nulla. Si dà il caso che nessun membro delle band considerate allora “true” venne considerato responsabile di un simile delitto, nessuno tranne il sottoscritto ovviamente. Ma io mi chiedo, perché avremmo dovuto bruciare chiese o commettere gesti estremi se già eravamo considerati “true”? No, gesti del genere sono stati compiuti da altri personaggi, in genere più giovani, per entrare nelle grazie di Øystein e di noialtri.”

“Tu sai chi è stato a bruciare le chiese?”
Lo sapevo, ma non avevo alcun interesse ad andarlo a spifferare in giro. Ma non ti preoccupare, sono riusciti comunque a farsi condannare di brutto senza che alzassi un dito. Non ho mai parlato con la polizia perché non avevo alcuna fiducia in loro. Non avevano alcun interesse a scoprire il vero colpevole, volevano solamente condannarmi.”

Vikernes fu denunciato per il rogo di cinque chiese e la corte d’appello di Oslo lo giudicò colpevole di tre di quei cinque roghi: l’incendio della cappella di Holmenkollen a Oslo, della chiesa di Skjold a Vindafjord e della chiesa di Åsane a Bergen. Vikernes fu incastrato tramite una rete di soffiate di membri facenti parte del circuito black metal underground. Molti di questi esponenti furono a loro volta condannati per concorso negli stessi roghi. Così Vikernes descrive quei tempi nel suo libro:

Quando si presentò la possibilità di ottenere un’intervista con uno dei più grandi giornali norvegesi, nel gennaio del 1993, non ci siamo lasciati sfuggire l’occasione. Øystein ed io decidemmo che avrei dovuto accettare l’intervista, che avrei dovuto terrorizzare i lettori e promuovere il black metal, così che l’Helvete (il negozio di dischi black metal a Oslo, di proprietà di Øystein) avrebbe ottenuto un cospicuo aumento di clientela. In un’apoteosi di teatro e recitazione incontrai un giornalista cristiano e, come concordato con Øystein, dissi che erano stati i satanisti a bruciare quelle chiese.
Spiegai alla polizia che non avevo bruciato nemmeno una chiesa e quando mi chiesero se sapevo chi fossero i responsabili io gli risposi che sì, probabilmente lo sapevo ma che non avevo la minima intenzione di dirglielo. Come ogni diciannovenne in buona fede che si rispetti, ero deluso, sfiancato e terrorizzato dall’interrogatorio con la polizia.
Hanno mentito sotto giuramento, hanno dichiarato che alcuni testimoni mi avevano visto in luoghi in cui non ero mai stato e hanno addirittura detto di possedere delle foto che mi inchiodavano nell’atto di bruciare una chiesa. La polizia utilizzò anche la forza mediatica nel tentativo di condannarmi prima ancora del processo. Ma non mi diedi mai per vinto e continuai a insistere nel dire che non c’entravo niente con tutti quegli incendi. Tuttavia venni comunque condannato. A quei tempi parlavamo di bruciare le chiese solo per spaventare la gente. È stato per colpa di un membro della stampa che è andato alla polizia a fare il mio nome che alla fine mi hanno preso
“, contesta Vikernes.

“Ti penti delle tue scelte?”
“No!”
“Oggi chi puoi dire di essere?”
“Non sono colui che l’uomo comune pensa che io sia.”

Il costo della ricostruzione delle chiese si aggira attorno ai 45.000.000 di corone (circa 5.300.000 euro). La compagnia di riscossione crediti ha chiesto 19.000.000 di corone a Vikernes, mentre il comune di Oslo ha rilanciato a 23.000.000 di corone come risarcimento per il rogo della cappella di Holmenkollen. Nel corso degli ultimi anni ha ricevuto richieste di risarcimento di diversi milioni di corone, tutte con termine di pagamento a brevissimo termine.

“Non ho alcun tipo di entrata e non riuscirei mai a ripagare tutto il dovuto. La mia unica via d’uscita è una riduzione o un annullamento del debito. In questo modo dovrei riuscire a guadagnare del denaro a uso personale in forse 5 anni.”

“Cosa ne pensi ora delle chiese bruciate?”
“Mah, non saprei. Non ci penso ormai da tanti anni”

Durante la perquisizione in casa di Vikernes, a Bergen, nel 1993, la polizia trovò 150 kg di esplosivi e circa tremila proiettili di diverso calibro. I media dissero che si stava preparando per far saltare in aria la cattedrale di Nidaros, a Trondheim.

