TrueMetal.it presenta: ‘From The Depths’ Vol 06
TrueMetal.it non ferma la sua ricerca. Di seguito le recensioni di album provenienti dallo scuro quanto vivace sottobosco underground. Buona lettura.
1 – Kamion – ‘Gain’
I Kamion nascono nel 2014 da un’idea di Paolo Semenzin e Davide “Patch” Pattarello, coppia di chitarristi padovani che mostra sin dalle prime esperienze una evidente ispirazione americana. Manifesta, infatti, l’infatuazione per i suoni solidi ed arcigni dell’hard n’heavy sporcato di thrash, imbastardito con la veemenza spesso ascoltata da grandi esponenti del genere quali Zakk Wylde, Phil Demmel, sino ad arrivare al compianto Dime Darrell.
È tuttavia solo nel 2017 che il progetto prende definitivamente corpo, includendo il singer Dodo e la sezione ritmica composta da Dan alla batteria e Lux al basso: così completati, i Kamion diventano una band completa, focalizzata sulla produzione di pezzi propri in scia alle ispirazioni che ne hanno contraddistinto l’esistenza sin dagli esordi.
Uscito in un primo tempo in veste autoprodotta nel 2018, e poi licenziato per conto di Atomic Stuff – label nel frattempo lesta nel contrattualizzare l’interessante band veneta – ‘Gain’ è l’album d’esordio del quintetto, esito di un percorso musicale che pone in chiara evidenza tutte quelle che sono le influenze dichiarate e ribadite con estrema trasparenza.
Lungo la tracklist composta da otto brani originali è facile imbattersi in sonorità che spesso richiamano alla memoria Pantera e Machine Head, mescolati alla ruvidità dei Black Label Society ed a certe cose parecchio old school, mutuabili a Forbidden, Slayer e Death Angel.
Come facile intuire dall’artwork stesso del disco, un gigantesco camion che corre veloce senza sosta, travolgendo tutto ciò che gli si para di fronte.
Un formula forse un po’ troppo sfruttata e priva di particolare inventiva che, ad ogni modo, genera qualche buon risultato: ‘Another God’, ‘Mr. Sucker’ e ’Jungle’ sono discrete mazzate sui denti, esempi tutto sommato riusciti di un buon heavy thrash, robusto e di ‘sostanza’.
Bravi sino a qui, ai Kamion, per emergere serve però ancora qualche passo in avanti. Il rifarsi a grandi muse è cosa buona: l’appiattirsi su di esse, un po’ meno. Ed il rischio di perdersi in mezzo all’oceano dei ‘tanti’, un pericolo potenzialmente letale…
VOTO: 70/100 (Fabio Vellata)
https://www.facebook.com/kamionband
Label: Atomic Stuff
Tracklist:
1) The Reaper
2) Another God
3) Queen Of Hate
4) Home
5) Mr. Sucker
6) Going Wrong
7) Escape
8) Jungle
Lineup:
Dodo – Voce
Paul – Chitarre
Patch – Chitarre
Lux – Basso
Dan – Batteria
2 – Minus One – ‘Red Black White’
Potere della musica rock, linguaggio universale che riesce a diffondersi a tutte le latitudini, ponendo le basi, di quando in quando, per qualcosa di interessante anche in zone apparentemente aliene a certi tipi di sonorità.
Arrivano addirittura da Cipro e vantano già una discreta esperienza i Minus One, gruppo di ‘confine’ tra hard rock e pop sinceramente poco conosciuto (nonostante una partecipazione all’Eurofestival del 2016) ma comunque in possesso di alcune doti fondamentali tali da renderlo meritevole, quanto meno, di menzione.
Un misto di suoni che cercano di strizzare l’occhio alle realtà scandinave di maggior pregio (H.E.A.T., The Poodles ed Eclipse sono senz’altro tra le influenze principali), mescolati ad un’attitudine smaccatamente più commerciale che tenta di riprendere – va detto, senza particolare successo – quanto proposto in epoche recenti da Imagine Dragons e Muse.
