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Threat Signal (Jon Howard)

Di Daniele D'Adamo - 7 Ottobre 2011 - 0:10
Threat Signal (Jon Howard)

È in uscita “Threat Signal”, terzo full-length dell’omonimo gruppo canadese. L’occasione è ghiotta per fare due chiacchiere a tutto tondo con Jon Howard, il cantante.

Sono passati due anni, da “Vigilance”. Che riscontri avete avuto, in termini di vendita e di critica?

Le vendite di “Vigilance” non sono state così buone, se comparate a quelle del nostro debut-album “Under Reprisal”. Non penso, però, che questo sia stato il frutto di una cattiva promozione. Ritengo, invece, che la gente abbia accettato malvolentieri alcune differenze in termini di sound fra i due lavori. Alcuni critici hanno giudicato “Vigilance” mediocre, altri l’hanno valutato addirittura meglio di “Under Reprisal”, e altri ancora non hanno dato alcuna chance a nessuno dei due. Io, invece, sono molto orgoglioso di questo disco, poiché ha rappresentato esattamente quello che io volevo creare in quel momento. Se mi si chiedesse: «registreresti un altro “Vigilance”?», risponderei: «no, perché non farei mai un album uguale all’altro. Nemmeno a “Under Reprisal”.».

La vostra line-up, nel frattempo, ha avuto dei cambiamenti. Cos’è accaduto?

Il percorso di questa band si può raffigurare come una strada lunga e dura, contrassegnata da una costante lotta per la sopravvivenza nel pazzo Mondo dell’industria musicale. Ogni membro della band che l’ha lasciata, ha avuto le sue buone ragioni personali. Se non è stato lo stress accumulato durante i tour, passati a dormire nei caravan, è stata l’angoscia per il denaro e in particolare per la sua mancanza. Onestamente facciamo ben pochi soldi con i Threat Signal e, infatti, devo impegnarmi in altri due lavori per far fronte alle mie spese. Capita anche che alcuni membri debbano lasciare per trovare di che sfamare le proprie famiglie: una scelta logica che non si può biasimare. Questo è molto triste, ma molto vero; quindi, sono molto felice di avere altre fonti di reddito sì da poter fare quello che amo!
 
È tempo del nuovo arrivato, ora: “Threat Signal”. Come mai avete scelto questo titolo?

Come ho già detto è stata una strada lunga e dura, per questa band, e quindi mi sento davvero realizzato nell’avere raggiunto il terzo full-length. Sin dal primo giorno ho sempre detto che se avessimo raggiunto la terza pubblicazione, allora avremmo potuto avere la certezza di un nome definitivo per noi stessi, e per il mondo del metal. Sento, anche, che la band suona più forte che mai, e che se qualcuno dovesse ascoltare i Threat Signal per la prima volta, lo dovrebbe fare proprio con “Threat Signal”. Ecco perché ho ritenuto che quest’album fosse degno di essere il nostro omonimo!

Sembra che abbiate avuto, per quest’album, un approccio più tecnico rispetto al passato…

Sì, è vero. Abbiamo acquisito alcuni musicisti molto tecnici, nel corso degli anni, che, con quest’album, si sono letteralmente sbizzarriti. Gli innesti di Alex Rudinger alla batteria e di Chris Feener alla chitarra hanno portato una ventata di novità in termini d’idee, alzando notevolmente, pure, il livello della tecnica. Travis Montgomery ha dal canto suo contribuito a questo incremento scrivendo una grande quantità di riff.
 
Le differenze, però, pare non finiscano qui: in “Disposition”, per esempio, c’è un mood tetro, quasi da black metal. C’è un motivo particolare, per questo sentimento un po’ oscuro che avvolge il disco (“Buried Alive”)?

Quando abbiamo discusso in merito alla scrittura del nuovo disco, abbiamo deciso che sarebbe stato il più pesante, oscuro e folle lavoro dei Threat Signal. E così è stato. Ogni membro della band è stato coinvolto nel processo di scrittura, per cui alcune canzoni presentano un’atmosfera diversa da quella delle altre, seppur intinte nello stesso tono buio generale. “Buried Alive” è stata scritta da Travis, mentre “Disposition” da Pat (Kavanagh, il bassista – N.d.R.). Tutte e due le song hanno un feeling del tutto particolare, sia per la musica, sia per i testi. “Buried Alive” è stata composta molto presto, per cui l’abbiamo messa da parte per lavorare sul resto dei brani. Non sapevo bene cosa farne, di questa canzone: dal punto di vista vocale era qualcosa di completamente nuovo, per me. Il suo suono era veramente buio e disturbante, e mi lasciava sempre una sensazione inquietante, addosso. Poi, una volta, ho preso coraggio e ho attaccato le linee vocali: il risultato è stato sorprendente e da allora “Buried Alive” è diventata una delle mie canzoni preferite di “Threat Signal”. Inoltre, l’aggiunta del discorso di John F. Kennedy sulle società segrete del 1961 mi ha dato nuovi brividi. Nessun altro pezzo mi ha mai regalato simili emozioni, insomma.

