Asia: fotoreport delle date di Orzinuovi e Roma
Buddha cafè, Orzinuovi – 22/02/2005
Mi trovo in questo Buddha cafè di Orzinuovi per assistere alla performance degli Asia in un’atmosfera piuttosto discutibile.
Dopo aver fatto conoscenza con Stefano Luciano della International Rock Agency (al quale vanno i miei ringraziamenti per la disponibilità dimostrata) ci dirigiamo entrambi da Ace, tour manager degli Asia per ottenere il permesso di scattare foto in mancanza dell’apposito pass.
L’apertura dello show è affidata a “wildest Dream”, un ottimo flashback nei mitici ’80 penalizzato da un centinaio di presenze che di sicuro non rendono onore alla storica band; tuttavia è quasi possibile parlare col proprio vicino senza dover alzare la voce.
Niente da aggiungere nemmeno sulle successive canzoni e soprattutto sul medley acustico dove si susseguono rapidamente (in ordine sparso) “Voice Of America”, “Who Will Stop The Rain”, “Open Your Eyes” tra le tante, piuttosto che l’allegro assolo del immenso Geoff Downes, il quale coglie l’attimo per ricordare una delle sue prime composizioni con i Buggles “Video Kill The radio Star”.
Troviamo anche posto per l’ospite d’eccezione Carl Palmer che esegue con grande tecnica e classe i due brani “Heat Of The Moment” e “Only Time Will Tell”.
Tutto termina con il bis che consiste in “Go” (dall’album Astra).
Naturalmente i miei lettori si stanno chiedendo per quale motivo il report è così breve e striminzito.
Alla base c’è una sola motivazione. Cosa è mancato a questo concerto a parte le canzoni? Naturalmente rispondo io: il pubblico!
Com’è possibile che una band con carriera venticinquennale sia ridotta a suonare in un club dove a malapena ci sono quattro anime messe in croce? Tutto questo non fa onore ad una band che nel corso della sua carriera ha prodotto ottimi lavori dai quali le canzoni più blasonate hanno trovato addirittura spazio nelle compilation di one shot ’80 (“Heat of the moment” per intenderci).
Per quale motivo nel nostro Paese le date di alcuni tour mondiali vengono organizzate in modo pressoché approssimativo in luoghi dimenticati da Dio? E’ una cosa talmente difficile ospitare gli Asia a Milano almeno per le date del nord Italia? Di sicuro nel capoluogo Lombardo in un locale adeguato (anche martedì) ci sarebbe stato un quasi sold out e di questo ne sono più che certo, se si considera che Milano è dieci volte servita a livello di mezzi di trasporto e collegamenti stradali rispetto ad Orzinuovi.
A parte l’impeccabile performance della band e soprattutto la cordialità e gentilezza nel concedersi a quei pochi affezionati fan muniti di pennarelli e cover cd, assistere a questo evento è stata una grande delusione.
Stazione Birra, Roma – 27/02/2005
E’ stata una piacevole scoperta quella di “Stazione Birra”, locale dell’Hinterland romano a me sconosciuto fino a ieri, prima cioè che una delle band più importanti dell’Art prog facesse tappa da queste parti. Ci tengo a rimarcare la bellissima struttura, molto american pub, dalle rifiniture curate, la buona (e non costosissima) birra, ma, ciò che più importa, un bel palco attrezzato e un’acustica invidiabile.
L’evento attira anche per la presenza, come gruppo spalla, dei Metamorfosi, band di progressive rock italiano, di cui il sottoscritto ha recensito l’ultima fatica, “Paradiso”. Ed è proprio il Paradiso nella sua interezza che i nostri ripropongono, con il suo frontman Jimmy Spitaleri a cui è affidato l’arduo compito di scaldare gli animi. La sua voce evocativa incide più di quanto il pubblico sottolinei con sporadici applausi, nonostante la forma non sia strepitosa (gli acuti stridono pericolosamente) e, stando alle sue dichiarazioni post-esibizione, il tecnico di palco non ha reso le cose facili alla band che soprattutto dal punto di vista strumentale incappa in qualche errore di troppo. Fortunatamente la resa dalla parte del pubblico è, come anticipavo, decisamente apprezzabile, molto più di quanto io abbia constatato negli altri locali capitolini.