Buffonate. Mi stavo preparando in caso la Norvegia fosse attaccata da qualche potenza straniera. Durante la guerra fredda potevamo essere attaccati sia dall’Unione Sovietica e sia dagli Stati Uniti. Ormai non possiamo fidarci più di nessuno, né del governo, né della famiglia reale e né delle alleanze estere per via di quello che è successo l’ultima volta che siamo stati invasi. Non possiamo contare su nessuno, tranne che su noi stessi.”

Vikernes volge lo sguardo verso il sole cocente e assaggia un bacio di dama. L’estate è esplosa nel giardino, in lontananza si sente passare una macchina. Davanti al padre, il figlio gioca con alcune macchinine giocattolo. Accanto a lui siede la moglie incinta, incontrata mentre si trovava in gattabuia. L’anno scorso si sono sposati a Skien con una piccola cerimonia privata. Mancano poche settimane alla nascita del secondogenito.

È molto divertente essere circondati dai bambini. Ci piace molto“, dice il papà, carezzando il primogenito maschio sulla testa.

“Racconterai ai tuoi figli la verità sul tuo passato?”
“Ovviamente. Alla scuola di mia figlia (17 anni), che studia musica a Bergen, sanno già tutto. Non ho mai avuto problemi.”

“Non me la sono passata male quando Varg è finito in galera. Certo, è stata dura. Non è facile accudire un neonato da soli in un posto come questo. Ora siamo felici.” dice la moglie francese di Vikernes in un norvegese vibrante e melodioso.

Al termine dell’estate del 1993 il rapporto tra Vikernes e Øystein Aarseth si incrinò definitivamente. Secondo Vikernes, Øystein non sopportava di vivere all’ombra di un Vikernes sempre più famoso. L’8 agosto dello stesso anno successe quanto segue, secondo la ricostruzione di Vikernes:

Nel suo appartamento di Bergen, Vikernes ascoltò per caso una telefonata tra un suo amico coetaneo e Øystein Aanseth. Secondo Vikernes, Aarseth stava pensando di ucciderlo, nonostante il comune contratto presso l’etichetta underground di Aarseth, la Deathlike Silence Production.

“Voleva uccidermi, e io volevo darci definitivamente un taglio. Voleva utilizzare un taser per stordirmi, quindi legarmi e imbavagliarmi, buttarmi nel bagagliaio di un’auto, portarmi in un bosco e torturarmi fino alla morte.”

Vikernes scrive nel libro che il giorno dopo quella telefonata ricevette una lettera da Aarseth. Gli veniva chiesto di andare a Oslo – secondo le sue affermazioni – per firmare un contratto. Così parte insieme al suo compagno, attraversando foreste e dandosi il cambio alla guida durante la notte.

“Volevo che avesse lui tutti i nostri contratti così che non avesse più alcun motivo per contattarmi. Non avevamo più nulla da spartire, e quei contratti erano l’unica cosa che potesse dargli un motivo per contattarmi.”

Secondo la versione di Vikernes, i due parcheggiarono l’auto attorno alle due-tre di notte nei pressi di Tøyengata, a Oslo, dove viveva Aarseth. Vikernes fa quindi uno squillo ad Aarseth. Ciò che segue è il resoconto di quella drammatica notte in cui Vikernes diventò un assassino, così come appare nel libro di prossima uscita.

“Ero inferocito con Øystein per via di quella conversazione telefonica e per quella lettera palesemente falsa che mi era stata inviata. Lui doveva essersene accorto, perché quando sono salito da lui sembrava vistosamente spaventato. Oppure aveva già deciso che mi avrebbe ucciso quella notte, e si era intimorito quando mi aveva visto. L’avrei mandato affanculo e l’avrei convinto a non mandarmi più lettere di quel tipo. Non volevo più avere niente a che fare con lui. Mentre gli parlavo ho mosso un passo in avanti e la cosa deve averlo colpito molto. Si è fatto prendere dal panico, per cui mi ha tirato un calcio sul petto. Sfortunatamente per lui ha colpito in pieno lo sterno e il calcio non ha avuto effetto. Io gli ho preso il piede e l’ho buttato per terra. Quindi ha rivolto lo sguardo verso la cucina. Ero già stato nel suo appartamento e sapevo che lì aveva un grosso coltello da cucina e ho capito che era quello che andava cercando con lo sguardo. Si è alzato in piedi più in fretta possibile e ha cercato di andare verso la porta della cucina, che era già aperta. Ma io mi sono messo tra lui e la porta e ho tirato fuori un coltellino che tenevo nella tasca dei pantaloni. Era un coltello normale, con una lama di circa dieci centimetri. Non era affilato, ma era abbastanza appuntito, e gli ho tirato una coltellata in faccia. Quella è stata la prima volta che ho ferito qualcuno con un’arma contundente. Non era una sensazione piacevole, è strano ferire un altro essere umano con un coltello.
Ma tutta la mia avversione nei confronti di un’aggressione terminò dopo quella prima coltellata. Ormai la barriera era infranta. Avevo a che fare con una persona che aveva intenzione di torturarmi a morte e che senza dubbio stava cercando di portare a termine i suoi piani. Øystein iniziò a gridare aiuto e iniziò ad aggredirmi. Ma io mi difendevo con il coltello, per cui ogni suo colpo si rivelò essere un colpo inferto con il coltello al suo stesso corpo.”

