Violet Eclipse (Luca Poma)
Trovo che un viaggio nel mondo delle tribute – band (le cui origini risalgono ai “lontani” anni 70) sia alquanto affascinante: sebbene risulti poco conosciuto e, forse, anche un po’ sottovalutato, questo settore riserva, spesso, gradite sorprese in termini di qualità e di fedeltà, mettendo in luce artisti di notevole spessore tecnico e umano. Si pensi, infatti, a quanti numerosi illustri protagonisti della scena mondiale hanno incominciato la loro carriera proprio con i tributi; vedi gli Aerosmith, ad esempio, o altre famose rockstar sulle quali, però, non intendo ora dilungarmi, per non sconfinare in argomenti di più ampio respiro…
Quella che segue è una chiacchierata con un esponente di spicco di questo particolare “segmento di mercato”, noto al pubblico per il suo tributo a Sua Maestà Yngwie Johann Malmsteen: si tratta di Luca Poma, che rivela e approfondisce molti aspetti intriganti della sua attività professionale.
Spero che anche i lettori, come il sottoscritto, trovino questa intervista ricca di spunti interessanti non solo per musicisti e aspiranti guitar-hero, ma anche per i semplici appassionati.
Enjoy it…!
Quando e come ti sei avvicinato alla musica in generale e quando è nata la tua passione per un genere specifico? Anche tu hai cominciato con la musica classica? Raccontami i tuoi inizi.
Fin da piccolo, grazie all’influenza dei miei fratelli maggiori, e ancor prima di iniziare a suonare la chitarra, ho sempre seguito e amato gruppi come Deep Purple, Rainbow, Hendrix, i “vecchi” Scorpions, i “vecchi” Queen, gli Europe… Sono praticamente cresciuto con quel sound nella testa. Ricordo in particolare, di aver consumato la puntina del giradischi con album quali “Made in Japan” o “In trance”… Ovviamente, essendo ancora un bambino, l’idea di voler imitare i miei idoli (e di procurarmi al più presto una Stratocaster e “il più grande Marshall che potessi permettermi”, questo era il piano) si è fatta sentire molto presto, e così quando sono riuscito ad avere la mia prima chitarra elettrica è stato molto naturale, per me, cominciare a cimentarmi nei pezzi di quelle band e di quei chitarristi. Posso dire poi di essermi avvicinato alla musica classica grazie a Ritchie Blackmore e al solo di Highway Star… Da quel momento in poi ho sempre amato particolarmente la commistione tra classica e rock e, in particolare, il virtuosismo di chi lo faceva, e quindi ho ampliato il mio linguaggio musicale ascoltando dosi massicce di Mozart, Bach, Vivaldi, Chopin, Telemann, Listz e Paganini, che assieme a molti altri rimangono ancora oggi i miei compositori classici preferiti.
Quali altri chitarristi ti hanno ispirato in quel periodo, in particolare, oltre a Blackmore? Soltanto Malmsteen o altri?
Direi che Uli Jon Roth mi ha influenzato moltissimo da questo versante, per suono, stile e passione, e anzi, permettimi di aprire una piccola parentesi: vorrei pubblicamente ringraziarlo di cuore per la splendida jam che abbiamo avuto durante il suo concerto ad Orzinuovi il 1° aprile scorso (una “Dark Lady” di ben 15 minuti!!!), alla quale tra l’altro sono stato invitato da lui personalmente… Come puoi immaginare è stata una splendida esperienza, fra l’altro con Francis Bucholz al basso. Ritornando ai miei trascorsi, Malmsteen è arrivato dopo: l’ho sentito quando suonavo già da un anno ed ho subito capito che il suo stile, pur essendo decisamente originale, aveva come punto di partenza i miei stessi riferimenti; fin da allora ho avvertito che l’avrei seguito con grandissimo interesse.
A che età c’è stato il primo incontro con il grande amore della tua vita? Intendo la chitarra, ovviamente. Pensavi forse a qualcos’altro?
Eh eh! Guarda: sono riuscito ad avere la mia prima chitarra elettrica piuttosto tardi, a sedici anni, dopo aver suonato per un anno una chitarra classica economica.
Veniamo ad un’epoca più recente: com’è nata l’idea di mettere in piedi un progetto così ambizioso e, direi, difficile oltre che impegnativo, come un tributo a Malmsteen?
