The Ocean (Robin Staps)
Interessantissima chiacchierata con Robin Staps, leader e
mente dietro al collettivo tedesco dei The Ocean, autori di quello che
probabilmente è uno degli album da ricordare di questo primo decennio dopo il
2000, Precambrian.
Di carne al fuoco ce n’è tanta, buona lettura.
Devo essere onesto, considero ‘Precambrian’ come
uno dei dischi dell’anno, assolutamente: splendido. Quanto tempo richiede la
composizione di un album come questo?
“Grazie! Si è trattato di un’impresa enorme.
Abbiamo registrato la batteria in un fienile nel remoto Nord della Finlandia,
mentre il resto è stato registrato nei nostri Ocean Studios a Berlino; alcune
parti vocali di vari ospiti sono state inserite a Los Angeles, in Olanda,
Belgio, Svezia. L’album è stato mixato a New York e masterizzato a Helsinki,
dove tutto è iniziato e finito…Per darti l’idea, c’è un totale di 26
musicisti attivi sul disco. Gestire questa polifonia, l’enorme quantità di
tracce che si andavano sovrapponendo di volta in volta è stata la vera sfida di
‘Precambrian’, soprattutto per poterne estrarre l’essenza. Per quanto
riguarda il songwriting a dire il vero non richiede moltissimo tempo, perché
sono sempre pieno di idee musicali: poi però resta un enorme spazio bianco tra
l’idea iniziale, magari anche messa su pre-produzione con batteria, basso e
chitarre programmati, e il risultato finale. Si sono aggiunti strati e strati di
musica, e devo dire che la cosa più difficile è proprio arrivare al punto di
dire “Ok, questa canzone è a posto, non la toccherò più”. C’è sempre
modo di migliorare il risultato, e una volta che te ne rendi conto, perché non
farlo? A volte capita di spendere un’intera giornata su di un’idea, che poi
magari risulta essere un vicolo cieco; quando capita 3 o 4 volte in una sola
canzone capisci che forse è il caso di lasciar perdere.”
Puoi illustrarmi il concept che avete scelto? Non si
può dire che sia semplice, specie nella comprensione dei legami tra testi e
titoli…
“Il Precambriano è stata la prima fase di vita del
pianeta Terra: si divide in due ere, l’Adeano/Archeano e il Proterozoico. I
due capitoli del disco prendono i nomi da esse. Le ere sono a loro volta divise
in periodi geologici, che fungono da titoli per le singole canzoni; per cui
possiamo dire che l’intero concept riguardi il primo periodo della Terra, che
allora era un luogo terribile, privo di vita e dominato da emanazioni sulfuree e
fiumi di lava…Durante il Proterozoico il pianeta iniziò a raffreddarsi e si
venne a formare l’atmosfera, e per la prima volta alcune forme di vita
elementari spuntarono. Tutto questo si riflette nella musica: ‘Hadean/Archaean’
è diretto e brutale, riprendendo il discorso di ‘Aeolian’, con una
strumentazione base di batteria, basso e chitarra. ‘Proterozoic’ invece è
molto più stratificato, complesso, più pacato e ampio, anche pesante in alcuni
passaggi; ma ci sono vasti momenti di riflessione tra un’eruzione e l’altra.
Naturalmente i testi non si riferiscono al Precambriano: non c’è molto gusto
nel descrivere le emozioni della prima forma di vita monocellulare della
Terra…Se la musica è arte allora deve riferirsi alle emozioni umane, ed è
quello che è stato fatto per l’album. Tuttavia non tutto è arbitrario,
qualche riferimento è rimasto infatti, ma si tratta di casi isolati.
Personalmente non credo che questo danneggi la coerenza dell’album, anzi.”
Come mai avete
voluto dividere così nettamente le due parti dell’album, arrivando a un
minutaggio decisamente mastodontico?
“Abbiamo voluto provare a dipingere quanto la band può
offrire nel suo insieme in un solo album: e lo spettro della nostra capacità
musicale è molto ampio, ecco quindi tutte le sonorità che puoi sentire in ‘Precambrian’.
L’idea di dividere il tutto in due parti in netto contrasto ci è subito
sembrata interessante, una sfida coraggiosa, anche rischiosa se vogliamo, ma
alla fine sono del tutto soddisfatto del risultato. I pezzi suonano
perfettamente sia nell’ordine che abbiamo dato loro sia quando li ascolti
sull’iPod in modalità shuffle. A dire il vero non si tratta di niente di
nuovo per noi, visto che abbiamo fatto la stessa cosa per ‘Fluxion’ e
‘Aeolian’ in precedenza, solo che la nostra label di allora non pensava che
valesse la pena di investire soldi per questo tipo di progetto, e abbiamo
firmato per la Metal Blade solo dopo la release di ‘Fluxion’.”