L’idea è buona, il risultato ancora in parte da rivedere.
Qualche spunto di buon livello è intuibile, tuttavia l’idea di indecisione si mostra con una certa costanza. Troppo pop per essere hard rock; viceversa, troppo hard rock per essere veramente pop. Una trappola che non aiuta i Minus One nell’ottenere un’identità definita tale da potersi affermare con un marchio che sia davvero personale.
Ci sono basi ottime: molto bella la voce del singer Andreas Kapatais ad esempio, eccellenti suoni e produzione. Inappuntabile il profilo tecnico. Tuttavia i brani appaiono, allo stato attuale, ancora un po’ impalpabili e scarsamente incisivi: canzoncine dal taglio talvolta vagamente radiofonico che scivolano come acqua nemmeno gassata, concedendo un ascolto disimpegnato ma non molto di più.
Carina la cover di ‘You Don’t Own Me’ di Lesley Gore, altrettanto ‘carini’ pezzi come ‘Girl’, ‘Take Me Away’ e ‘Red Black White’. Giust’appunto: ‘carini’.
Per assurgere al rango di effettivamente ‘bello’ e convincente, serve ancora qualcos’altro…
VOTO: 65/100 (Fabio Vellata)
www.minusoneband.com
Label: Mighty Music
Tracklist:
1) The Greatest
2) How Does It Feel
3) Red Black White
4) Girl
5) Psycho
6) Nothing For Nothing
7) Run Away
8) The Other Side
9) Take Me Away
10) Some Times
11) You Don’t Own Me
Lineup:
Christopher Ioannides – Batteria
Constantinos Amerikanos -Chitarra
Andreas Kapatais – Voce
Harrys Pari – Chitarre
Max-o-Matic – Basso
3 – Samarium – ‘Right to Get Violent’
Californiani in tutto e per tutto. I Samarium sono l’incarnazione traslata nel tempo di ciò che si componeva in ambito thrash metal a cavallo tra fine anni Ottanta ed inizio anni Novanta tra i vicoli della Bay Area. Per andare subito diretti al punto, la loro proposta riporta alla memoria quanto di meglio intuito al tempo da band come Forbidden e Heathen ovvero un thrash metal tecnico impreziosito da melodie mutuate dallo speed metal di matrice statunitense. Emergono limiti tecnici che, se fossero stati limati in sala prove, avrebbero portato ad un risultato decisamente più apprezzabile. D’altronde questo modo di comporre lascia poco spazio alle interpretazioni e qualifica una band unicamente se dotata di mezzi tecnici sopra la media. Il tutto suona comunque bene, ha impatto e propone pure qualche soluzione di classe. Restano le pecche dei suoni, decisamente aspri e di una marcata eterogeneità a livello compositivo che fa suonare alcuni brani in maniera spigolosa e poco organica, e l’impatto ne risente. Di buona prospettiva.
Voto 60/100 (Nicola Furlan)
https://www.facebook.com/pg/samarium62
label: SM62 Records
Tracklist:
1) Special Kind of Devil
2) Blood Countess
3) Friend or Foe
4) At War with Myself
5) Frantic Schizophrenic
6) Sangre por sangre (Blood for Blood)
7) Bomb 62
8) Stand Up Fight Back
9) Violence
10) United We Thrash
Lineup:
Darwin: Bass
Chancho: Drums
Pabst: Guitars
MrSatansVoice: Vocals
4 – Solace in Murder – Homicidal
I Solace in Murder amano il thrash metal, ma hanno macinato tonnellate di heavy in gioventù. Quello che ne esce è un disco feroce e massiccio, ricco di groove e ritmiche così care ai Kreator, veri precursori dell’incedere metallico senza compromessi con quel pizzico di melodia che rende tutto più godibile. Nella sostanza, però, eccezion fatta per qualche manciata di riff e per un paio di pezzi di alto livello, il disco suona ‘tutto uguale’ ovvero risulta privo di slancio, sopratutto in merito al cantato che dovrebbe per certo spingersi un po’ oltre la ormai inflazionata ‘urlata’ caratteristica di chi non è poi così dotato di grandi mezzi vocali. Quello che ne risente più di tutto è l’aspetto melodico presente a livello strumentale, ma poco integrato con quella che dovrebbe essere la parte più espressiva di un brano, nel caso in esame la prova del frontman e bassista Joe Walters. Non sarebbe poi una buona idea prendersi un cantante più ferrato in materia?