Come ti dicevo prima, quando ho sentito Yngwie l’ho amato subito perché racchiudeva in sé tutti gli aspetti principali delle band che seguivo: passione, feeling, grande capacità esecutiva. E’ stato molto semplice per me seguire il suo stile, perché ero già molto ben preparato su un certo tipo di rock e di approccio allo strumento. A diciassette anni avevo una band con la quale suonavo i suoi pezzi, oltre ai classici delle mie band preferite già citate. A un certo punto ho pensato che potesse essere interessante confrontarmi con un tributo specifico: avrei potuto anche cimentarmi in un tributo a Hendrix, Blackmore o Roth, ma scelsi Malmsteen, perché mi permetteva di esprimermi ad un tasso di livello tecnico piuttosto elevato, pur conservando grande feeling; inoltre, un tributo specifico alla sua musica rappresentava un prodotto non inflazionato.
Quanto è importante per te l’aspetto tecnico? Che ruolo ha avuto nella tua formazione professionale?
Non ho mai messo la tecnica al primo posto: la tecnica a livello artistico non vale nulla, nel senso che chiunque, anche se non è dotato di particolare talento, può studiare e raggiungere ottimi livelli; diverso è riuscire a comunicare qualcosa grazie al proprio essere, e saper suonare il rock. Per quel che mi riguarda, ho sempre amato i talenti naturali sia nel rock che nella musica classica, per la loro facilità esecutiva ed espressiva. Il mio obiettivo è sempre stato quello di coniugare il feeling e il “fuoco” di Jimi con la capacità tecnica di un Liszt, tanto per fare un nome, e penso sia sempre stato anche l’obiettivo di Malmsteen. Inoltre mi ha sempre intrigato la difficoltà intrinseca di determinate partiture classiche alle quali Yngwie si è ispirato. Tuttavia mi sono sempre ritenuto un rocker, per cui ho sempre rifiutato come scelta personale ogni tipo di lezione o aiuto esterno, imparando completamente da autodidatta, sostanzialmente dai dischi e dai concerti. Tutti i chitarristi che seguo hanno fatto così, e se non l’avessi fatto anch’io probabilmente mi sarei sentito inferiore a livello di capacità, ma questa è un’opinione esclusivamente personale.
Quando hai formato i Violet Eclipse?
Nel 1999, sulle ceneri di quella vecchia band con cui suonavo Hendrix, Malmsteen, Deep Purple, Rainbow, Europe e i vecchi Scorpions.
Domanda provocatoria: secondo me il momento storico, per il Metal Neoclassico, non è proprio dei migliori, specialmente in Italia. Sei d’accordo con questa mia affermazione?
Non seguo la scena metal neoclassica odierna e quel poco che conosco mi fa pensare che non sarà mai un genere che seguirò con interesse. Rispetto le scelte altrui, ma penso che molti dei chitarristi di questo genere abbiano dimenticato Hendrix e in generale il vero significato della parola Rock, e questo mi basta per rivolgere le mie attenzioni altrove.
Sulla scia della provocazione, insisto. Mi pare che il prodotto che proponi, con ammirevole coerenza, non sia molto “vendibile”, se collocato nel segmento di mercato relativo alle tribute band. Qual è il tuo bilancio dopo qualche anno dal tuo esordio?
Non ho mai pensato di guadagnare soldi, con un tributo a Malmsteen; per farlo avrei dovuto proporre cover “tamarre” da classifica o magari un tributo a Vasco, cose che non farei mai neanche sotto tortura. Per scelta ho sempre suonato solo ed esclusivamente quello che volevo; niente turni in sala, niente collaborazioni e così via. Tutto questo, ovviamente, ha un prezzo piuttosto alto. Ho un lavoro diurno, che però mi permette l’assoluta e totale libertà musicale in termini di scelta del materiale da eseguire, ma capisco perfettamente chi, essendo professionista, deve sbarcare il lunario e preoccuparsi di fare qualcosa di remunerativo. Comunque la situazione non è poi così tragica, con il tributo; i locali non sono molti, ma ci sono e si lavora ancora, tutto sommato, abbastanza bene.
