Live Report: 2 Days Prog + 1 – Veruno Prog Festival 2014
2 Days Prog + 1
Veruno, Piazzetta della Musica – 5/6/7 Settembre 2014
Live report a cura di Fabio Vellata,
con la collaborazione di Gianluca Fontanesi.
Nato un po’ in sordina e cresciuto con magnifica costanza nel corso degli anni, Il Veruno Prog Festival è ormai divenuto tappa fondamentale nel panorama concertistico estivo per molti appassionati di sonorità Prog, nelle più varie e composite sfaccettature.
Dopo aver apprezzato nel corso delle cinque precedenti edizioni, la grandezza indiscutibile di Fish, Pendragon, IQ, Anima Mundi, Anathema, Flower Kings, Pain Of Salvation, Riverside, Neal Morse ed Haken (per citarne giusto “qualcuno”), seguiti da un contorno spesso eccellente di realtà sconosciute al grande pubblico eppure meritevoli di grande credito artistico, anche per l’edizione targata 2014 la crew guidata da Alberto Temporelli non ha tradito le attese, fornendo una bill appetibile ad una fascia di pubblico quanto mai ampia e variegata.
Giorno Uno – 5 settembre 2014
Già nel corso della prima giornata, trascorsa tra mille scongiuri di clemenza nei confronti di un clima ballerino, l’occasione per assistere all’esibizione dal vivo di autentiche leggende del settore è stata irrinunciabile.
Gustare da vicino la grandeur di un mito vivente quale Martin Turner con i suoi Wishbone Ash è stato, in effetti, un motivo di vanto per molti appassionati, certo non più giovanissimi, ma in ugual modo coinvolti e pronti a tributare le giuste ovazioni ad un “vecchio” leone del rock, forse non più graffiante alla voce come un tempo, ma in ugual modo dotato di un grande e magnetico carisma sul palco.
Protagonista di un set lungo ed articolato, la band ha saputo regalare emozioni ai convenuti attraverso l’esecuzione impeccabile di molti classici: grandi meriti per la coppia di chitarre composta da Ray Hatfield e Danny Wilson, spettacolari ed instancabili nel produrre una cascata di riff, ora eleganti e raffinati, ora torridi e bluesy.
Fabio Vellata
Meno immediati ma di uguale spessore storico ed artistico, gli olandesi Focus – headliner di giornata – vivono invece riflessi nella personalità dell’eterno leader Thjis Van Leer, flautista, vocalist ed organista con ottimo senso dell’umorismo che, ad ogni movimento, frase e cenno, regala l’impressione di essere nato su di un palco. E su di un palco, voler rimanere ancora il più a lungo possibile.
Nota ai più per le celebri note di “Hocus Pocus” – una sorta di inno nazionale “aggiuntivo” per la terra dei tulipani – la band ha ormai in Van Leer la propria memoria storica, in quanto unico membro originario della line up formatasi nel remoto 1969.
Più di due ore di concerto trascorse tra virtuosismi ed improvvisazioni, hanno condotto lo show sino a notte inoltrata. Ne siamo certi, se non fosse stato per ragioni di quiete pubblica (lo stage del Festival di Veruno sorge proprio in pieno paese), Van Leer avrebbe proseguito con una lunghissima jam session sino a mattina: la voglia di suonare nonostante la tarda ora era evidente e ben manifestata dal lunghissimo encore proposto, ulteriore occasione tramite cui poter apprezzare, oltre alla verve naturale dell’attempato leader, anche la straordinaria maestria di Menno Gootjes, chitarrista poco noto eppure di incredibile abilità tecnica.
Aperta dagli show di FEM – giovane ed interessante realtà tricolore – e Frank Carducci Band – sorprendente gruppo transalpino che per tecnica, presenza scenica e simpatia, si è rivelato essere una delle sorprese più interessanti del festival – il day one del Veruno Prog Festival 2014 si è confermato, nemmeno a dirlo, come l’ennesimo successo di un’organizzazione infallibile.
Fabio Vellata
Giorno Due – 6 settembre 2014
Il sabato, come da consuetudine, è invece il momento per “eccellenza” della manifestazione. Più orientato al grande pubblico, il momento centrale del festival è quello di maggior impatto, in quanto riservato – solitamente – all’esibizione di uno o più nomi in grado di porsi trasversalmente nei gusti degli appassionati, accogliendo l’interesse di più fasce generazionali.
Quello che è stato, negli anni scorsi, il palco di Fish, Pendragon, Anathema, IQ e Neal Morse, sarà quest’anno il teatro dell’esibizione dei grandi Spock’s Beard, gruppo fondamentale della scena prog sin dagli esordi datati 1995.