Cambio palco abbastanza svelto, e gli Asia, nella formazione che ha suonato sull’ultimo album, “Silent Nation”, fanno la sua comparsa di fronte ai convenuti, il cui numero fa un buon colpo d’occhio. Certo, l’età media non è quella di un concerto dei Rhapsdoy (e non me ne vorrà la band di Turilli & co.), tutt’altro, e questo si nota dalla compostezza con cui gode della performance, non per questo evitando di partecipare ai momenti corali. E’ un peccato che l’audience giovane non abbia colto l’occasione di vedere delle vere e proprie leggende viventi, ma d’altro canto, non assistere ai soliti teatrini buzzurri messi in piedi da certi figuri dello zoccolo duro della scena metal underground romana ha sottolineato ancora di più la qualità della proposta nonché la classe della band.
Geoff Downes, founder degli Asia e unico membro a essere stato sempre in formazione, circondato da tre pareti di synth ammicca e lancia la classica opener, “Wildest Dream”, tratta dal primo e indiscusso omonimo debut, da cui la setlist pescherà senza economizzare, tant’è che il brano viene seguito immediatamente da un’altra hit dello stesso album, “Here Comes The feeling”.
Una breve pausa concede a John Payne, (che sostituì un certo John Wetton a partire dalla reunion del 1990) di fare i dovuti saluti e presentare l’ultima studio release con il brano “Ghost In The Mirror”, per poi tornare subito ai classici di “Asia”, con “Time Again”. Dopo quattro brani pungenti e vivaci è il momento di passare ad un pezzo più intimo, e la title-track del nuovo album cade a puntino. Il pubblico approva, e questo significa che “Silent Nation” ha ottenuto un buon successo di critica ma soprattutto un buon livello di vendite, grazie anche alla nuova etichetta (Inside Out). Ma è ovvio che chi vede gli Asia dal vivo per la prima volta, brama di sentire le canzoni del 1982, e così ecco “Cutting It Fine”, seguita dal solo di Downes, ormai un classico: “Video Killed the Radio Star” (The Buggles, 1979).
Si prosegue col singolo di “Silent Nation”, la bellissima “Long Way From Home”, preceduta da una breve spiegazione di Payne, che rivela di essere stato ispirato dai viaggi lontano da casa per le liriche dell’intero album, e la storia “seria” viene infarcita di battute e scambi di risate tra i membri della band, su tutte l’immancabile battuta sul titolo del nuovo CD, che stranamente non ha seguito la tradizionale parola di quattro lettere che iniziasse e terminasse per “A”: “L’unica parola che ci veniva in mente era Asma, ma non ci è sembrato il caso”… E giù risate…
Segue un intermezzo acustico, con Payne che molla il basso e abbraccia un’acustica, accompagnando allo stesso strumento Guthrie Govan, nuovo giovane chitarrista che con tranquillità si diverte a non pensare al fardello che ha sulle spalle, ovvero l’eredità di Steve Howe… Così vengono eseguiti quattro brani dagli album meno fortunati, vale a dire “Open Your Eyes” da Alpha, “Voice Of America” da Astra, “Don’t Call Me” da Aqua, e “The Longest Night” da Aura.
Gradualmente si arriva al clue, i brani si fanno più elettrici, dapprima con “Who Will Stop The Rain”, tratto da Aqua, quindi “What About Love”, da Silent Nation, aprono la strada alla mitica “Sole Survivor”, in cui Chris Slade alla batteria (ex Ac/Dc e Uriah Heep) sfoggia una prestazione energica su un brano acclamatissimo.
L’atmosfera è cotta al punto giusto, ecco che Payne introduce “uno dei più grandi batteristi viventi”, e in tenuta quasi ciclistica fa il suo ingresso sua maestà Carl Palmer, già annunciato special guest della serata. Carl, membro fondatore del supergruppo nel 1982, suona due brani, ovviamente dal debut, vale a dire “Only Time Will Tell” e la stratosferica hit “Heat Of The Moment”, acme dell’esibizione, prima di salutare tutti ed uscire di scena.
La toccata e fuga lascia non poche perplessità, ma le richieste di bis vengono esaudite a metà, visto che gli Asia tornano sì sul palco (per eseguire “Go”, tratto da Astra), ma senza Palmer…
Poco male, visto che subito dopo il concerto la band (Palmer compreso) si ferma a firmare autografi e fare foto con i fan, che sembrano apprezzare davvero l’iniziativa…