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The Tangent (Andy Tillison)

Di Riccardo Angelini - 24 Marzo 2008 - 20:01
The Tangent (Andy Tillison)

Persona squisita e musicista straordinario, Andy Tillison si è concesso a Truemetal per chiacchierare della sua ultima creatura: “Not As Good As The Book“. A lui la parola.

Ho l’impressione che “Not As Good As The Book” voglia essere qualcosa in più di un semplice (si fa per dire) doppio album. Vuoi parlarci della sua genesi e dell’idea che sta alla sua base?

 

È un progetto piuttosto impegnativo, che assume svariate forme. Ha a che fare con la musica, col progressive rock, certamente, ma anche con parole scritte e immagini. Penso che lo si possa definire un progetto multimediale. L’edizione limitata dell’album contiene anche un racconto di science fiction, per la precisione un racconto illustrato a sfondo umoristico. Affronta questioni di attualità in un’ottica particolare, e si occupa anche dei problemucci che la mezz’età si porta dietro… penso che questo punto qualcuno avrà occasione di capirlo meglio di altri (risate).

 

Lo slogan di “A Place In The Queue” era “un doppio album in un solo CD”. Quando ne parlammo all’epoca, mi dicesti che allora volevi evitare di fare un doppio album… da quel che vedo, era solo questione di tempo?

 

In effetti sì. Ma non è stata una cosa pianificata fin dall’inizio. C’è chi si approccia a un album stabilendo fin dal principio che si tratterà di un doppio CD e che quindi dovrà scrivere più canzoni. In questo caso è successo e basta: ci siamo trovati fra le mani molto materiale e non abbiamo voluto rinunciare a nulla. I due dischi che ne sono usciti sono molto differenti. Il primo è composto da canzoni brevi… brevi poi per modo di dire, visto che la maggior parte dei pezzi supera i sette minuti e qualcuno arriva anche a dieci. I testi parlano della mezz’età – un titolo come “A Crisis In Mid Life” dovrebbe già suggerire qualcosa – e in questo senso si oppongono alla tipica attitudine dei rocker. Negli anni settanta il rock era musica giovane, fatta dai giovani per i giovani. Oggi è ancora musica per giovani, solo che è fatta da dinosauri. Perciò ho pensato: facciamo musica per uomini di mezz’età. E così è stato. Tornando a noi, il secondo CD è molto diverso dal primo: per i temi affrontati ma anche e soprattutto per i contenuti musicali. Ci sono solo due pezzi, entrambi molto lunghi e complicati. È decisamente più impegnativo.

 

Quindi nemmeno la scelta di suddividere le tracce in questo modo rientrava nei piani iniziali?

 

Esatto. All’inizio non avevamo deciso nulla di particolare. Quando abbiamo iniziato non sapevamo dove saremmo andati a parare. La stessa idea del libro è arrivata in un secondo momento. Si è presentata la possibilità e abbiamo pensato che fosse interessante unire le due cose. Poi sicuramente non siamo i primi a uscire con una trovata del genere, ma quantomeno possiamo dire che non sia un’idea troppo banale.

 

L’idea dell’album/novella coinvolge da vicino un giovane illustratore, Antoine Ettori. Come lo hai conosciuto?

 

Ho conosciuto Antoine in Francia e sono subito rimasto colpito dai suoi lavori. Così mi è venuta l’idea di coinvolgerlo nel nuovo progetto. Ci ho pensato un po’ su e mi sono detto: “abbiamo tre album da studio alle spalle, due dischi dal vivo, una band esperta e collaudata… è il momento di osare qualcosa di nuovo. Sono molto soddisfatto di quello che siamo riusciti a fare. Tra l’altro questo è il primo incarico da professionista per Ettori. Abbiamo usato le sue immagini anche sul nostro sito ufficiale, e ritengo che abbia svolto un lavoro eccezionale.

 

Un paio di anni fa mi dicesti che il tuo punto di riferimento per “A Place In The Queue” era “Tales From A Topographic Ocean” degli Yes. Hai considerato un punto di riferimento analogo anche questa volta?

 

La mia ispirazione è e rimane il prog a ogni livello: è quella la tradizone che vogliamo portare avanti. Avevo usato l’esempio di Tales per menzionare un traguardo sul piano della qualità e dell’importanza più che su quello dei contenuti. Ma le band che si possono prendere a modello sono molte: i Van Der Graaf Generator, gli Yes, i Caravan, gli stessi Flower Kings. Questa è la musica che mi piace e questa è la musica che voglio suonare.

