Vario

The Modern Age Slavery (Tutta la Band)

Di - 30 Novembre 2008 - 14:00
The Modern Age Slavery (Tutta la Band)

E’ venerdì sera ed è appena finito di nevicare: freddo incredibile dunque, nonchè macchina coperta da una coltre bianca che il

solo pensiero di spostarla toglie ogni voglia di mettersi in viaggio. Ma c’è una cosa da fare, i The Modern Age Slavery

presentano il loro disco in uscita per Napalm Records, nuovo debutto dopo un periodo travagliato caratterizzato dallo

scioglimento della vecchia formazione (i Browbeat) e dalla ricerca di un nuovo contratto discografico. Disseppellisco dunque la

mia povera auto e mi metto in viaggio con il riscaldamento a palla, raggiungendo il Vampyria di Corte Tegge, Reggio Emilia.

Raggiunto il locale, un pub in stile gotico frequentato da tutta la fauna metallara delle province di Reggio Emilia, Parma e

anche Modena, entro e comincio a guardarmi attorno: un sistema di proiezione è stato installato in una zona sopraelevata, mentre

la band è intenta a disporre il proprio merchandise sopra un tavolino. Il nuovo CD Damned to Blindness dà bella mostra di sè, ma

purtroppo non sono in molti coloro che lo stanno ammirando… il pubblico è ancora scarsino e, probabilmente a causa del freddo e

delle strade nonostante tutto in condizioni non perfette, il locale non giungerà mai a riempirsi del tutto nel corso della

serata, sebbene di gente ne arriverà eccome.

Mi intrattengo con la band, in parte intervistando, in parte parlando amabilmente del più e del meno, fino alle undici circa,

quando il DJ di turno di interrompe la musica di sottofondo ed arringa la folla annunciando che la serata vedrà la presentazione

in anteprima di qualche pezzo dal nuovo album dei nostri. Si parte con la Title Track dunque, una canzone veramente assassina che

tuttavia, anche complice un impianto non certo fatto per questo tipo di eventi e che dunque viene fatto lavorare oltre le sue

possibilità, il pubblico non è in grado di apprezzare al meglio. Di gran lunga migliore a livello di impatto risulta la

presentazione del video di Vile Mother Earth, girato in maniera veramente professionale all’interno unafabbrica bruciata.

Dopo la presentazione del video la serata scorre via tranquilla e, a mezzanotte emmezza, levo le tende e me ne torno a casa, ma

non senza la consapevolezza di aver accantonato un bottino non indifferente di indiscrezioni e retroscena su questo Damned to

Blindness. Ecco a voi la parte più succulenta di queste, condensate in un’unica, ideale conversazione.

Cominciamo facendo un po’ di storia, ossia gettando un po’ di luce sullo scioglimento dei Browbeat: dato il fatto che

quattro elementi su cinque provengono dalla vecchia formazione qualcuno potrebbe insinuare che il vostro sia un cambiamento

soprattutto estetico, una sorta di modo per levarsi di dosso l’etichetta di band nu-metal/hardcore (generi in crisi) e salire sul

carrozzone del deathcore, ad oggi molto più in voga.

[Luca Cocconi] No guarda non si tratta di questo, i problemi che ci sono stati sono stati soprattutto a livello umano. C’è stata

qualche incomprensione personale tra i quattro che sono poi andati a costituire i The Modern Age Slavery e l’altro membro, cosa

che ha portato alla decisione di separarci, il problema è che la persona che se n’è andata era l’ultimo componente rimasto della

formazione originale dei Browbeat (io stesso ero arrivato un attimo dopo) e quindi non aveva più senso continuare con quel

monicker. A dire il vero mi era stato anche chiesto se volevo tenerlo il nome, ma per rispetto verso tutti i componenti della

band originaria abbiamo deciso di non farlo. Voglio sottolineare comunque che questa persona ha dato tantissimo ai Browbeat e che

molte delle soddisfazioni abbiamo avuto in questi anni sono state anche merito suo.

E per quanto riguarda la questione musicale?

[LC] Guarda, quello che facciamo adesso con i The Modern Age Slavery altro non è che l’evoluzione delle ultime canzoni che

avevamo composto con i Browbeat, lo stesso disco promozionale che ci ha permesso di trovare il contratto era stato registrato

ancora con il vecchio nome, quindi non si tratta di un cambiamento musicale deciso a tavolino anzi, tutt’altro.

In ogni caso i Browbeat hanno anche fatto una reunion, a cui tu però non hai partecipato Luca, come mai?