Voto 52/100 (Nicola Furlan)
https://www.facebook.com/SolaceInM
label: autoprodotto
Tracklist:
1) Premeditation
2) Death to Yulin
3) Narcissist
4) The Collapse
5) Homicidal
6) From the Crimson Mist
7) Solace in Murder
8) Evolution of Insanity
9) End Again
10) The Calm
Lineup:
Jeff Franzen: Drums
Randy Emerson: Guitars
Joe Walters: Vocals, Bass
5 – Valiant Bastards – Harbringer of Chaos
Male ragazzi. Non ci siamo. I Valiant Bastards con “Harbringer of Chaos ” danno vita ad un thrash metal che dovrebbe esprimere groove e impatto mosh ma che, sopratutto per gli evidenti limiti tecnico-esecutivi dei musicisti, riesce a malapena a cacciare fuori un paio di ritmiche serrate e qualche assolo apprezzabile. La sezione ritmica è infatti nulla, sia a livello di drumming, sia di puntallamento del basso sopratutto in merito alle parti dove si dovrebbe percepire l’esplosione del sound. Malissimo anche la produzione: piatta, mal bilanciata nei volumi e quai sempre gracchiante. Unica nota positiva è il cantato: Lucas Salazar è espressivo, incisivo e metallico al punto giusto. Per il resto, suggeriamo una revisione completa del songwriting… e qualche lezione privata in più.
Voto 45/100 (Nicola Furlan)
https://www.facebook.com/valiantbastards
label: autoprodotto
Tracklist:
1) Harbinger
2) Cull the Weak
3) King of the Depths
4) Feast upon Human Flesh
5) War on Peace
6) Martial Law
7) Warcheif
8) Tomb for the Wicked
9) Renegade
10) Eyes of a Viper
Lineup:
Rusty Graham: Guitars (lead), Vocals (backing)
Lucas Salazar: Vocals, Guitar (rhythm)
Scott DeRosia: Drums, Vocals (backing)
Chris Pierce: Bass
6 – DARK POOLS – ‘Dark Pools’
Nati dalle ceneri dei thrasher New Deal, i triestini Dark Pools pubblicano il primo demo nel 2018, il lavoro omonimo che ci troviamo a curare in queste righe. I Nostri sono autori di una proposta dal prepotente taglio moderno, che può essere inserita nel filone groove metal, dove non mancano echi di Pantera, Nevermore e Lamb of God. Il quintetto triestino, inoltre, fregandosene dei clichè di questo o quel genere, decide di inserire nel proprio sound elementi dal forte sapore death metal, andando a pescare sia dalla scuola floridiana, che da quella inglese e olandese. Questa componente risulterà evidente soprattutto nella seconda parte del demo, in particolare nel riffing delle due asce di Davide Purinani e Angelo Rusalem, donando ulteriore fascino alle composizioni.
Nonostante qualche ingenuità affiori durante l’ascolto e alcune influenze risultino facilmente riconoscibili, i Dark Pools esibiscono interessanti potenzialità in sede di songwriting, che, se sviluppate a dovere, potranno regalarci una compagine su cui puntare in previsione futura, soprattutto se consideriamo l’ottima perizia tecnica di cui il quintetto è dotato.
Il nome della band, inoltre, merita una nota a margine. Come riportato dal quintetto, ‘Dark Pools’ deriva dai ‘mercati nascosti’ e non regolamentati, una metafora per descrivere l’attuale società dove le decisioni politiche sono unicamente basate su criteri economici, e vengono prese fuori dai contesti istituzionali, fregandosene dell’interesse della collettività. Particolare che evidenzia una ricercatezza non solo nella musica ma anche nei testi.
