Fotoreport: Priest Feast (Palasharp – MI, 10-03-09)
Parole di Angelo D’Acunto e Simone Leone
Foto di Angelo D’Acunto
Passa anche dall’Italia il Priest Feast, kermesse itinerante di prestigio in puro stile anni ’80 e figlio “minore” del Metal Master Tour svoltosi negli Stati Uniti durante l’estate del 2008. Al comando troviamo nuovamente i Metal Gods per eccellenza Judas Priest, supportati questa volta da Megadeth e Testament; non due semplici gruppi spalla quindi, ma band che hanno dato il loro personale contribuito nel fare la storia del genere. Viste le proporzioni dell’evento, ci si sarebbe aspettata una ripartizione più omogenea dei tempi a disposizione per ogni gruppo e, da quest’ultimi, qualche novità in più per quanto riguarda la scelta delle setlist da proporre. Poco male comunque, vista anche l’alta affluenza registrata (7000 persone, secondo i dati della Barley Arts) alla fine di uno show che sicuramente è riuscito a soddisfare la stragrande maggioranza del pubblico presente.
Si spengono le luci e ha inizio la festa. Si parte subito con l’intro For The Glory Of… e i tiratissimi classici Over The Wall e The New Order purtroppo dilaniati momentaneamente da alcuni problemi audio: a risentirne, in particolare, è il vocione di Big Chuck, difatti dalla postazione in cui mi trovo è difficile percepire in modo nitido ciò che canta. La setlist spazia su buona parte della loro discografia con Souls of Black, passando per Sins of Omission e Practice What You Preach (dall’omonimo album). Per quanto riguarda The Gathering, vengono sparate, invece, D.N.R. e 3 Days in Darkness mentre dall’ultimo fortunatissimo disco, oltre all’intro, trovano spazio in scaletta anche More Than Meets the Eye e la conclusiva The formation of Damnation. La proposta musicale del combo californiano è sicuramente la più ostica della giornata, ma il loro show è talmente travolgente da riuscire a coinvolgere anche coloro che non li conoscono o che non siano particolarmente avvezzi a sonorità thrash dure e crude. L’impegno e la passione messi sul palco si notano tutti e il pubblico ne attinge delirante a piene mani. A tirare la carretta sono più che altro l’incredibile carica animalesca di Chuck Billy, la fumante nonché sfuriante sei corde di Skolnick (veramente un grandissimo ritorno per i Testament) e molto efficace anche il terremoto ritmico messo su da Bostaph. Per quanto riguarda gli altri componenti, a mio dire, sia Eric Peterson che Greg Christian si limitano, più che altro, a svolgere il compitino senza cercare di creare spettacolo ed emozionare il pubblico.
Simone Leone
Dopo una breve pausa il sommelier porta sul palco un Dave Mustaine del ‘61, vino straordinario che invecchiando migliora sempre di più. Direttamente da United Abominations arriva Sleepwalker ad aprire le danze, l’accoglienza è immediatamente calorosa e fa ben capire che una grossissima fetta del pubblico è venuta anche e soprattutto per il combo americano. Senza respiro si passa ai classicissimi e pirotecnici assalti di Take No Prisoners e Wake Up Dead, seguiti dalla sempre ottima e graffiante Skin O’ My Teeth. A spezzare il ritmo ci pensa A Tout Le Monde, forse un tantino fuori luogo vista la setlist poderosa messa in scena. A parte questo piccolissimo appunto, la ballatona (ormai anch’essa un classico del combo) crea un piccolo momento di magia ammaliando i presenti che non possono esimersi da cantarla a squarciagola. A seguire c’è la grandiosa In My Darkest Hour, seguita dalla pirotecnica Hangar 18 e da She-Wolf, quest’ultima molto bella ma forse sostituibile in uno show dalla durata relativamente breve. Symphony Of Destruction e Peace Sells aggiungono un’altra tonnellata di emozioni ai presenti ormai in pieno delirio. A chiudere lo show c’è la spettacolare Holy Wars, scelta quanto mai azzeccata che mette fine ad una prestazione superlativa dei Megadeth: Mustaine si conferma essere un animale da palco e sfodera nel cantato anche una certa vena teatrale (certo sarà niente in confronto a quanto farà da lì a poco Halford), Broderick è ormai parte integrata e lo dimostra pienamente, molto bravi anche l’italian-boy (così viene presentato da Dave) James Lomenzo e Shawn Drower.