[LC] Io sono convinto che le reunion possano anche avere un senso, ma solo a distanza di tempo dallo scioglimento, cinque, sei,

sette anni insomma. Fare un comeback dopo sei mesi è un po’ inutile a mio modo di vedere ed infatti la cosa ha avuto una durata

davvero ridotta, un paio concerti in zona e basta. Soprattutto in tempi come questi, con la crisi e tutto il resto, questo tipo

di iniziative vanno ponderate: a me sarebbe piaciuto aspettare un po’ di tempo e poi fare una cosa alla Raw Power, ossia una

specie di mega festa commemorativa in cui sul palco si alternano tutti i vari componenti di tutte le line-up che il gruppo ha

avuto nel corso degli anni. Certo, i Raw Power avevano fatto quella cosa per ricordare il mastermind della band che era morto, ed

io non mi auguro di dover organizzare qualcosa di analogo, comunque a distanza di tempo sono iniziative belle e sensate… una

reunion del genere invece mi pare… non voglio dire una pagliacciata, ma quanto meno gestita male. Ci tengo comunque a precisare

che se io non ho partecipato non è per astio nei confronti di nessuno, è solo che oramai ho un altro progetto e voglio dedicarmi

a quello, non sarebbe stato bello se avessi accettato l’invito alla faccia dei miei altri tre compagni che vengono anche loro dai

Browbeat, ma magari non erano nella prima formazione e dunque erano stati lasciati fuori.

Arriviamo dunque ai The modern Age Slavery finalmente: gira voce che per ottenere il contratto con Napalm Records abbiate

dovuto vincere una difficoltà principalmente, ossia la diffidenza verso gli italiani da parte dei produttori esteri. Puoi

spiegarci com’è andata?

[LC] Fondamentalmente abbiamo ripreso in mano il promo registrato come browbeat e lo abbiamo stampato in trecento copie,

spedendolo un po’ in giro. inizialmente ci sono arrivate un po’ di proposte, ma erano contratti piccoli, che si possono trovare

anche facilmente, dopo un po’ di tempo invece ci è arrivata qualche proposta più grossa, anche confermata, ma poi non andata in

porto proprio perchè la casa, a quanto ci è stato detto, ha deciso di puntare su gruppi di altre nazionalità. Dopo un po’ infine

abbiamo avuto questo contatto con Napalm Records: gli abbiamo scritto chiedendogli se potevamo mandare la roba e loro ci hanno

detto di sì, in questo modo abbiamo cominciato a ragionare sul contratto.

[Giovani Berselli] A questo proposito c’è una storia da raccontare: prima di farci firmare il contratto quelli di Napalm hanno

voluto tutte le garanzie, ossia ad esempio che se ci fosse stato da partire per due mesi ed andare in tour noi lo avremmo fatto

senza fiatare (ci sono band che si rivelano molto poco professionali da questo punto di vista). Sul contratto hanno anche voluto

mettere la data esatta di consegna del master definitivo dell’album… un giorno mi è arrivata una mail con loro che chiedevano

alla band di avere tutto pronto per il 28 giugno, ed era il primo di giugno! Io mi sono attaccato al telefono ed ho cercato in

tutti gli studi per vedere se riuscivamo a registrare, ma non c’era niente di libero, quindi sono stato costretto a rispondere

che al massimo ce l’avremmo fatta per il 28, ma di Luglio… in quel momento avevo una paura matta, credevo che avrebbero mandato

all’aria il contratto, ma che potevamo farci? Con così poco preavviso è davvero impossibile prenotare uno studio. Per fortuna è

andata bene, quindi eccoci qui.

[LC] Il punto di svolta comunque è stato quando siamo diventati top demo su Rock Hard Germania, da lì è scattato quel qualcosa

che ci ha permesso di concludere positivamente.

Una volta superato l’ostacolo contratto come sono stati i vostri rapporti con la casa discografica? A giudicare dal fatto

che, pur essendo esordienti con il nuovo monicker avete fatto un video e vi è stata pure mandata una fotografa direttamente

dall’austria per fare gli scatti promozionali, si direbbe idilliaci…

[GB] Napalm è stata veramente gentile con noi, ci ha aiutato a tirare fuori il meglio dalla band anche a livello di immagine. Per

farti un paio di esempi ci hanno detto che dovevamo cambiare il nostro logo in quanto nel vecchio si leggeva solo la parola

Slavery, e questo lo hanno voluto, ma per la copertina abbiamo avuto una bellissima collaborazione: all’inizio ci avevano

assegnato un disegnatore il quale però ci aveva fatto delle bozze che non ci piacevano… io ho inviato tutto in sede dicendo che

non eravamo completamente soddisfatti e loro hanno detto che erano d’accordo con noi e ci hanno consigliato un altro artista.

Passiamo al fattore registrazione: forse non tutti sanno che in formazione da voi è

presente Simone Bertozzi, bassista degli Empyrios oltre che chitarrista dei The Modern Age Slavery, nonché tecnico di registrazione ai

Fear Studio di Ravenna, luogo nel quale avete prodotto l’album.