Come primo vagito, l’omonimo demo dei Dark Pools non è niente male. Ora non rimane che attendere il full length di debutto. Avanti così, Dark Pools.
Voto 68/100 (Marco Donè)
https://www.facebook.com/darkpools.ts/
Indipendente/Autoprodotto
Tracklist
1) Intro
2) Nobody Listens
3) Following the Road
4) In My Eyes
5) Rage Unleashed
6) Ready Set Go
7) Darkpools
Line-up
Andrea: Vocals
Davide: Guitars
Angelo: Guitars
Giuliano. Bass
Michael: Drums
7 – CREEPY JOE AND THE CHICAGO MASSACRE QUARTET
Creepy Joe And The Chicago Massacre Quartet
Possono brutal death e boogie woogie coesistere nella stessa proposta musicale? Si, avete capito bene, tre loschi figuri che si fanno chiamare Creepy Joe And The Chicago Massacre Quartet si sono inventati esattamente questo. Sezione ritmica e chitarre death con la tastiera che suona anni ’60, condire il tutto col più cavernoso dei growl e il gioco è fatto. Quella che sulla carta potrebbe figurare come una sonora minchiata smentisce invece l’ascoltatore dopo pochissime note: i ragazzi ci sanno fare eccome e il matrimonio che non s’ha da fare funziona invece alla grande. Vengono varcati ed oltrepassati tutti i confini dell’avantgarde con maestria e una padronanza della strumentazione che ad ogni ascolto risulta ispirata, fresca e soprattutto divertentissima. Non osiamo pensare a come sarebbe assistere ad un ipotetico live dei Creepy Joe And The Chicago Massacre Quartet; con molta probabilità il puro e semplice delirio. Il disco in nostro possesso non è nemmeno un disco, trattasi infatti di un Ep della durata di uno scarsissimo quarto d’ora spalmato su quattro brani, che risulta molto poco per tirare le somme ed estrapolare un giudizio globale che comunque rimane positivissimo. L’ep è ben prodotto e gli strumenti si sentono in maniera piuttosto definita; questa non è ovviamente una proposta per il metallaro più oltranzista ma si rivolge a quella branca di persone che dalla musica cerca follia, stravaganza e compagnia bella. Per ora ci congediamo parecchio divertiti e con la speranza di poter ascoltare presto un full lenght, le potenzialità per un grande lavoro ci sono tutte! Ascoltateli!
Voto: 65/100 (Gianluca Fontanesi)
https://www.facebook.com/creepyjoeandthechicagomassacrequartet
Label: Autoprodotto
Tracklist:
1) Blue Note Annihilation
2) The Heartwarming Story Of Cowboy Bill
3) Up-tempo Genital Asphyxiation
4) The Butcher’s Blues
Line Up:
Sconosciuta.
8 – Phandemya – ‘DeathAtomized’
I Phandemya sono nati a Roma nel 2017 da un progetto dei chitarristi Matteo e Francesco, ai quali si uniscono Jacopo, al basso ed alla voce, e Alessandro alla batteria.
Nel Gennaio 2018 hanno inciso il primo singolo ‘Speed Kills’ e successivamente hanno intensificato l’attività live, che li ha portati ad aprire per gruppi importanti quali gli austriaci Belphegor.
L’8 dicembre 2018 è uscito il loro primo EP ‘DeathAtomized’: un attacco di artiglieria sonora dove i colpi sparati sono bombe al Thrash vecchio stampo, di scuola tedesca, contaminato da linee Death e Black che ne aumentano la potenzialità deflagrante e portano il tutto ai giorni nostri.
Il mini album, registrato e prodotto al Defrag CheckRoom da Fabrizio Campomori, è composto da cinque pezzi, anticipati dalla strumentale ‘Apotheosys’, che proietta l’ascoltatore in un clima scuro, fumoso ma anche marziale con le sue orchestrazioni sinistre ed i colpi bellici dei tamburi.
