Shred

Steve Vai: “La chitarra è il più grande strumento al mondo”

Di Orso Comellini - 13 Gennaio 2024 - 12:03
Steve Vai: “La chitarra è il più grande strumento al mondo”

Durante un’apparizione all’ultimo episodio del podcast “The Music Universe”, il leggendario chitarrista Steve Vai ha discusso il fascino duraturo della sua musica, nel corso degli anni e attraverso i vari continenti. Queste le sue parole:

Credo che ci siano diversi fattori in gioco. Innanzitutto, credo di riuscire a fare quello che faccio oggi perché c’è qualcosa, nella mia musica. Ogni artista infonde il proprio lavoro – chiunque, in realtà, faccia qualcosa di creativo infonde il suo lavoro con il proprio DNA, il proprio DNA creativo. O, almeno, se riesce a lasciarsi andare e non si limita a scopiazzare qualcun altro, ma ha trovato dentro di sé quel pulsante che gli permette di manifestare la creatività nel suo lavoro, nella sua arte. Io ritengo di essere stato in grado di farlo. Manifestare quell’eccentricità, quell’intensità e quel fascino nelle mie melodie, che attraggono fedelmente i miei sostenitori. Quindi questo è il primo fattore: c’è quel qualcosa nella musica che attrae un certo tipo di ascoltatori.

L’altro fattore è che la chitarra è il più grande strumento al mondo – andiamo. Ed è universale. Rappresenta qualcosa che per le persone è un po’ nell’immaginario collettivo. La chitarra è uno strumento viscerale. È dinamica. È cool. Fa rumore. Ci si possono fare davvero tante cose.

Ci sono chitarristi davvero in tutto il mondo – ne rimarreste sorpresi. Non esiste un modo indiretto per conoscere gli altri Paesi e tutti gli altri luoghi, come sono realmente: non lo si impara a scuola. Bisogna andarci. Così negli anni ’90 ho iniziato a viaggiare in posti come l’Europa dell’Est, la Russia e il Sud America. E la Cina. Andavo in questi posti dove nessuno andava più di tanto all’epoca. E ho scoperto che ci sono chitarristi in tutto il mondo. Ascoltano le stesse cose che ascolto io. Hanno accesso alla mia musica. Quindi, dato che ci sono così tanti amanti della chitarra in ogni angolo del pianeta, e dato che mi sono ritagliato un posto nella comunità chitarristica, quando suono in quei luoghi, vengono a vedermi. Forse sono fan, forse sono chitarristi che non sono proprio fan, ma, “hey, suona un altro chitarrista stasera…”

Sono riuscito a crearmi una fanbase in tutto il mondo, in tutti i quattro angoli del mondo. Voglio dire, una volta ho fatto un tour in Russia per cinque settimane. Sono stato in Russia molte volte. Sono stato a Mosca tre volte in un anno. Ho iniziato ad andarci a metà degli anni ’90. Ricordo di essere stato in India una volta, negli anni Novanta. Non ero nemmeno lì per suonare. Ero in un albergo. Non pensavo che qualcuno mi riconoscesse o mi conoscesse. E la donna dietro la scrivania mi ha riconosciuto. Subito dopo è arrivato suo fratello, un chitarrista, che ha portato tutti i suoi amici, ha portato la sua chitarra e ha voluto suonare per me. Pensavo che mi avrebbe mostrato una sorta di interpretazione della chitarra rock and roll con i valori e gli stilemi classici della tradizione indiana. Invece quel ragazzo mi ha suonato ‘Tobacco Road’ [dall’album “Eat ‘Em And Smile” di David Lee Roth con Vai, ndr]. Il punto è che la chitarra rock occidentale è diffusa in tutto il mondo. Se fai parte di quel team e se vai lì a suonare, loro vengono a vederti. Ecco in soldoni perché riesco a suonare davvero dappertutto.