Aarseth fu trovato senza vita diversi piani più in basso rispetto al suo appartamento. Con 23 pugnalate a giocare contro di lui, Vikernes si vide colpevole di omicidio involontario, ma venne condannato per omicidio volontario. Il suo compagno venne condannato a otto anni di carcere per concorso in omicidio nonostante Vikernes perorasse la sua innocenza. Secondo Vikernes, il suo compagno sarebbe rimasto fuori dalla porta per tutto il tempo.

“Mentre mi trovavo nella mia cella di isolamento, la polizia raccontò la vicenda ai media e alla stampa in genere. Raccontarono che avevo ucciso Øystein senza pensarci due volte, in seno a una guerra intestina per la supremazia nell’ambiente black metal. In questo modo si ha l’impressione che fosse una società satanica gerarchica governata da Øystein, e che io avessi tentato di rubargli il trono. Ma io non avevo alcun interesse a diventare la figura dominante di quell’ambiente. La musica per me è un qualcosa di intimo, perché ero rimasto profondamente deluso dalla vita dopo la fine della guerra fredda e non sapevo cosa fare della mia esistenza. Essere il capo di un simile ambiente era l’ultima cosa che volevo. Se in Norvegia, a quel tempo, fosse ancora esistita la caccia alle streghe, probabilmente sarei stato impalato e bruciato sul posto, senza processo né possibilità di difesa. Invece sono stato messo alla berlina dinnanzi al circo mediatico. Mi hanno giudicato preliminarmente in maniera talmente arrogante e pomposa che persino i musicisti black metal più “duri e puri” facevano la fila davanti al commissariato di polizia per testimoniare contro di me e per darmi tutta la colpa. È lampante il motivo per cui l’hanno fatto: avevo assassinato il loro idolo in una guerra per la supremazia nell’organizzazione musicale fittizia di Øystein.”

“Ti penti di averlo ucciso?”
“Non mi pento di aver ucciso colui che stava cercando di uccidermi. Mi sentivo minacciato dai suoi piani, ma non avevo alcuna intenzione di ucciderlo.”
“Ti senti in grado di uccidere di nuovo?”
“Tutti gli esseri umani sono in grado di uccidere. Ma credo proprio che sarà difficile che uccida di nuovo, perché mi sono già trovato in una situazione simile e ora so come comportarmi. Non è facile dire come ci si comporterebbe dinnanzi a una vera minaccia finché non arriva il momento. Ora come ora probabilmente contatterei la polizia, ma quando si è giovani spesso si compiono delle scelte affrettate.”

Vikernes è stato in prigione a Oslo, Ringerike, Trondheim e Tromsø, dove negli ultimi due anni è stato in libertà vigilata. In quegli anni è stato contattato da diverse organizzazioni neonaziste e razziste.

“Non ho mai supportato né sono mai stato membro di simili organizzazioni. L’unica organizzazione di cui sono membro è il Riksmålforbundet” (un’associazione fondata nel 1907 che promuove l’uso del norvegese “alto”, in contrapposizione con il norvegese dei dialetti).

Durante la sua permanenza nella prigione di Oslo, Vikernes racconta di un evento che lo ha particolarmente colpito.

“Dei 36 carcerati nella mia ala, solo due erano norvegesi. Degli altri 33, uno era polacco, uno tedesco e tutti gli altri erano africani, pachistani e arabi. Nell’altra ala la situazione era praticamente la stessa. I pachistani non sapevano nemmeno l’inglese, ma parlavano solo in urdu, e tutta la prigione puzzava come un bazaar. Ma ero davvero in Norvegia? Quella era davvero Oslo?”

