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Threshold (Richard West)

Di Riccardo Angelini - 2 Aprile 2007 - 0:05
Threshold (Richard West)

In occasione dell’uscita del nuovo album dei Threshold, “Dead Reckoning”, abbiamo avuto una piacevolissima conversazione un cordialissimo Richard West in vena di battute. A lui la parola!

Veniamo subito al punto: penso che Dead Reckoning sia uno dei vertici di questo 2007 in campo prog, e penso che anche tu sia consapevole della qualità del vostro lavoro. Che aspettative hai per questo album?

Eheh, mi hai fatto una domanda difficile, sai? Ci aspettiamo che sia il nostro album di maggior successo, perché penso sia il migliore che abbiamo mai fatto. Ora mi sembra che un po’ in tutto il mondo ci sia più attenzione e più curiosità verso il progressive metal. Noi siamo anche passati a un’etichetta più grande, abbiamo una grande compagnia dietro di noi, quindi mi aspetto che il seguito sia anche molto più grande di prima. Per questo la band ha lavorato e sta lavorando duro: facciamo più festival, più tour. Questo d’altra parte non significa che riusciremo a vendere tipo due milioni copie, questo è difficile da sapere, perché quest’anno abbiamo cambiato tutto. Il nostro modo di fare le cose. E speriamo che questo possa essere ripagato, che il nuovo album sia davvero il nostro maggior successo, e magari il maggior successo della Nuclear Blast. Potrà essere uno scopo ambizioso, ma è il nostro modo di vivere.

Sono passati tre anni da Subsurface, che probabilmente è l’album dei Threshold che ho amato di più, almeno fino a oggi. Quando avete iniziato a scrivere le canzoni per Dead Reckoning, e quanto tempo ci avete messo?

Abbiamo cominciato a scrivere i pezzi verso marzo/aprile del 2006, mentre se non ricordo male le registrazioni sono cominciate ad agosto. Ma di fatto abbiamo continuato a scrivere nuove canzoni anche quando le registrazioni erano già iniziate, quindi direi che tutto il processo ha preso il via a marzo e si è concluso a dicembre. In tutto è durato quasi un anno. È stata dura, ma ci siamo divertiti molto nel farlo. Avremmo potuto continuare per altri dieci mesi (risate). A dicembre la Nuclear Blast ci ha detto di sbrigarci perché l’uscita dell’album era imminente, ed è stata un’ottima idea dircelo perché così abbiamo smesso di pensare a come proseguire il disco e abbiamo cominciato a pensare a come concludere il disco.

Dead Reckoning è fedele al suono marchio di fabbrica dei Threshold, e allo stesso tempo è anche un passo avanti. Quanto è importante per voi rinnovare il vostro sound?

Quanto facciamo un nuovo album cerchiamo sempre di farlo…migliore, e diverso. Quando sei in una band, spontaneamente inizia a sviluppare dei cliché, quindi ogni volta ti accorgi di avere fatto qualcosa che ricorda un album precedente, e ti accorgi di ripetere le stesse cose ancora e ancora. Allo stesso tempo, questo è quello che va a costituire il sound dei Threshold. Questa volta abbiamo cercato di capire quali erano i nostri cattivi cliché e le brutte abitudini, in modo da sbarazzarcene e da sviluppare delle buone abitudini. Credo che questa sia una delle ragioni per le quali Dead Reckoning suona diverso dai precedenti album. Abbiamo ricreato la formula.

In un primo momento il titolo di questo album avrebbe dovuto essere quello della quinta traccia “Pilot in the Sky of Dreams”, in seguito è stato cambiato in “Dead Reckoning”. Posso chiederti le ragioni di questo cambiamento?

Non ci piaceva molto l’idea di scegliere il titolo di una canzone particolare, perché avrebbe suggerito l’idea che quel brano fosse rappresentativo di tutto l’album, cosa che in particolare non è per nulla vera nel caso di “Pilot in the Sky of Dreams”.

In effetti…

È il pezzo più leggero, mentre ora il nostro sound si è fatto più pesante, quindi non sarebbe stata una buona idea sceglierla come titolo dell’album. Però era un titolo che ci piaceva, piaceva a tutti, era fantastico perché ci riportava alla mente i Pink Floyd o brani come “Lucy in the Sky with Diamonds”, che in un certo senso rappresentano le radici del nostro modo di intendere il prog. Ma non era adatto per un album come questo, che è probabilmente il meno progressive e il più heavy che abbiamo mai fatto. Avevamo quindi bisogno di un titolo che fosse più “metal”, e “Dead Reckoning” ha quel “dead” iniziale che è perfetto, no? (risate) Comunque, l’album vuole essere una sorta di viaggio attraverso la vita, e “dead reckoning” è un’espressione tratta dal linguaggio della navigazione, che indica la stima di una posizione. Ci è sembrato adatto ai contenuti.

Parlando di musica britannica in generale, l’Inghilterra può essere considerata la patria del progressive rock. Come vanno le cose oggi? Trovi che ci sia ancora seguito per questo genere?

