Steven Wilson: ‘gli artisti dovrebbero avere l’arroganza di dire, “faccio musica solo per me, non per voi”‘
In una recente intervista pubblicata sul suo canale Youtube, Steven Wilson ha spiegato come mai il nuovo album, “The Future Bites”, sia più pop-oriented, con un certo uso delle tastiere. In particolare gli è stato chiesto se avesse immaginato che il suo pubblico si sarebbe diviso a causa di questo nuovo approccio compositivo.
Beh, non so mai bene cosa aspettarmi. Credo di essere sempre consapevole di spingere il mio pubblico sempre più in là in termini di aspettative. Ma, per farla breve, quello che i fan vogliono da me per l’immediato futuro è di sentire un qualcosa di molto simile a quello che a loro già piace della mia musica. Le persone in genere, varcano quella soglia che li porta nel tuo mondo e per loro è un momento magico. Può essere quest’album o un altro, ma è questo che li fa innamorare di quello che fai come artista. Essenzialmente, quello che cercano di fare da quel momento in poi è di rivivere quel momento in cui hanno scoperto la tua musica. E quando ciò non succede, perché l’artista ha cambiato direzione o altro, beh, posso capire che li porti a essere delusi, a volte in collera. Tuttavia, mi piace pensare che se un brano è inizialmente divisivo, allora ho fatto la cosa giusta. Perché io stesso odierei se le persone ascoltassero semplicemente compiaciute la mia musica pensando: “oh sì, suona proprio da Steven Wilson”. Ed è una cosa che non voglio, perché io non l’ho mai voluta dagli artisti con cui sono cresciuto, amandoli. Non parlo solo dei musicisti, ma anche dei registi. Prendi un regista come Stanley Kubrick. Non ha mai fatto due film dello stesso genere due volte, se non un paio di film sulla guerra. E questo è un qualcosa che è meno diffuso nel mondo della musica. I gruppi o gli artisti, tendono a trovare una propria nicchia o una propria formula di successo e poi tendono a riproporla al loro pubblico riciclandosi all’infinito. Ma io tendo a perdere di interesse presto nei confronti di artisti del genere. Sono artisti come David Bowie o Frank Zappa a tenere viva la mia attenzione, perché non sapevi mai cosa avresti trovato sul loro nuovo disco. Kate Bush o Peter Gabriel. Non sapevi mai cosa avrebbero fatto dopo. La prima volta che ho ascoltato ‘Sign o’ the Times’ di Prince ho trovato un qualcosa che non mi sarei mai aspettato. E mi ha conquistato molto di più che se avessi ritrovato qualcosa che già mi piaceva. Ho provato una più profonda ammirazione per lui come artista, perché era disposto a confrontarsi con le aspettative del pubblico e rischiare di perdere alcuni dei sui fan. Per me una parte dell’essere artista è avere quell’arroganza di dire: “faccio questo solo per me, non per voi”. Ma sta tutto qui il grande paradosso di essere un musicista professionista. Perché deve guadagnarsi da vivere. Quello che è così incredibile di David Bowie è che pur continuando a cambiare, il suo pubblico continuava a seguirlo. Si era creato il suo universo. Lo stesso per Frank Zappa. Un altro che si è creato il proprio universo, il proprio genere. L’eclettismo nel catalogo di quel tizio è semplicemente assurdo. Nel 2020, il mondo è diventato così omogeneo. Il sound della musica popolare è così omogeneo. E la soglia di attenzione delle persone è diminuita sensibilmente. In realtà mi rendo conto che è volutamente stupido adottare questo tipo di approccio, ma io non posso fare che così.
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Quando ho composto King Ghost, non ho pensato prima che dovesse essere necessariamente un pezzo elettronico. Piuttosto mi sono ritrovato a giocherellare con l’arpeggiatore su tastiera analogica. Quando poi l’ho portata a David Kosten, il produttore, abbiamo iniziato insieme a esplorare le tastiere analogiche e ci siamo appassionati sempre di più. Semplicemente non sentivo la necessità di prendere in mano una chitarra per comporre. Per cui non è stata una scelta consapevole. Le persone sanno che io amo la musica elettronica, è davvero una delle mie forme preferite di musica.