Poi inizia l’aggressione vera e propria: ‘Juggernaut Assault’, preceduta da un breve arpeggio è potente ed intensa con un refrain demoniaco, ‘Speed Kills’ frantuma ogni ostacolo con i suoi cambi di tempo mentre ‘Molon Labe’ ha una buona ricerca melodica rappresentata dalla chitarra che segue le strofe come se fosse un controcanto. ‘Deathatomized’ è altrettanto impattante, con la preziosità di un enfatico assolo che ne spezza la furia.
Chiude la sulfurea ‘Solar Eye-Hole Pt.1 – Sands Of The Dam’ che si diversifica dalle precedenti anche se, in alcuni passaggi, perde un po’ di originalità.
Un buon inizio quello dei Phandemya, che dimostrano di sapere il fatto loro. Attendiamo i prossimi sviluppi ed intanto, facciamo due chiacchiere con loro:
Cosa hanno in programma i Phandemya per il prossimo futuro?
I nostri programmi per l’immediato futuro non sono numerosi ma sono ben mirati a raggiungere uno specifico obbiettivo.
Quello a cui puntiamo è far sentire la nostra voce il più forte possibile e a più persone possibile.
E che questo possa essere il propano per quello che sarà l’incendio, sia del nostro EP, quanto del nostro futuro lavoro (che sarà un LP) che avrà altre influenze rispetto a ‘Deathatomized’, sia nuove e sia simili.
Ovviamente, abbiamo come obiettivo anche quello di migliorarci ogni giorno che passa, sia a livello di live e sia a livello di studio.
Di che cosa parlano i testi dei Phandemya, e chi li compone?
Principalmente sono composti da Jacopo, nostro bassista e cantante, e riguardano svariate tematiche: ‘Speed Kills’, prende spunto dalla serie videoludica ‘Carmageddon’.
‘μολον λαβέ’ (‘Molon Labe’) riguarda la resistenza Spartana alla battaglia delle Termopili. Il titolo infatti rievoca la storica frase di sfida che Leonida rivolse a Serse.
Si può dire che il testo di ‘Deathatomized’ sia stato il più complesso da realizzare: tratta dei Wormholes, una complessa teoria fisico-quantistica in merito a questi squarci spazio-temporali di cui se ne teorizza l’esistenza, specie dagli studi di Stephen Hawkings.
‘Sands of the Damned’, prima parte di una storyline da noi creata, narra della storia della corruzione del Dio Ra, fattosi uomo per guidare il suo popolo nello splendore, da parte di Anubi, che è riuscito sovvertire la simbologia del Sole da simbolo di vita e ridenza a calamità naturale e distruzione.
Di ‘Juggernaut Assault’, paradossalmente, c’è poco da dire: è un classico testo thrash riguardante tematiche belliche.
Oltre ai brani che compongono l’EP disponete di altro vostro materiale da portare live ed, eventualmente, da inserire in un prossimo primo album?
Per il momento non abbiamo, all’effettivo, nessun pezzo finito e pronto per essere messo in un eventuale primo album.
Durante le nostre sessioni di prove sono sempre presenti idee e cambiamenti che mutano e muteranno nei mesi (o anni) a venire.
Possiamo solo consigliarvi di allacciare le cinture e prendere i posti in prima fila.
Cosa ne pensate della scena Thrash italiana?
Si può dire che è una scena davvero molto attiva.
Gruppi come Lapida, Game Over, Adversor, Asphaltator e molti altri, stanno lasciando segni indelebili (in Italia e non) di come la scena Italiana continui ad evolversi.
Nonostante ciò è un peccato che essa sia meno considerata rispetto alle altre scene Metal del panorama europeo.
VOTO: 70/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/pg/thebandphandemya
Label: autoprodotto
Tracklist:
1) Apotheosys – Intro
2) Juggernaut Assault
3) Speed Kills
4) Molon Labe
5) Deathatomized
6) Solar Eye-Hole Pt.1 – Sands Of The Damned
Lineup:
Jacopo – Vocalist and Bass
Matteo – Guitar and Backing Vocals
Francesco – Guitar and Backing Vocals
Alessandro – Drums
9 – Deity – ‘Evil Seeds of Life’
Esordio discografico per i Bulgari Deity, nati nel 2011, ma lanciati sul mercato dal 25 febbraio 2019 con l’album ‘Evil Seeds of Life’, prodotto autonomamente.