La situazione sta migliorando. In Inghilterra negli anni ottanta c’è stata la morte del progressive prima e del metal poi. Ci sono state band come Marillion e Genesis che un po’ alla volta hanno trasformato il prog in pop, mentre le metal band che avevano animato la scena all’inizio del decennio entrarono in crisi sul finire degli eighties. Negli anni novanta si cercò in Inghilterra un tipo di sound che potesse rappresentare il nuovo successo, e a essere scelto fu l’indie rock di band come gli Oasis. Così si voltarono le spalle al prog e al metal… Oggi in Inghilterra questo sound sta cominciando ad annoiare, d’altra parte è stato popolare per quindici anni. Ora si sta cominciando a riscoprire il metal e il prog, quindi questo potrebbe essere un buon anno per i Threshold.

Rispetto a molte altre band, penso che la qualità delle liriche dei Threshold sia di un livello superiore. Da dove trai ispirazione quando ti accingi a scrivere i testi?

In questo album i testi parlano della vita. Ho trovato che molti dei miei amici e io stesso per primo abbiamo scoperto diversi problemi nella vita, problemi che possono fare andare a rotoli le cose molto facilmente. Questa è una collezione di storie tratte da diversi momenti di vita: quando corri attraverso la tempesta, come la superi… In passato abbiamo affrontato argomenti importanti e impegnativi, come la politica, la filosofia, l’ambiente…questa volta non volevamo un argomento importante perché…penso che avessimo esaurito gli argomenti importanti (risate).

Beh, la vita mi pareva un argomento abbastanza importante e impegnativo (risate)

Sì, la vita è LA cosa importante, ma per noi è stata più che altro lo spunto per esaminarne alcuni aspetti, e prima che potessimo rendercene conto ci siamo trovati con una collezione di storie tutte collegate l’una all’altra.

Già che parliamo di vita: dopo quattordici anni di carriera nei Threshold, come è cambiata la vita di Richard West e dei suoi compagni in questo tempo?

Siamo diventati più bravi a suonare! (risate) Quando eravamo giovani, pensavamo semplicemente a suonare quando capitava, per svago, senza dare una vera direzione alla nostra carriera. Probabilmente eravamo pigri, ma è perché non sapevamo nulla: non avevamo conoscenze del mondo della musica, non sapevamo a chi rivolgerci per fare un album, per promuoverlo, per fare un tour. Suonavamo in qualche club locale ma senza un’idea precisa di che cosa avremmo dovuto fare poi. Ora sappiamo muoverci meglio, e in questo senso siamo diventati più bravi a gestirci di quanto non fossimo dieci anni fa.

E penso che il miglioramente si sia riflesso sulla qualità della vostra musica: amo molto “Wounded Land” e “Psychedelicatessen”, ma preferisco lavori più recenti come “Critical Mass” o “Subsurface”.

Beh, abbiamo cercato di eliminare l’immaturità dei primi lavori, sempre più nel tempo. Oggi, con il cambio di label, ci sembra quasi di essere una nuova band, di cominciare da capo, e questo ha portato un grande entusiasmo nel gruppo. Credo che l’esperienza degli ultimi quindici anni ci abbia fatto migliorare da tutti i punti di vista. Tranne per il fatto che forse eravamo più belli quando avevamo vent’anni (risate).

Parlando d’altro, personalmente, amo molto il tuo modo di suonare la tastiera. Non sono un esperto dello strumento, ma come tipo di suoni e come capacità di mettere insieme tecnica e melodia, penso che tu sia uno dei migliori musicisti di oggi. Quando hai iniziato a suonare, e quali sono stati i tuoi punti di riferimento?

Ho iniziato a suonare il piano quando avevo cinque anni, e ho cominciato a suonare il mio primo synth a sedici, e ho continuato fino a oggi. Come influenze, da ragazzino ascoltavo molto i Queen e i Genesis. Le tastiere in quelle band erano eccezionali, e mi hanno ispirato molto nel tempo. Personalmente, posso dirti che non mi è mai interessato granché il lato per così dire “spettacolare”, la dimostrazione di abilità. Preferisco costruire una melodia, cercare di darle un tocco classico o di altro tipo…la cosa che mi diverte di più è l’immensa quantità di suoni diversi che si possono creare oggi con un synth, le atmosfere che si possono ricreare. Questo mi inspira moltissimo. Preferisco passare il mio tempo come produttore, come creatore di nuovi suoni che come tastierista, per suonare il più veloce possibile. 

Tra i dischi più recenti, ne stai ascoltando qualcuno in particolare?

Non ho ascoltato molti album negli ultimi anni perché sono stato molto occupato a scrivere, e quando scrivi, come puoi immaginare, non hai molto tempo né voglia di ascoltare altra musica. Un paio di settimane fa ho ricevuto una mail da una rivista greca che mi chiedeva quali fossero i miei cinque album preferiti del 2006. Nel 2006 credo di non averli nemmeno comprati, cinque album (risate). Posso dire che mi è piaciuto “Stabbing the Drama” dei Soilwork, e anche l’ultimo dei Korn, soprattutto per le atmosfere di sottofondo…

Quindi non hai ascoltato i nuovi album di Queensrÿche o Pain of Salvation?