Nel 2003 Vikernes fu condannato a 14 mesi di detenzione aggiuntiva perché non era tornato nel carcere di Tønsberg dopo un permesso. Quando la polizia riuscì a scovarlo, trovò in suo possesso un fucile automatico AG-3, alcune armi più piccole e circa 700 proiettili.

“Non sono mai stato un nazista, e non lo sono nemmeno ora. Non è vero che ho messo in piedi un’organizzazione propagandistica basata sul razzismo. Quando vieni maltrattato dai tuoi compagni di prigione è chiaro che alla fine giunge la frustrazione, l’aggressività e il cedimento verso alcuni tipi di ideali. Quel che ho fatto è fomentare una rivolta nei confronti di chi mi trattava male. Stupido, d’accordo, ma qualche volta mi è sembrato di fare la cosa giusta. A volte, quando ci si trova in isolamento e costantemente aggrediti, si perde il lume della ragione.”

E continua:

“Ma ho i miei principi e il mio codice etico. Questo paese sta davvero precipitando nelle viscere dell’inferno, e io cerco di non essere trascinato insieme a lui. Questa non è più Norvegia. Stiamo per essere fagocitati dagli stranieri, sia culturalmente che religiosamente che geneticamente. Guarda la nostra gente, in giro per le strade, e cerca di confrontarla con quella che girava per strada 50 anni fa.”

“Sei razzista?”
“Sì. Ma non odio nessuno. L’odio non è razionale, e io sono una persona razionale.”
“Sei orgoglioso di ciò che sei?”
“Certo!”
“Lo sai che la gente ha paura di te?”
“Lo so, e devo ringraziare i giornali.”

Ci alziamo dalle sedie, cullati dal frusciare delle fronde, e ci dirigiamo nel “laboratorio” di casa, dove Vikernes compone la sua musica e scrive i suoi libri. Ha intenzione di scrivere un incrocio tra un romanzo fantasy e science-fiction, e inoltre sta lavorando alla creazione di un gioco di ruolo. In passato ha già pubblicato due libri, tra l’altro tradotti anche in russo. La famiglia è stata accettata di buon grado nell’ambiente.

“Qui abbiamo tutto ciò che desideriamo. La mia famiglia sta bene.

Elogia la gente di campagna, priva di pregiudizi.

“Non ho più amici. In prigione non hanno fatto altro che sabotarmi in ogni maniera possibile. Nonostante tutto quello che facessi, in tutti gli anni che sono rimasto lì. Questa in un certo senso la chiamo “riabilitazione”.

“Come farai senza amici?”
“Me la caverò. Ho un ottimo rapporto con la mia famiglia.”

Magasinet si è messa in contatto con la famiglia di Øystein Aarseth per chiedere un parere sulle rivelazioni apparse nel libro di Vikernes. La famiglia di Aarseth ha deciso di non commentare.

 

“NON È UN FENOMENO MEDIATICO”

Anja Hegg si è occupata del caso Vikernes in veste di reporter criminale per conto del giornale Dagbladet.

“Il fenomeno “Greven” è stato creato dai media?”
“No. Ma a posteriori posso dire che il fenomeno è stato notevolmente ingigantito.”
“È stato giudicato apriori?”
“Non credo. Abbiamo cercato in tutti i modi di vederci più chiaro intervistando Tor Erling, Vikernes e tutti i suoi seguaci, ma senza fortuna.”

“PROCURATORE: TUTTE STUPIDAGGINI”

L’avvocato d’ufficio Bjørn Soknes respinge l’accusa di Vikernes secondo la quale tutto è stato creato e ingigantito dai media e che le prove contro di lui sono state fabbricate ad hoc.
“Tutte stupidaggini”, dice Soknes, procuratore del caso giudiziario.
“Il fenomeno “Greven” è stato creato dai media?”
“Certo che no. Ha sempre voluto diventare famoso in tutta la nazione.”
Alla domanda se Vikernes sia stato sabotato dal personale durante la permanenza in prigione, il direttore della sezione criminale giudiziaria centrale ha così risposto:
“Non desidero formulare alcun commento sulla vicenda in questione.”

L’articolo è originariamente apparso sulle pagine di Dagbladet: Magasinet di sabato 4 luglio 2009, Nr. 179, settimana 27. Il giornale ne detiene i diritti.
Traduzione dal norvegese a cura di Daniele “Fenrir” Balestrieri.