Capitolo artwork:
nero su nero, scritte metalliche, sovrascritture, citazioni celebri…Puoi
descrivermi i motivi dietro a una realizzazione tanto complessa (e notevole)?
“L’aspetto visuale della band riveste
un’importanza fondamentale per noi, e mi riferisco a tutto quanto: dal set di
luci durante i concerti al design delle magliette, fino all’artwork e al
packaging dei dischi, ovviamente. Per ‘Precambrian’ ci siamo prefissati di
fare qualcosa di davvero speciale, grazie a Martin
Kvamme, l’artista, e alla Metal Blade, che sganciava i soldi…e sono del
tutto appagato. Non ho mai visto nulla di simile prima. Se la gente vuole ancora
comprare dischi di questi tempi devi dare loro una ragione, e il layout è un
motivo più che valido. Con ‘Precambrian’ abbiamo voluto dare molto di più
che un semplice insieme di canzoni, e 90 minuti di album doppio con un simile
artwork, testi di questo tipo e un concept complesso sono, secondo me, un valore
aggiunto non da poco.”
Da quello che mi
dici e che si può ascoltare, ‘Proterozoic’ è la parte più “evoluta”,
se vogliamo, dell’album: possiamo considerarlo il vero fulcro del sound The
Ocean nel 2007?
“Decisamente. ‘Precambrian’ è il nostro disco
musicalmente più avanzato, questo è sicuro. Il songwriting è il migliore di
sempre, e gli arrangiamenti non solo nelle singole canzoni, ma anche
nell’ordine che abbiamo dato a quest’ultime all’interno del disco sono
azzeccati e studiati alla perfezione; ho passato un sacco di tempo a lavorarci,
del resto. Il sound rispecchia tutto questo, è fedele all’essenza attuale
della band, enorme, vasto, magniloquente e con una grande quantità di
atmosfera. Ovviamente si tratta di un cambiamento infinito: non decidi a priori
dove dirigerti, semplicemente hai un’idea e ci lavori sopra, stando a vedere
dove ti porta. Questo è quanto è accaduto anche per questo album.”
Credi che ‘Hadean/Archaean’
possa essere considerato come il vostro modo di chiudere l’esperienza di ‘Aeolian’?
“Questo non lo so. Può darsi, ma immagino che ci
avventureremo ancora in quella direzione in futuro. Adoro quelle canzoni,
specialmente dal vivo, e i due aspetti dei The Ocean, quello aggressivo e quello
epico e orchestrale, per me hanno quasi la stessa importanza. Dico “quasi”
perché comunque il lato epico è quello che più mi appaga come musicista,
quello che mi dà più orizzonti da esplorare.”
Che tipo di responso
avete avuto dalla stampa, sino ad ora? Come ti ho detto credo che il potenziale
dell’album sia enorme, che possa rappresentare una versa svolta per il
gruppo…
“Speriamo! Il feedback finora è stato sbalorditivo,
‘Precambrian’ ha ottenuto voti altissimi ovunque e siamo stati recensiti
come top album su almeno quattro magazine europei di primo piano, per cui
nessuno sembra essere rimasto deluso. Ma che sia il vero e proprio salto in
avanti, questo lo dovremo vedere in futuro: un ottimo risultato sulla stampa non
significa ottime vendite, purtroppo. Spero davvero che chi apprezza questo disco
esca e lo vada a comprare: abbiamo bisogno di questo tipo di supporto, visto che
abbiamo abbondantemente “sforato” il budget a nostra disposizione per poter
realizzare un progetto così completo e ambizioso…Ma che posso dire, con una
confezione del genere credo davvero che abbiamo fatto tutto il possibile per
dare alla gente un motivo per acquistarlo, piuttosto che scaricarlo. Non ci sono
più giustificazioni.”
Puoi chiarire la
situazione della band in quanto a struttura e line-up? Vi definite un
“collettivo”, ma c’è un leader in esso? Che procedimento seguite, di
solito, per comporre i vostri brani?