Sinceramente: non ti sei mai pentito della scelta e della via intrapresa, considerate le suddette difficoltà di percorso?
Pentirmi di questa scelta vorrebbe dire pentirsi di essere un rocker… Never!
Torniamo alla tua band. Giustificami la scelta di una cantante donna, al di là del fattore estetico, così rispondi anche alle immancabili malelingue, eh eh!
Il progetto iniziale è sempre stato quello di avere una voce femminile nella band, una voce che fosse in grado di distinguersi da una marea di cantanti maschi dall’identica impostazione, e che potesse altresì distinguere la mia band dalle altre. Quando ho sentito Moira ho capito che era la scelta perfetta: i suoi modelli di riferimento sono quelli classici dell’hard rock, ma nel contempo risulta dotata di una voce graffiante e potente e di uno stile particolare, che le permette di distinguersi immediatamente. Inoltre la sua ottima tecnica vocale fa sì che possa districarsi senza grossi problemi tra i vari brani dell’intera produzione Malmsteeniana. Penso che anche in un tributo la personalità e l’originalità degli esecutori siano comunque da mettere in primo piano. Le malelingue ci sono sempre e comunque, specialmente quando una band comincia a funzionare molto bene, ma chissà perché chi critica o insinua lo fa sempre anonimamente. Inoltre, venire a un concerto dei Violet Eclipse per guardare delle ragazze significa non capire un c… di musica, questo mi sembra molto chiaro. Se queste persone si degnassero di ascoltare la voce di Moira, capirebbero immediatamente perché si trova nella band.
Nell’ottica di un inevitabile parallelismo con le vicende del Maestro, quante volte in generale ti capita di scatenare una rissa prendendo a botte la tua cantante e/o il tuo batterista?
Ah ah! Diciamo che ho bene in mente quello che voglio e il modo per ottenerlo; ciò genera spesso tensione non tanto all’interno della band, quanto con tutte quelle persone che hanno a che vedere con il lato organizzativo dei concerti, e di episodi da raccontare ce ne sarebbero a bizzeffe… Ma quanti musicisti non vorrebbero scatenare una rissa con queste persone?
Torniamo ad essere seri. Assistendo ad un tuo concerto ho notato che la tua esecuzione dei brani non è fedele al 100% rispetto al modello originale. Ciò risponde ad una tua precisa scelta artistica?
Non potrebbe essere altrimenti. Ho sempre trovato decisamente inutile risuonare nota per nota delle improvvisazioni che sono frutto di ispirazioni del momento. Tutti i soli di Malmsteen sono creati esattamente in questo modo e lo riprova il fatto che in sede live non sono mai suonati come su disco. Preferisco, dal vivo, pormi nella stessa condizione di Yngwie e creare improvvisazioni dello stesso livello, seguendo gli stilemi tipici del suo stile (vibrato, scale e sequenze tipiche) ma nel contempo facendo trasparire il mio stile e la mia personalità (cosa che ritengo assolutamente fondamentale), il che si traduce, di solito, in una versione dei soli a detta di molti un po’ più tecnica, ma comunque dotata di grande feeling. Un altro aspetto fondamentale è che, se dovessi rifare i soli dei dischi nota per nota ogni sera, mi annoierei mortalmente, perché a forza di suonarli sarei in grado di eseguirli anche dormendo, e questo renderebbe tutto troppo semplice e annullerebbe, di fatto, la tensione esecutiva che si crea in un’improvvisazione che deve, con decisioni di pochi istanti, tenere costantemente ai massimi livelli la qualità del solo stesso, senza però seguire percorsi prestabiliti e sicuri. Ovviamente tutte le parti scritte dei soli rimangono esattamente dove sono e come devono essere suonate (melodie portanti, sezioni di arpeggio, lick caratterizzanti), ma il resto è pura improvvisazione.