 

Per tua stessa ammissione, ti sappiamo amante della disco music. Sbaglio, o qualche spunto ti è arrivato anche da quelle parti? Parlo soprattutto del primo disco…

 

Mah, credo che ci sia una certa affinità tra il progressive rock e la disco music. Gruppi come i Commodores o i Bee Gees sono cresciuti fianco a fianco con il rock. Ci sono diversi tratti in qualche modo comune: entrambi i generi utilizzavano la stessa tecnologia, si appoggiavano ai synth, potevano vantare bravi musicisti e puntavano su una vivida inventiva. Penso che quest’influenza si possa effettivamente riconoscere anche nel mio lavoro odierno per quanto riguarda certi suoni, anche se su questo album non trovi una traccia come “The Sun In My Eyes” di “A Place In The Queue”. Quello voleva essere una sorta di scherzo, che a me è piaciuto ma che ha fatto scandalizzare tanti critici. Sul nuovo album non c’è nulla di simile.

 

Dalle informazioni in mio possesso mi risulta che su questo album ti sei occupato soltanto di voce e tastiere, mentre hai abbandonato la via della chitarra. Come mai questa scelta radicale?

 

Beh… il fatto è che mi sono dimenticato di scriverlo, ma anche io suono la chitarra su questo disco (risate). Non sono la chitarra principale – quello è il ruolo di Jakko (M. Jakszyk, ndr) – ma la suono pure io, dall’inizio alla fine. Anche per quanto riguarda Guy (Manning, ndr) le note sono incomplete: c’è scritto “strumentazione acustica”, perché se avessimo elencato singolarmente tutti gli strumenti che suona a quest’ora eravamo ancora lì a scrivere.

 

Lo scorso anno avete realizzato un DVD dal titolo “Going Off On One”. Purtroppo non ho ancora avuto modo di visionarlo. Me lo consigli?

 

A costo di sembrare banale, sì (risate). Con i Tangent ho sempre cercato di fare qualcosa di diverso da ciò che si può trovare nelle altre band, e anche questo DVD segue la medesima linea di condotta. C’è chi per la registrazione di un DVD sceglie il concerto più importante, quello con il pubblico più numeroso, la strumentazione migliore, la setlist più votata e così via. Si può dire che la maggior parte delle band faccia così. Noi come al solito dobbiamo fare i bastian contrari. Abbiamo scelto il posto più piccolo e il pubblico meno numeroso. Abbiamo preso questo bar minuscolo nel sud dell’Inghilterra, senza luci, senza fumi, senza effetti speciali, con un palco piccolissimo e abbiamo registrato. È un concerto molto calmo, intimista, vero. Ciò che vedi è ciò che suoniamo realmente, senza correzioni e senza fronzoli. La nostra musica così com’è. Credo che abbia funzionato.

 

Quando sono nati i The Tangent, non era previsto che il progetto avesse un seguito. E invece c’è stato un secondo disco. Poi un terzo. Oggi, con il nuovo album sugli scaffali dei negozi, i The Tangent possono considerarsi una delle realtà di punta del progressive rock a livello mondiale. Come ci si sente sulla vetta?

 

Mi fa molto, molto, molto piacere sentirti dire questo. Quello che vogliamo comunicare è che siamo tutti grandi appassionati di progressive rock. E credo che la gente lo abbia capito. Ci hanno sostenuto con grande entusiasmo. Il nostro primo album è stato un sogno che si realizzava. Ora vogliamo portare avanti quel sogno. Abbiamo lavorato duro, siamo cresciuti. Ci sono stati momenti difficili. Non è stato facile mantenere la band unita, tutti sono molto occupati, ogni musicista ha altri progetti. Dopo quattro album e due dischi dal vivo, posso ritenermi più che soddisfatto dei risultati.

 

Credo che il tuo amore per il progressive rock trapeli da ogni nota che suoni. Oggigiorno si parla tanto di progressive, nel rock e nel metal, spesso a sproposito. Visto che bazzichi da un po’ nel settore mi piacerebbe sapere che cosa significa per te suonare “prog”.

 

Non ho mai creduto che il progressive rock fosse qualcosa di molto complicato, o che dovesse per forza svilupparsi e migliorare col tempo. A mio avviso il progressive è qualcosa legato a un’epoca, un’epoca in cui la storia dell’umanità stava attraversando una fase di grandi cambiamenti e nuove conquiste. Voglio dire, negli anni settanta l’uomo è andato sulla luna, ha attraversato l’oceano Atlantico alla velocità del suono, ha compiuto grandi imprese di ogni sorta, si sono formati movimenti pacifisti… era inevitabile che tutto questo si riflettesse in qualche modo sulla musica. Ecco, sono d’accordo con chi dice che la musica è il riflesso di un’epoca. Oggi l’Inghilterra è un paese depresso, pieno di problemi a livello politico e non solo. Questo si riflette nella musica che va di moda attualmente. A me piace voltarmi e guardare quello che era il progressive. Non è una questione di strutture, di ritmiche, di riff, non importa se il sound è attuale, sinfonico, classico, medievale, non importa se canta un uomo o una donna. Certo, ci sono grandissimi cantanti quali Patrick Lundström dei Ritual o Daniel Gildenlöw, che hanno voci straordinarie. Ci sono anche cantanti meno dotati, ma la cui voce in qualche modo si integra bene con la musica, come per sempio Latimer, che è straordinario alla chitarra ma un po’ meno straordinario alla voce. O come me (risate, ndr). Nel progressive, la musica stessa è una continua progressione: non puoi prevedere dove ti porterà, sai dove cominci ma non sai dove andari a finire.