Ad accompagnare lo show di Alan Morse, Ryo Okumoto, Ted Leonard, Dave Meros e Jimmy Keegan, una coppia di band già affermate ma ancora undeground come i nostrani Kingcrow ed i finlandesi Overhead, insieme all’atipicità ai confini della New Age degli eterei svedesi Änglagård.
Pronti on stage alle ore 18.20, tocca proprio ai romani Kingcrow il compito di aprire il secondo capitolo del Veruno Prog Festival 2014.
Nulla che non sapessimo già: il gruppo guidato dai fratelli Cafolla (Diego alla chitarra e Manuel “Thundra” alla Batteria) si conferma come una delle realtà di maggior pregio nel settore prog metal attualmente in circolazione. E non certo solo nei ristretti ambiti nazionali.
Nei tre quarti d’ora a disposizione, il quintetto capitolino ha modo di dimostrare perizia negli arrangiamenti, bravura strumentale ed un discreto impatto scenico. Il singer Diego Marchesi dal canto suo, ha poi potuto mettere in evidenzia ampie doti vocali, addentrandosi in un’interpretazione a tratti teatrale, e decisamente adatta al genere.
Suggellata dall’esecuzione della lunga “in Crescendo”, title track dell’ottimo album edito nel 2013, la prestazione della band tricolore mostra – se mai fosse stato necessario – come i Kingcrow abbiano ormai acquisito lo status di realtà consolidata ed affidabile, alla pari con tutti i veri “grandi” di categoria.
Fabio Vellata
Meno enfasi e qualche dubbio in più si concretizzano invece in occasione dello show dei finlandesi Overhead.
Molto accattivante su disco (il loro “And We’re Not Here, After All” è da ascoltare), il quintetto non riesce, in effetti, a raggranellare il medesimo impatto dal vivo, apparendo spesso statico, lento, ingessato e pesante.
Un peccato data l’alta qualità della proposta: la band di Alex Keskitalo e Jakko Kettunen ha dalla sua un ottimo gusto per la melodia ricercata e gli arrangiamenti di classe, paragonabili in qualche misura allo stile caro ai primi Pain Of Salvation.
Forse l’aver giocato tutto su passaggi troppo declamatori e meno easy al cospetto di un’audience non proprio lì per loro, ha giocato a sfavore, rendendo la performance un po’ al di sotto delle aspettative.
Da rivedere…
Fabio Vellata
Non é molto frequente vedere gli Spock’s Beard dalle nostre parti, inspiegabilmente oseremmo dire, tantomeno gli Änglagård, qui alla loro prima calata italica! L’occasione quindi era oltre il ghiotto ed è stata ripagata in maniera largamente oltre le aspettative. Partiamo innanzitutto con l’elogiare senza riserve il festival di Veruno che, ormai giunto alla sesta edizione, offre a titolo gratuito (si, avete capito bene) nomi abbastanza altisonanti della scena prog mondiale in una location comoda e funzionale. Tutto è organizzato alla massima potenza: dal mangiare a prezzi più che abbordabili agli stand per le bancarelle, dai parcheggi alla fruizione generica di ogni aspetto di un live come si deve, complimenti! Detto questo, sono poco più delle 20.45 (cambio con gli Änglagård per motivi logistici) quando sale sul palco la solita presentatrice a introdurre il gruppo americano, forte dello splendido Brief Nocturnes And Dreamless Sleep, che si rivela subito in forma smagliante e offre ai presenti un concerto impeccabile. Non poteva essere altrimenti, e il pubblico ovviamente gradisce e sciorina applausi a scena aperta. Stupisce tutto di questa band, in particolar modo la coesione dei membri e il gusto con cui calcano il palco: sono forse più divertiti loro dei fan e non accorsi al concerto! La prestazione è priva di sbavature, precisa e a tratti anche potente; un carisma invidiabile e un gusto sopra le righe fanno il resto. Ogni musicista qui trova pane per i suoi denti: dal suonare totalmente senza plettro di Alan Morse ai pattern mai banali di batteria di Jimmy Keegan. Buona la sezione ritmica completata dal basso di Dave Meros, mentre Ryo Okumoto si rivela ben presto il mattatore della serata: le sue pose e movenze strappano più di una risata. Rende tutto facile quell’uomo, un autentico spettacolo nello spettacolo. E Ted Leonard? Possiamo tranquillamente dire che un terno al lotto è stato vinto in casa Spock’s Beard: questo è un mostro. Suona almeno tre strumenti a livelli tutt’altro che amatoriali (chitarra, tastiera, voce ovviamente) e sicuramente è il frontman ideale per la band. Chapeau. Da tenere assolutamente d’occhio l’imminente nuovo disco degli Enchant! Durante il concerto c’è anche spazio per il buon Jimmy, che scende dalla batteria e canta un breve brano, dimostrando di avere una voce spettacolare! Le due ore a loro disposizione volano via, la band comunque si reca subito dopo il set al banchetto del merchandise non risparmiando foto e autografi; dopo essermi fatto firmare Brief Nocturnes dalla band in toto e aver scambiato due chiacchiere (disponibilissimi e totalmente alla mano, fossero tutti così) mi accingo verso la zona concerti causa imminente inizio degli Änglagård. Il tutto subisce un buon ritardo causa problemi col mellotron, comunque risolti in poco tempo.