Tale scostamento rispetto all’originale non si riscontra, tuttavia, nel tuo look. Trovo infatti che il tuo abbigliamento, la fisicità, le movenze, insomma i tuoi atteggiamenti in generale, siano improntati ad una riproduzione fedele dell’artista al quale ti ispiri; deduco quindi che per te sia essenziale l’aspetto scenico…
Ho sempre pensato che l’espressione di un musicista potesse e dovesse passare attraverso vari aspetti e non solo attraverso la musica. Ho sempre amato il modo di porsi dei miei artisti preferiti e ne ho subito l’influenza. Non saprei come altro pormi sul palco; qualcuno potrebbe pensare che, ad esempio, il fatto di suonare il solo arpeggiato di “Demon Driver” con la chitarra dietro la testa rappresenti un atto di superbia, ma, in realtà, è solo un modo per sfidare me stesso ogni sera e mantenere alta la tensione musicale. Quanto all’abbigliamento, mi vesto così da anni, e non solo sul palco. E’ un circolo vizioso che ha alla base Jimi.
Dunque, a questo punto, direi che – per analogia ed in nome della fedeltà assoluta al modello originale – dovresti sottoporti ad una dieta… ingrassante! Ah ah! A proposito: anche tu nella vita di tutti i giorni ti abbandoni agli eccessi tipici del Maestro, oppure ti reputi una persona più equilibrata?
Il mio eccesso è la musica; quanto al resto non mi ritengo particolarmente “agitato”…
Se non sei astemio, qual è il tuo vino preferito? Il Brunello di Montalcino, per caso? Ah ah!
Vuoi continuare con le similitudini, eh? Mi piace molto il vino, ma personalmente preferisco un buon Jack Daniels, specialmente durante i concerti…
Restando agli effetti scenografici, spiegami l’origine e il significato di uno dei momenti clou del tuo show, quando cioè appicchi il fuoco alla chitarra. Hai per caso una convenzione con la casa costruttrice?
Questo gesto è di solito associato a Jimi, ma le chitarre da lui bruciate nel corso della sua intera carriera sono 4-5 su un totale di 547 concerti ufficiali. I miei intenti sono comunque simili ai suoi. Si tratta di una liberazione e di una materializzazione specifica dell’energia presente on stage e nelle mie esecuzioni. Non trovo elemento naturale migliore per rappresentare il mio modo di intendere la chitarra e la mia concezione di rock… Ho sempre inteso il rock come un fuoco che ti divora interiormente e che cerca di bruciare ogni cosa in opposizione ad esso, ed è grazie a questo fuoco che chiunque suoni rock continua a farlo, nonostante le difficoltà e i problemi legati a questa scelta di vita. Comunque non penso più di tanto a ciò che faccio a fine concerto: è sempre tutto molto vero e spontaneo, nel bene e nel male… Ad ogni modo, sappi che neanche Hendrix ha mai bruciato realmente uno strumento: è solo la benzina dello Zippo a bruciare e nient’altro, e così anche nel mio caso. Tristemente, stando alle critiche ricevute, questa cosa risulta incomprensibile a molti, ovviamente legati a periodi musicali diversissimi dai miei e del tutto privi della reale concezione di arte. Ma questo è un altro discorso ed ognuno ha le proprie idee… purché la critica non diventi mera provocazione.
Ora una domanda per i lettori più interessati all’aspetto di carattere tecnico: che strumentazione usi?
Una testata Marshall 2204 da 50 w. monocanale modificata con una o due 4×12 1960A Marshall e pochi pedali rigorosamente analogici (tranne una piccola unità di riverberazione quando serve). Ho sempre evitato pre finali e amenità digitali varie che rendono, secondo me, il suono troppo semplice da gestire e facilitano esageratamente le esecuzioni…Quanto alle chitarre, utilizzo solo ed esclusivamente Fender Stratocaster appositamente modificate secondo le mie specifiche. Sono riedizioni di modelli tra il ’62 e il ’70, tra cui una mancina convertita per un utilizzo da destro molto “Jimi style”. Per le ballad, invece, ho una classica a corpo stretto con apposito sostegno ed effetti analogici dedicati (compressore e eq.). Per maggiori informazioni rimando alla sezione tecnica presente sul sito dei Violet Eclipse.
Un paio di questioni meno tecniche: come mai è assente il cavallino rampante sulla parte posteriore della cassa della tua Fender Stratocaster? E… quante Ferrari possiedi?
Sono tutte prerogative personali di Yngwie. Come ti dicevo, rendo tributo, non imito pedissequamente.
Come non detto. Ritiro la mia battuta. A parte il Malmsteen tribute, scrivi anche canzoni tue?