Il loro è un Thrash senza infamia e senza lode, chiaramente derivato dai prodotti anni ’80 e come tale suonato, senza alcuna contaminazione proveniente da altri stili o l’introduzione di sperimentazioni.
Nelle sette tracce che compongono il platter non si sente nulla che non si conosca già. In compenso il lavoro è discreto ed i Deity, se tengono duro e fanno esperienza, con la loro voce scartavetrata e gli assoli di buona qualità, hanno le potenzialità per crescere e dire la loro.
Questo è marcato in ‘In Pain’, che inizia cupa per poi accelerare improvvisamente, con strofe veloci e refrain diretti ed impertinenti, con la giusta quantità di Hardcore ed un buon cambio di tempo che spezza il ritmo.
Altrettanto valida è ‘Win the War’, marziale e dura, terribilmente Old School, con un refrain feroce, è puro Thrash arrabbiato.
Invece ‘The Final Demand’, per quanto malvagia e con un buon cambio di tempo, cala di qualità: troppo uguale a brani mediocri usciti negli ultimi decenni.
Stessa cosa per ‘Concealed Betrayal’ ed ‘Evil Seeds of Life’, che lasciano il tempo che trovano.
La qualità torna con ‘A Trace of Lifeless Chains’, a mio parere il miglior pezzo dell’album: campane a morto, un basso lugubre che inquieta, un tempo cadenzato che poi accelera senza strafare, un refrain diabolico, due buoni assoli ed una discreta ricerca melodica. Il brano più significativo dei Deity è, guarda caso, quello meno veloce e più controllato.
Chiude la velocissima ‘Face of Authority’, Thrash alla brutta maniera per finire come da manuale.
Insomma, ‘Evil Seeds of Life’ è un album che potrebbe meritarsi la sufficienza se si ascoltano i primi e gli ultimi brani, ma che purtroppo non riesce a raggiungerla per le mancanze riscontrate nella parte centrale.
Andrà meglio la prossima volta, le capacità e le idee, anche se di vecchio stile (nulla vieta di voler continuare a suonare come un tempo), ci sono. Basta metterle assieme un po’ meglio e continuare.
VOTO: 55/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/DeitySofia
Label: autoprodotto
Tracklist:
1) In Pain
2) Win the War
3) The Final Demand
4) Concealed Betrayal
5) Evil Seeds of Life
6) A Trace of Lifeless Chains
7) Face of Authority
Line-up:
Dimitar Antonov – Guitars
Tsvetan Peychev – Vocals, Guitars, Bass, Drums
Dobromir Paraskov – Bass
Simeon Kamenov – Drums
10 – Scrawn – ‘Scrawn’
La storia dei tedeschi Scrawn ha inizio nel 2013 dall’unione di musicisti appartenenti ad altre band. Nel 2015 quello che era un progetto collaterale diventa definitivo ed il gruppo comincia a comporre materiale proprio.
Dopo un EP del 2017, l’album d’esordio viene pubblicato il 18 febbraio 2019, dal semplice titolo ‘Scrawn’ ed autoprodotto.
Il loro sound è un Heavy Metal moderno, fuso con altri stili, sia tendenti all’estremo, sia più incentrati sulla melodia. Il risultato è eclettico e discretamente personale ma non riesce a coinvolgere del tutto. Si, perché, pur se le idee buone non mancano ed il gruppo ha tante carte in regola, tra le quali una buona padronanza tecnica nell’uso dei propri strumenti, l’album rulla e sobbalza parecchio sulla pista prima di decollare con il vento contrario, risultando, purtroppo in alcuni frangenti, paragonabile ad una luce al neon: energica ma fredda.