Non ancora. Ma mi interessa sentire che cosa hanno fatto i Pain of Salvation, perché abbiamo fatto un tour con loro e li conosciamo molto bene.

Mi sarebbe piaciuto avere un tuo parere, perché l’ultimo album non mi ha convinto granché…ma dovresti ascoltarlo, così puoi farti un’idea con le tue orecchie.

Lo farò. Da quando abbiamo lasciato la InsideOut l’anno scorso la mia già limitata scorta di ore libere è andata precipitando, ma lo farò certamente, perché sono una buona band!
Per quanto riguarda i Queensrÿche devo essere onesto: ho avuto la possibilità di ascoltare il primo Operation:Mindcrime per la prima volta a dicembre.

Apperò!

Sono un po’ in ritardo in effetti, credo di essere l’ultimo al mondo tra chi si occupa di questa musica! Ha avuto davvero poco successo in Inghilterra, ha venduto pochissimo da queste parti. Ma ogni anno tutti mi dicevano “devi ascoltarlo, è un classico”. Alla fine ho ceduto. La cosa buffa è che probabilmente avrei adorato quell’album negli anni ottanta, ma ad ascoltarlo nel 2006, suona un po’ datato. Ma è colpa mia che sono arrivato tardi, avrei dovuto procurarmelo prima.

Veniamo alla domanda di rito: verrete in tour anche in Italia nei prossimi mesi?

Sì, ci sarebbe piaciuto suonare al Gods of Metal, ma è troppo presto per noi: il tour comincerà a luglio e il Gods of Metal è a giugno. Stiamo vedendo se sarà possibile suonare all’Evolution, che è a luglio: il nostro agente sta parlando con gli organizzatori al momento.

Quindi devo prepararmi a comprare i biglietti per l’Evolution?

Sì, ma prima devi scrivere agli organizzatori di prenderci! (risate) Per il resto, l’idea è di fare un tour europeo verso settembre, e anche in quell’occasione vorremmo venire in Italia. In passato abbiamo fatto tour brevi, quindi era facile suonare nell’Europa centrale, in Germania, Olanda e Belgio, ma non siamo mai andati oltre. Poteva capitare che andassimo per esempio in Spagna o a Est in Repubblica Ceca e in Slovacchia o a Nord in Svezia. Ma non potevamo fare tutte e tre le cose, perché non c’era abbastanza tempo. Questa volta vogliamo fare un tour più lungo, e suonare in tutti i paesi. Anche perché dovremmo suonare in Italia più spesso.

Tra gli elementi peculiari dei Threshold, c’è il cantante Andrew McDermott: una delle voci più uniche e, a mio avviso, più talentuose della scena prog. Egli è noto anche per le sue acrobazie da scavezzacollo, le cosiddette Macrobatics. Quando siete sul palco a suonare, e lui prova uno dei suoi pericolosi stunts, qual è la prima cosa che pensi?

La cosa più grossa che io ricordi l’ha fatta una volta che suonavamo a un festival in Olanda. C’era un grosso faro sopra lo stage, e Mac si arrampicò sull’impalcatura fino in cima e si appese lassù, a un’altezza di sei o sette metri buoni. Se ne stava là, col microfono in una mano e l’altra attaccata alla struttura cercando di tenersi stretto. Era mezzo ubriaco, io ero convinto che stesse per cadere ed ero piuttosto preoccupato. Credo di aver cominciato a pregare. Negli ultimi due anni si è dato una calmata, quindi penso che quella volta si sia preso un bello spavento. È salito in cima e deve aver pensato anche lui di essere in punto di morte. Ma ai fan le Macrobatics piacciono, quindi probabilmente quest’anno ricomincerà e si metterà a pensare a qualche nuovo numero. È bravo a intrattenere la folla, e questa è la cosa più importante quando suoni dal vivo, più di avere un buon suono e buona musica e buone luci. C’è bisogno anche di un valido showman.

Non posso darti torto. A parte questo, hai qualche altro progetto per il futuro?

Ne ho troppi, potrei parlartene per ore. Il principale è quello di registrare un album con mia moglie. È da parecchio tempo che ci penso, da anni. Ogni anno ne parliamo, registriamo nuove canzoni, e ogni anno diventano più pesanti. Abbiamo cominciato facendo quasi pop-rock, ora siamo arrivati a suonare canzoni quasi heavy metal. Quest’anno abbiamo le idee più chiare e spero che sia la volta buona per registrare un metal album con lei.

Te lo auguro anche io! Questa era l’ultima domanda, Richard. Se ora vuoi dire qualcosa ai tuoi lettori, lascio a te l’ultima parola.

Innanzitutto grazie a tutti voi per averci supportato tanto a lungo! Mi auguro di avere l’opportunità di venire prima della fine dell’anno in una delle vostre bellissime città, e certamente assaporare la vostra squisita cucina e ammirare la vostra straordinaria cultura…ma soprattutto godermi il vostro superbo caffè! Ciao!

Riccardo Angelini