Ovviamente. Sto proprio lavorando, in questo periodo, su del materiale che intendo pubblicare prossimamente. Non si tratta di composizioni strumentali, bensì di brani concepiti per una classica formazione alla Rainbow di 5 elementi, in cui la melodia portante riveste il ruolo principale e fondamentale che dovrebbe sempre avere. E’ un mix tra tutte le mie influenze. Penso che l’hard rock non abbia bisogno di grandi innovazioni, specialmente se queste lo contaminano irrimediabilmente con elementi “moderni”(vedi nu metal e simili).
Riallacciandoci al discorso riguardante la scena nazionale, come giudichi il panorama metal italiano attuale?
A costo di ripetermi, non seguo molto la scena. Conosco magari i nomi di alcune band, ma non le ho mai sentite. Ascolto molta musica, ma se voglio acquistare un cd solitamente preferisco buttarmi su vecchi vinili anni 70/80…
Sei in grado di segnalare qualche band che, secondo te, merita grande considerazione?
Moonstone Project, “Time to take a stand”. Ho ascoltato una preview completa del lavoro prima che uscisse e lo trovo un album decisamente in linea con i miei gusti musicali.
Allargando invece lo sguardo all’estero, in ambito europeo e mondiale, quali sono le band che preferisci?
Band storiche quali Deep Purple, Rainbow, Jimi Hendrix Experience,vecchi Scorpions, vecchi Queen, Europe e Malmsteen.
Qual è, secondo il tuo parere, il miglior chitarrista di tutti i tempi?
Jimi Hendrix, of course…
Qual è, oggi, il miglior chitarrista sulla scena?
Difficile a dirsi. A pari merito: Roth, Blackmore, Malmsteen.
Come giudichi “Unleash the Fury”, l’ultimo lavoro di Malmsteen?
Compositivamente, non all’altezza dei vecchi lavori…
Qual è, secondo te, il miglior album di Yngwie?
Fire ‘n’ ice, per genialità compositiva, suoni e arrangiamenti. Ci sono alcuni dei miei brani preferiti di ogni tempo.
Considerato il rapporto conflittuale che è sempre intercorso tra Yngwie ed i suoi cantanti, nonché la sua scarsa considerazione nei loro confronti nell’economia del prodotto finale, qual è, secondo te, il vocalist che meglio si adatta al suo particolare sound?
Il sound di Yngwie cambia di album in album. Come si può paragonare “Marching out” a “Eclipse”, per esempio? In genere il cantante migliore è quello che lui sceglie appositamente per ogni uscita discografica e solitamente mi trovo in linea con le sue scelte. Ogni suo lavoro aveva un vocalist adatto. Se dovessi valutare la resa nei live comunque direi Mark Boals, anche se il mio preferito resta Goran Edman, inarrivabile in studio su “Eclipse” e “Fire ‘n’ ice”.
Hai mai incontrato personalmente il Maestro?
Sì, più volte. Nell’ultima occasione siamo rimasti a lungo a parlare di vecchie Fender, legni e suoni. E’ una persona piuttosto disponibile e bendisposta, tutto dipende da come ci si pone nei suoi confronti. Gli atteggiamenti “da fan n. 1” sono out…
Qual è la canzone che vorresti avere scritto?
Tre fra le tante: “Life’s like a river”, da “In trance” degli Scorpions, “Fire” di Hendrix e il “Lacrimosa” dal Requiem di W.A. Mozart.
Ora esprimi un desiderio, anzi due.
Un album di livello e un tour europeo.
Più concretamente: quali progetti hai per il futuro?
Lavorare sul mio materiale, pubblicare un album e, in generale, esprimere al massimo la mia personalità artistica, influenzata e influenzabile, ma al contempo strettamente personale e, spero, anche di qualche valore.
Per concludere: un saluto ai lettori di Truemetal.
Anzitutto ti ringrazio per questa intervista e per lo spazio concessomi; aspetto ai miei concerti te e tutti i lettori di Truemetal e vi rimando al mio sito www.violeteclipse.com per contatti, info e approfondimenti musicali (troverete alcuni video e audio di composizioni personali). Permettimi inoltre di salutare i Valindstef, grandi amici e ottimo tributo a Hendrix. Grazie per l’attenzione e… Keep on rockin’!!!
Marcello Catozzi