[Simone Bertozzi] Damned to Blindness è stato prodotto da Simone Mularoni e me, che siamo anche simili… l’unica differenza è che lui sulla chitarra va molto più veloce (ride NdA). Il tutto sotto la supervisione del boss dei Fear Studio, Gabriele Ravaglia.

Una critica che viene spesso rivolta al Fear studio è quella di far uscire un suono abbastanza standardizzato, che

appiattisce il sound delle band che vengono a registrare… Damned to Blindness ha questo difetto?

[SB] Naturalmente no! No, ok, lascia che ti spieghi. Il fatto è che i musicisti alle volte vogliono strafare, suonare parti ed ambire al suono del tale gruppo famoso che è sopra alle loro capacità tecniche, il tutto magari con tempistiche limitate per via del budget. Se devo trovarti fuori un suono personale devo avere il tempo per farlo, ma se vieni da me dicendo che vuoi spendere poco ed il tempo che hai a disposizione me lo fai impiegare tutto a correggere i tuoi errori come faccio? Comunque ci tengo a precisare che i Fear sono uno studio con un’etica… da altre parti non appena vedono che i take non ti vengono bene al primo colpo già sono lì a rifarteli con “altri metodi”, noi invece ci sbattiamo la testa finchè possiamo, facciamo suonare la gente per davvero. In altri posti, e qui non faccio nomi, addirittura fanno suonare i musicisti dicendo loro: “Cavolo ragazzi, bravissimi, siete dei grandi, vi faremo avere il mix quanto prima” poi editano tutto e magari riscrivono le batterie e riregistrano tracce che il gruppo non è stato in grado di fare nel migliore dei modi. Non lo dico per vantarmi, ma se tu prendi ad esempio l’ultimo disco degli Empyrios, DGM (in uscita a gennaio 2009) e appunto The Modern Age Slavery questi suonano tutti diversi l’uno dall’altro e proprio perchè a registrare ci sono andati dei musicisti che sanno il fatto loro. Damned to Blindness quindi è quanto di più lontano possa esistere dall’essere un disco standardizzato.

Perfetto, concludiamo parlando del vostro futuro: adesso cosa avete in programma?

[LC] Il nostro disco esce proprio in questi giorni in europa, poi il 13 Gennaio arriverà anche nei negozi di Stati Uniti e

Canada. Naturalmente poi suoneremo in giro. Putrtroppo la scena italiana, pur avendo ottimi gruppi come Stigma, Slowmotion

Apocalypse e Hour of Penance è davvero ferma in quanto non c’è la gente che va a vedere i concerti. Questo comporta che i locali

tengono aperti solo nel week end, quando ad esempio in altri paesi al lunedì o al martedì ci sono i gruppi che suonano ed il

pubblico non manca… è proprio una questione di abitudini, in Italia la gente preferisce stare davanti alla TV magari e se si

sposta lo fa solo per i grandi nomi, come ad esempio Slipknot o Metallica. Questo è davvero molto penalizzante per tutta la

scena, in quanto le etichette si rendono conto di questa cosa e magari non fanno il contratto ad una band italiana perchè sanno

che non è in grado di autopromuoversi efficacemente nel suo paese.

Alla fine, voi come tutti gli altri gruppi emergenti di questo genere, per andare all’estero probabilmente vi aggregherete

ad un carrozzone come il Never Say Die Tour oppure l’Hell on Earth che fanno suonare cose come 7 gruppi in 5 ore con set da 20

minuti l’uno… da un certo punto di vista è una cosa bella, ma da un altro è quanto di peggio un artista potrebbe essere

costretto a subire. Che ne pensate?

[LC] Siamo in contatto con agenzie di booking straniere, le quali stanno però aspettando un attimo di vedere come andrà il disco.

Per ora le critiche da parte della stampa sono state quasi tutte positive ed il promo è piaciuto anche agli addetti ai lavori.

Come formula secondo me manca un po’ una via di mezzo in quanto alle band esordienti vengono prospettate solo due possibilità: o

andare in tour da soli suonando in locali piccolissimi dove al massimo fai venti o trenta persone, oppure aggregarsi a quelli che

tu chiami carrozzoni dove puoi dire di aprire ad un gruppo grosso, ma in realtà suoni alle sette di sera quando non c’è nessuno,

magari per dieci minuti e con suoni che non ti permettono di farti buona pubblicità. La cosa migliore sarebbe poter andare in

giro con un gruppo grosso ed altri due gruppi di apertura al massimo… vedremo se ce la faremo a fare una cosa del genere,

dipenderà dalla nostra etichetta.