Simone Leone
Dopo le violente bordate più thrash-oriented di Testament e Megadeth, arriva l’ora dei leggendari Judas Priest, gruppo che, per un motivo o per un altro, non ha la minima intenzione di appendere gli strumenti al chiodo in modo da lasciare spazio a quelle che sono le realtà dell’heavy metal moderno. La setlist della serata non cambia di una virgola rispetto a quella proposta otto mesi prima in occasione del Gods Of Metal 2008, ma cambia invece quella che è l’atmosfera: non più quella di un festival dove si ha a che fare con i soliti problemi di soundcheck veloci, lightshow non sfruttati a dovere e altri possibili disagi che si verificano puntualmente durante le manifestazioni open-air; per l’occasione la situazione è decisamente più vantaggiosa per dare vita a uno show di quelli che potrebbero essere fra i più indimenticabili. Ma è stato veramente così? Dal punto di vista della resa sonora e della partecipazioni attiva da parte del pubblico si può dire di sì, un po’ meno per quanto riguarda la prestazione della band: nonostante i cinque inglesi dimostrino di essere decisamente in forma (anche rispetto all’ultima calata italica), nette (anche se non tantissime) sono le sbavature sparse per tutta la durata dello show, meno visibili agli occhi di chi si diverte sotto il palco, ma più evidenti per chi ha deciso di assistere al concerto da zone più comode e tranquille come le tribune. Qualche errore quindi, come le varie toppate a livello ritmico, fino ad arrivare a un Rob Halford che esagera un po’ troppo con gli acuti sui pezzi iniziali per poi ritrovarsi in netta difficoltà nel corso dei brani finali, ma vista l’età anagrafica di quest’ultimo, direi che è piuttosto fuori luogo tentare un qualsivoglia paragone con il Rob dei tempi d’oro. Resta invece la solita e assoluta garanzia sia a livello ritmico che solistico la coppia d’asce Downing/Tipton. Ma andiamo per ordine: così come era stato durante l’estate, tocca nuovamente all’intro Dawn Of Creation (con l’inquietante faccione di Nostradamus a troneggiare alle spalle della batteria di Scott Travis) preparare il via alle danze che arriva con Prophecy, incipit come sempre atipico, visti i tempi di marcia non troppo sostenuti, ma comunque di grande effetto, sopratutto quando arriva l’ora dell’apparizione di un Halford vestito da Nostradamus, immobile sulla sua postazione in alto, sul lato sinistro del palco. I pezzi successivi sono tutti classicissimi, come l’immancabile Metal Gods (durante la quale Rob sfoggia una bandana piratesca con tanto di teschi bianchi disegnati), la dirompente Eat Me Alive a rappresentare il capolavoro Defenders Of The Faith insieme a Rock Hard, Ride Free (questa volta molto più convincente rispetto alla passata occasione), Devil’s Child e l’ottima esecuzione di una Sinner più aggressiva che mai. Ma le vere note dolenti arrivano con Hell Patrol, sulla quale Halford comincia già a risparmiare fiato per poi ritrovarsi in apnea sulla “solita” Painkiller. Risultano essere più che convincenti, invece, l’altro classico immancabile Electric Eye, Dissident Aggressor ed una distruttiva Breaking The Law che fa tremare tutto il Palasharp. Il gran finale è dedicato come al solito all’encore formato da Hell Bent For Leather (con la sempre presente Harley sul palco), The Green Manalishi e You’ve Got Another Thing Coming, quest’ultima anticipata dal solito siparietto di Halford intento a far partecipare attivamente il pubblico (come se ce ne fosse stato il bisogno durante tutta lo svolgimento dello show). Insomma, ugualmente soddisfacente anche questa nuova esibizione dei Judas Priest, nonostante le varie ed evidenti sbavature e un Rob Halford in netta difficoltà sui pezzi più impegnativi, la band inglese ha messo ugualmente in atto uno show energico e coinvolgente che è riuscito a soddisfare tutti i presenti. Forse si poteva fare di più per quanto riguarda la scelta dei pezzi da suonare, magari con qualche cambio rispetto al tour estivo del 2008, ma per il resto, rimane comunque la soddisfazione di aver assistito
al concerto di una band che, nonostante l’età avanzata, riesce ancora a farci vivere delle vere e proprie emozioni in occasione dei live show.
Angelo D’Acunto
Setlist:
Dawn Of Creation (Intro)
Prophecy
Metal Gods
Eat Me Alive
Between The Hammer And The Anvil
Devil’s Child
Breaking The Law
Hell Patrol
Death
Dissident Aggressor
Angel
The Hellion/Electric Eye
Rock Hard, Ride Free
Sinner
Painkiller
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Hell Bent For Leather
The Green Manalishi (With The Two-Pronged Crown)
You’ve Got Another Thing Coming