Tra le dieci canzoni, più un’intro che poco ci azzecca, in quanto crea una tensione da film dell’orrore che mai si avverte durante il platter, ed una bonus-track posta alla fine del disco, le tracce che più positivamente si distinguono sono ‘Shadowed Heart’, con le sue energiche strofe che, alternando growl e clean, accelerano portando il brano verso l’antro del Death senza mai entrarci del tutto ed un assolo diviso in più sezioni, la seguente ‘Storm the Solitude’, un Heavy Metal dinamico, vecchio stile, con strofe che partono tranquille per poi intingersi di rabbia manifestata da un furioso scream ed un interludio che viaggia verso un articolato assolo, ‘Wasted’, che è una buona cavalcata con un po’ di sano Hardcore al suo interno e ‘Adjusting the Sun’, suddivisa in parti lente e tristi e sezioni veloci e determinate.
Al capo opposto troviamo ‘Dominator’, ‘Follow the Sea’ e ‘Dark Waters’, che, per quanto articolate e ricche di variazioni, non riescono ad emozionare e lasciano un po’ il tempo che trovano.
Le restanti tracce non sono male, ma neanche eccezionali. Una menzione particolare va però alla bonus trasck, ‘Whiskey bar’, brano fuori dalle righe dell’album, cavallo di battaglia sul palco degli Scrawn, è frizzante e vivo, con il suo andamento punkeggiante e divertente, da ascoltare senza freni e con una buona birra in mano.
Concludiamo dicendo che, come primo album, va più che bene: gli Scrawn sono una band ad alto potenziale detonante, con una chiara voglia di emergere e di distinguersi. Basta affinare qualcosa qua e là e proseguire sulla strada intrapresa. Attendiamo il prossimo lavoro.
VOTO: 60/100 (Andrea Bacigalupo)
https://www.facebook.com/scrawnband
Label: autoprodotto
Tracklist:
1) Intro
2) Shadowed Heart
3) Storm the Solitude
4) Dominator
5) Wasted
6) Follow the Sea
7) One Day Ahead
8) Adjusting the Sun
9) Circus of Fools
10) Side by Side
11) Dark Waters
12) Whiskey bar (bonus)
Line-up:
Eckhard Sedlmayer – Bass
Michael Huber – Drums
Michael Tröstl – Guitars
Tim Reu – Guitars
Daniel Schranz – Vocals
11 – Elderwind – Чем холоднее ночь
Tornano a distanza di sei anni dal debut gli Elderwind, band nota come una tra le prime a suonare atmospheric black metal in Russia. Il nuovo album “Чем холоднее ночь” (legg. Chem khaladneye noch, la notte più fredda) lascia notare fin da subito una netta maturazione del gruppo di Ekaterinenburg.
Al di là di una produzione più curata, balza subito all’occhio una netta maturazione in sede compositiva, che produce otto tracce glaciali ma al contempo estremamente raffinate e di gran gusto.
Tenendo poi conto dell’estrema piattezza delle produzioni atmospheric black metal, gli Elderwind hanno dalla loro il fatto di essere una vera band (non un one-man project), con un batterista in carne ed ossa in luogo della drum machine. Ciò contribuisce a dare profondità ai pezzi, per un effetto più “vivo” e coinvolgente, al di là delle tastiere puramente glaciali e dei riff effettivamente indovinati.
Tra gli episodi migliori impossibile non citare l’opener ‘Алтай’ (Altay) o la monumentale ‘Просторы свободы’ (Spazi aperti di libertà). Un lavoro davvero valido, che ci lascia con la speranza di non dover aspettare tanto a lungo per un seguito.
VOTO: 78/100 (Tiziano Marasco)
https://www.facebook.com/Elderwindband
Label: autoprodotto
Tracklist:
1) Алтай
2) Утром
3) Просторы свободы
4) Осенним волшебством
5) Тишина
6) В сумерках
7) Покидая родные края
8) Чем холоднее ночь
Lineup:
Vyacheslav Oboskalov – Chitarre, tastiere, basso
Andrey Bycov – Batteria
Alexander Shirochenko – Voce