 

Una volta ho posto la stessa domanda a Steve Hackett, e lui mi proposto la massima “no Hammond, no prog”. Tu che cosa ne pensi?

 

Beh, l’Hammond ha sicuramente un posto di grande rilievo nella storia. Ci sono stati grandi musicisti prog che erano maestri di questo strumento e non solo. Non so fino a che punto potrei ricondurre un genere a un singolo strumento. Prendi per esempio le chiarre: sono lo strumento rock per eccellenza. Però non sempre sono presenti nei gruppi rock. Prendi gli Atomic Rooster: la formazione base non comprendeva chitarristi. Per l’Hammond si può fare un discorso analogo, anche se indubbiamente ha avuto un ruolo importante, tanto nel prog quanto in altri generi come il blues o il jazz.

 

Da appassionato ad appassionato, vorresti consigliare qualche album progressive recente ai lettori di Truemetal?

 

Sono un grande estimatore di una band italiana, La Torre Dell‘Alchimista. Sono veramente un gruppo straordinario, tra l’altro dovrebbe essere uscito da poco il loro secondo album, ottimo quanto il primo. Molto bello anche il nuovo Porcupine Tree: sono un loro grande fan, li ascolto ormai da 14 anni, li ho visti due volte dal vivo, adoro il loro sound malinconico e futuristico. Poi ho apprezzato i nuovi dei Mars Volta, dei Radiohead, dei Ritual… e questo solo per rimanere in ambito rock. Mi è piaciuto anche molto il disco dei francesi Saint-Germain, un album electro-jazz notevole.

 

Lasciamo da parte un attimo i The Tangent. È da un bel pezzo che non si sente parlare dei Parallel Or 90 Degrees, il tuo primo progetto. Pensi che le cose potranno cambiare di qui a breve?

 

No. Sono ancora in rapporti di amicizia con gli altri ragazzi, e contiamo di lavorare di nuovo insieme un giorno o l’altro. Però al momento i Tangent sono la mia prima occupazione: considera che vende più un loro disco in un mese di quanto io non abbia venduto con i PO9D in tutta la lora esistenza. Non chiudo la porta per il futuro, ma per il momento non sono previsti sviluppi.

 

Poco tempo fa hai anche realizzato il tuo primo disco solista. Di che si tratta?

 

È stato un disco pubblicato in silenzio, per vedere come lo avrebbe accolto la gente. Potrà avere un seguito in futuro, ma non per forza con questo stesso stile. Mi sono ispirato a gruppi come i Tangerine Dream, Klaus Schultze: niente cantato, solo musica elettronica molto soffusa e rilassante. Sono tre lunghe tracce che spaziano attraverso varie tonalità, quasi un disco ambient. Posso farti una domanda io ora?

Come no, spara.

 

Sai dirmi dove si trova Voghera?

 

Voghera? Cacchio, mi prendi alla sprovvista… mi pare sia in Lombardia, nel nord dell’Italia. Perché?

 

Perché a maggio verremo lì a suonare

 

Ah, hai anticipato la mia prossima domanda!

 

Davvero? (risate, ndr)

 

Sì, volevo appunto chiederti qualche notizia sul fronte live. So che a maggio siete in tour con Ritual e Beardfish…

 

Sì infatti, la band andrà in scena per così dire in edizione limitata. Non potremo partire tutti per il tour: con me ci saranno sicuramente Jonas (Reingold, ndr) e Jaime (Salazar, ndr), più un ospite di cui ancora non posso rivelare l’identità. Ti dico solo che NON si tratta di Daniel Gindelöw. Vi faremo sapere di più nelle prossime settimane.

 

Bene Andy, ti aspetto per la tua data italiana allora. Ti ringrazio per la cortesia e ti lascio l’ultima parola.

 

Grazie a te Riccardo, e grazie anche ai lettori di Truemetal. È grazie al lavoro vostro e degli appassionati come voi che band come i The Tangent possono continuare a esistere. Purtroppo la carta stampata non ci dà grande supporto, quindi l’unico mezzo per farci conoscere è il web. Senza l’operato di webzine come la vostra per non le cose sarebbero ancora più dure di quel che già sono. Quindi grazie ancora, ci impegneremo per meritare il vostro lavoro sia in studio sia dal vivo. A presto!

 

Riccardo Angelini