Judas Priest: fotoreport 10/04/2005

Di Redazione - 13 Aprile 2005 - 0:05
Judas Priest: fotoreport 10/04/2005

Parole di Mauro Gelsomini
Foto di Claudio Testini (Trollscavenger)

La seconda calata nel bel paese, dopo la reunion dello scorso anno, vede i “Metal Gods” alle prese con un concerto in solitaria, più impegnativo dell’oretta e mezza scarsa a disposizione in quel del “Gods Of Metal” del 2004, anche perché, superato l’effetto emozionale del rivederli insieme dopo tanti anni, si realizza la possibilità di un “precedente” con cui confrontare la prestazione.

Per molti si tratta, tuttavia, della “prima volta”. La prima volta per poter ammirare gli idoli di sempre, coloro i quali inventarono l’Heavy Metal nel 1976 con Sad Wings Of Destiny, coloro i quali erano stati apprezzati solo in vhs nell’era del loro maggiore splendore, e per questo ancora più idolatrati e messi sull’Olimpo degli inarrivabili.

Ecco dunque che l’attesa è spasmodica, la voglia di entrare tra gli eletti a poter dire un giorno “li ho visti” è tanta, come tanta è anche l’emozione con cui i Domine, opening act improvvisato all’ultimo istante per la defezione dei Paradise Lost (già a loro volta sostituti degli Scorpions, spalla dei Priest nel tour Europeo e per qualche non svelato motivo impossibilitati a partecipare alla data italiana), sono chiamati a scaldare il pubblico. Ahime la scelta su cui è ricaduta la Live si tramuta in una specie di teatrino dove gli attori sono i non più giovanissimi metalhead assiepati sulle gradinate, impegnati in una sorta di gara per imitatori a sbeffeggiare il povero Morby e i suoi acuti ad ultrasuoni, consapevoli forse che qualsiasi cosa fosse successa nessuno avrebbe protestato/guadagnato/perso o cambiato la situazione: tappabuchi.

Il boato dei presenti è il la che fa aprire il sipario scoprendo il palco dei Judas, una sorta di tempio a tre livelli rispettoso della tradizione priestiana, con la batteria di Scott Travis a campeggiare al centro e le piattaforme sorrette da colonne raffiguranti il simbolo della band ai lati. Entrano Glenn, K.K., Ian e Scott, e le prime note di “The Hellion” fanno catapultare tutti giù nel parterre antistante il palco, ma un sussulto fa tremare la folla, costretta a guardare in alto l’apparizione di Sua Maestà John Arthur Halford, per tutti Rob, in cima alla scalinata, imponente, immobile. E’ delirio.
Il Metal God non fa una grinza, inizia lentamente a scendere gli scalini regalando agli scatti dei fotografi pose da robot, e arriva in fondo solo dopo “Electric Eye” e “Metal Gods”, salutando il pubblico alla sua maniera.

I suoni sono scintillanti e potenti come mai s’erano sentiti prima d’ora nel Mazda Palace, e i brani che più degli altri godono di ciò sono quelli tratti dall’ultimo album Angel Of Retribution, ovvero una debordante “Judas Rising”, “Revolution”, “Deal With the Devil” e “Hellrider”.
Ad ogni modo il dubbio che nelle menti di tutti si è fatto strada in questi mesi d’attesa riguarda innegabilmente lo stato di forma di Halford, evidentemente appesantito dai chili di troppo: quella che all’inizio poteva sembrare solo una trovata scenica (ben riuscita e d’effetto, per altro) ben presto si rivela nella sua crudezza; il Metal God non è più il ragazzino che negli anni ’80 saltava da un punto all’altro di palchi giganteschi lanciando acuti al cielo e spaccando i timpani anche a chi, a causa del sold out, si era dovuto accontentare di ascoltare il concerto dall’esterno. Oggi Rob è l’ombra di ciò che noi tutti avevamo idealizzato – il cantante metal per antonomasia – e anche se quest’ombra continua ad incutere un terrore demoniaco, egli è consapevole di non potersi permettere una performance come quelle di un tempo. E’ da ammirare l’intelligenza con cui dosa il fiato, lasciandosi andare solo su “Riding On The Wind”, forse il pezzo più dirompente tra quelli proposti, ed evitando con cura gran parte dei passaggi più ostici per il resto della scaletta: “Beyond The Realms Of Death” perde un’ottava su tutti i refrain, e gli acuti “storici” spesso non vengono neanche azzardati. Inoltre Rob canta quasi costantemente piegato in avanti, per un effetto scenico non certo degno dell’altisonanza del suo nome, e l’abuso di effetti quali echo e delay sulla voce – purtroppo lo standard dal tour di Ram It Down – fuga i dubbi residui.

Consoliamoci con una “The Ripper” da infarto, una “Diamonds And Rust” in versione acustica che mette i brividi, con le coinvolgenti “Hot Rockin'”, “Turbo Lover” e “Victim of Changes”, e con l’encore che da solo vale il prezzo del biglietto (moto sul palco, “Hell Bent for Leather”, “Living after Midnight” e “You’ve Got Another Thing Comin'”) ma dovremmo tralasciare il madornale errore di Travis e Halford (mancino sulla chitarra) sull’attacco di “Breaking The Law”? Una “Painkiller” disastrosa sia dal punto di vista ritmico (toppata praticamente da tutti i membri in svariati punti) sia da quello vocale (Halford è in apnea e non tiene la nota per più di mezzo secondo)? Dovremmo tralasciare il fatto che tutti i brani sono rallentati di molto rispetto alle versioni originali? Il fatto che Scott sembra addirittura infastidito dall’essersi dovuto sedere dietro la batteria (spero abbiate notato con che disinvoltura sia riuscito a ciccare quasi tutte le bacchette lanciate)? Dovremmo tralasciare l’assenza in setlist di pezzi tratti da Defenders Of The Faith?

La mia risposta a tutti questi interrogativi vorrebbe tanto essere “sì”, ma dentro di me sono sempre più convinto che il canto del cigno c’è già stato da tempo, e forse è bene ricordare i Priest quando erano davvero i Priest. Questione di dignità.
Se invece vogliamo fare gli irriducibili nostalgici, fregarcene di tutto e mandare al diavolo l’obiettività in favore della fede e della sfegatata passione che ci fa difendere a spada tratta tutto ciò che concerne i creatori del nostro amato genere, sarò il primo a giustificare tutti i pareri esaltati che ho potuto raccogliere, ma in questa veste davvero non mi è possibile.

Setlist:

  1. The Hellion
  2. Electric Eye
  3. Metal Gods
  4. Riding on the Wind
  5. The Ripper
  6. A Touch of Evil
  7. Judas Rising
  8. Revolution
  9. Hot Rockin’
  10. Breaking the Law
  11. I’m a Rocker
  12. Diamonds & Rust (acoustic)
  13. Deal With the Devil
  14. Beyond the Realms of Death
  15. Turbo Lover
  16. Hellrider
  17. Victim of Changes
  18. Green Manalishi
  19. Painkiller
  20. Encore:

  21. Hell Bent for Leather
  22. Living after Midnight
  23. You’ve Got Another Thing Comin’