“I The Ocean seguono un concept di musica composta:
una sola persona scrive tutto il materiale, e il fato vuole che quella persona
sia io. Non siamo la band che scrive grazie a jam-sessions. Scrivo tutto da
solo, a casa mia, e realizzo la prima pre-produzione, registrando sul mio
computer chitarre, linee di basso, batteria sintetizzata e vocals; poi le faccio
ascoltare agli altri e insieme decidiamo su cosa lavorare e cosa lasciare da
parte. Lavoriamo insieme anche sui live, cosa che ci porta a modificare alcune
parti che altrimenti non funzionerebbero a dovere dal vivo. Ho trovato gli altri
membri della band grazie ad annunci sui giornali locali, il che è decisamente
buffo, considerato che oggi siamo ottimi amici e ci frequentiamo quasi
quotidianamente! Tutto il concetto di “collettivo” ruota intorno a
quest’idea: abbiamo un nucleo di membri permanenti, che permette alla band di
funzionare; e poi c’è tutta una serie di musicisti che chiamiamo quando ce
n’è bisogno, come per esempio i responsabili delle parti di violino,
violoncello, trombone e clarinetto. A volte li facciamo anche suonare con noi
dal vivo, ma soprattutto a Berlino, dato che nella band siamo già in 8 e che
non riusciremmo a portarci dietro tutti quanti. In più abbiamo responsabili per
i video e gli effetti visivi. Francamente non vedo una contraddizione tra il
fatto di essere un collettivo e quello di avere un unico leader, responsabile
del songwriting: quando fai musica che prevede 26 persone a realizzarla, ci deve
essere un unico coordinatore per far funzionare le cose; se metti tutti quanti
in una stanza e li fai suonare insieme per vedere cosa ne esce, otterrai solo un
grandissimo casino. Ho un altro gruppo in cui facciamo una cosa del genere,
scriviamo insieme ed è molto divertente, ma un progetto come ‘Precambrian’
non lo permette assolutamente.”
Avete appena
effettuato un tour insieme agli Intronaut, un’altra band complessa ed
estremamente interessante, cosa mi dici della loro musica? Vedi qualche punto di
contatto coi The Ocean?
“Sicuro, e ho imparato ad amare la loro musica durante
il tour. Siamo diventati buoni amici e abbiamo vissuto momenti molto intensi con
loro, e a dire il vero con tutti i gruppi del tour. Ma in particolare con gli
Intronaut abbiamo trovato dei punti in comune: loro sono dei musicisti del tutto
brillanti, visionari, e allo stesso tempo sono ragazzi modesti e alla mano.
Possiamo fare affidamento su di loro, puoi stare sicuro che vedrai una
collaborazione tra noi e loro in futuro, come nella parte di tour americano che
abbiamo appena terminato.”
Credi che oggi ci
sia il bisogno di musicisti “coraggiosi”, che sappiano oltrepassare i limiti
della musica moderna e dare vita a nuovi orizzonti?
“Assolutamente. C’è troppa merda generica che gira
nell’ambiente musicale oggigiorno, abbiamo bisogno di musica sperimentale per
poter spezzare il regime conservatore sia nel metal, sia nell’hardcore.
Sperimentatori musicali: il futuro è nostro! La vera arte e musica si evolve da
sempre e sempre lo farà, cambiando se stessa di volta in volta: è inevitabile.
La musica che rispetta fedelmente regole fisse invece è destinata a estinguersi
per sua stessa colpa, e questo accadrà anche per il metal tradizionale, prima o
poi. Fortunatamente oggi c’è un maggior grado di accettazione delle
sperimentazioni rispetto a solo qualche anno fa: non direi che si tratta di un
vero fenomeno, ma il punto è che pochi anni fa il termine “sperimentale”
veniva visto in modo del tutto diverso. Quando emersero le prime band death e
black metal, si trattava di qualcosa di scioccante, di sperimentazione pura;
osservando la cosa oggi, un intero filone musicale nacque dalla creatività e
dal coraggio di pochi musicisti, e dalla loro voglia di oltrepassare i limiti.
Ma ora il tutto sta diventando stagnante e sterile, quindi è destinato a
morire, se non troverà il modo di reinventare se stesso in modo adeguato.
L’arte si è sempre evoluta così, grazie al genio di pochi che magari è
stato apprezzato solo anni dopo la loro morte; spero solo che oggi, in
quest’era dell’informazione, come la definiamo, i tempi si riducano
drasticamente!”
Definiresti i The
Ocean come una band “metal”, ad ogni modo?
“No. Scrivo musica senza pormi nessun limite mentale,
non voglio cercare di rispondere a un certo stile e non voglio nemmeno sapere se
suono metal o meno. Ogni canzone corrisponde a un’idea di base, e se essa
richiede che nel pezzo ci sia un trombone, un violino o una dannata arpa, allora
che sia così! Sono davvero attratto dall’idea di scrivere un album per solo
piano e archi, coi The Ocean, senza chitarre né batteria: dato che le mie
capacità come compositore si sono accresciute di molto nel corso degli anni e
che ora so come usare a fondo la mia strumentazione non avverto più limiti
tecnici, né di struttura o stile.”
Alberto Fittarelli