C’è anche la sensazione che la melodia sia meno evidente (“Uncensored”). O no?

Questa canzone è stata scritta per essere la più pesante possibile, per spaccare la faccia degli ascoltatori. La canzone inizia con una frase semplice quanto efficace che io urlo a squarciagola: «questo Mondo è fottuto!», e la musica è come se prendesse a calci le persone. “Uncensored” è una canzone molto pesante e controversa, sia musicalmente, sia liricamente. Parla di come distruggere il Mondo e di come l’Umanità si stia adoperando per farlo. Se non cambieremo qualcosa e ben presto, saremo tutti fottuti.

Da molte parti, siete sempre stati accumunati ai Fear Factory. Cosa ne pensate, di questa interpretazione del vostro stile?

In realtà siamo stati accumunati a un sacco di band. Questo perché prendiamo spunto da molti gruppi e da tanti generi, diversi fra loro. Penso che l’unica somiglianza fra noi e i Fear Factory consista in alcuni giri di cassa e nel guitarwork, a volte davvero meccanico. Oltre a questo, non siamo simili a nessuno.

A proposito, qual è l’attuale rapporto fra i Threat Signal e gli Arkaea di Christian Olde Wolbers?

Pat e io suoniamo negli Arkaea assieme a Christian e Raymond Herrera. È come un misto di Threat Signal e Fear Factory. L’idea è nata nel 2007, quando tutti eravamo in un periodo di pausa. Abbiamo scritto alcune canzoni, da suonare con una nuova band. Il CD di debutto degli Arkaea è uscito nel 2009, e ora pensiamo seriamente di scriverne un altro, nell’immediato futuro. Arkaea è un progetto molto divertente, nel quale facciamo quello che ci pare. Spaziamo dal rock al metal, senza pensare di fare un nuovo album o dei Threat Signal, o dei Fear Factory. Certo, ci sono elementi di entrambe le formazioni, però si tratta di qualcosa di completamente diverso. Una band totalmente autonoma, insomma.
 
“Threat Signal” ha una copertina che non può lasciare indifferenti. Che cosa avete voluto dire, con essa?

La copertina raffigura un uomo politico che detta legge dietro a un podio. Ha del sangue, sulle mani, e il suo viso è coperto. È circondato da fuoco e distruzione. Ciò significa che quest’uomo sta provando ad assumere il controllo del Mondo e che lo distruggerà, nel tentativo. Il potere assoluto corrompe definitivamente.

Nelle info che accompagnano il promo del full-length, la Nuclear Blast vi definiscemodern death metal. Siete d’accordo, con questa definizione?

Davvero io non vedo i Threat Signal come parte del death metal. Noi combiniamo elementi di vecchia e nuova scuola metal, e così posso capire, in effetti, il ‘modern’. Ma il ‘death’? Non saprei. È come i Cannibal Corpse o qualche altra merda.

Siete canadesi. È ancora importante la provenienza geografica, oppure la globalizzazione ha avuto effetto anche nel campo del metal?

Sono orgoglioso di essere canadese, e non vivrei in nessun’altra parte del Mondo. Il metal europeo e quello americano sono fonti di ispirazione, per la band, così come quello svedese, di cui sono fan (si sente, soprattutto in “Under Reprisal”). Apriamo i nostri occhi al metal mondiale! È bello essere di mentalità aperta e costatare che anche gli altri lo sono.

Che cosa farete, ora?

Delle prove per un festival che si terrà questo weekend (“Live Summer Fest”, 24 settembre 2011 – N.d.R.) nelle Azzorre, in Portogallo. Stiamo inoltre cercando un nuovo management e un nuovo agente per gli USA. Vogliamo a tutti i costi colpire duramente il Mondo con “Threat Signal”, in uscita a ottobre, e stiamo lavorando con la squadra giusta per farlo.

A cura di Daniele “dani66” D’Adamo in collaborazione con Tarja “TarjaLaura” Virmakari