Gianluca Fontanesi
Le atmosfere cambiano radicalmente, e, dal prog moderno americano zuccheroso, ci spostiamo verso lidi totalmente settantiani. La band svedese si presenta sul palco con una formazione a cinque: batteria, basso, chitarra, tastiere e la “ragazza jolly”, notevole polistrumentista in grado di suonare sax, tastiera, flauto traverso e pure i palloncini di plastica in questa sede. Strumentazione ovviamente ingombrante e totalmente vintage: xilofono, gong e via dicendo, non ci si fa mancare niente! Il concerto, essendo strumentale praticamente in toto, è un momento catartico, ipnotico, che riporta a tempi andati con ben altre concezioni musicali. L’assenza di un vero e proprio cantante si rivela allo stesso tempo valore aggiunto e più grande difetto degli Änglagård, almeno in sede live. L’attenzione viene sì catalizzata ma, complice forse l’ora tarda, molte persone iniziano a dirigersi verso l’uscita. La prestazione dei nostri è comunque stellare nonostante una glacialità di fondo tipicamente nordica; ci assestiamo anche qui sull’ora e mezza di concerto che, per i rimasti, scorre senza problemi. Molta gente era comunque qui per loro, e di certo non è tornata a casa insoddisfatta. Cosa importante: prima di considerare gli Opeth come pionieri e fautori del trito, ritrito ancora trito e tritato per poi essere ancora tritato e tritato ancora, provate a dare un’opportunità agli Änglagård. Considererete presto quale delle due proposte abbia più senso e, soprattutto, credibilità.
Gianluca Fontanesi
Ancora notte fonda, ancora orecchie ed emozioni appagate.
Anche il day two va in archivio nella sezione successi. La performance degli Spock’s Beard è stata, con ogni probabilità, una delle migliori mai viste qui a Veruno. Grande band e grande Ver1Musica per averceli portati gratuitamente!
Giorno Tre – 7 settembre 2014
Ormai un po’ provati dalle due ottime giornate appena trascorse, abbiamo comunque deciso di non abbandonare il campo nemmeno per il terzo capitolo, quello domenicale, di questo – ancora una volta – entusiasmante festival dedicato al prog.
A dire il vero, uno solo era il motivo che veicolava il nostro interesse di giornata: al netto di due comunque notevoli band d’apertura come Barock Project e IOEarth e della presenza di una leggenda tutta tricolore come la PFM, erano – da buoni “Truemetallari” – i norvegesi Leprous l’obiettivo per cui decidere di buttarsi ancora una volta sotto lo stage.
Pubblico delle grandissime occasioni: mai vista un’affluenza tanto vasta in sei anni di partecipazione (tutto imballato, dai parcheggi circostanti l’area, alla piazzetta, sino alla zona ristoro del festival), a significare come un nome quale quello della Premiata Forneria Marconi sia ancora in grado di muovere grandi quantità di folla.
Tuttavia non abbiamo potuto non notare l’evidente scontro “di generazioni” che – detto con una punta di rammarico – si è verificato sotto al palco. L’insofferenza del pubblico accorso per Di Cioccio, Mussida e compagni nei confronti delle restanti band è stata a dir poco velenosa sin da subito, indice di un atteggiamento snob che, impossibile negarlo, si è rivelato a tratti un pizzico sgradevole e fuori luogo.
Commenti poco lusinghieri, gesti di disapprovazione a volte plateali ed inviti a scomparire dietro le quinte per lasciar spazio ai propri beniamini sono stati un leit motiv non del tutto edificante occorso in alcuni frangenti della serata, con eccezionale esuberanza proprio nel corso dello show di Einar Soldberg e dei Leprous, osannatissimi dai più giovani metalhead accorsi sotto al palco proprio per loro e, al contrario, letteralmente spernacchiati da alcuni fan della PFM, desiderosi di ascoltare qualcosa di differente.
Un vero peccato: l’occasione per unire giovani e meno giovani sotto un’unica bandiera, quella del Prog, era delle più avvicenti. D’altro canto, un azzardo probabilmente voluto dall’organizzazione del festival: posizionare una band di prog-metal “estremo” come i Leprous, appena prima di un’espressione musicale del tutto diversa, più sofisticata ed al limite dell’elitario come quella della PFM, non poteva che condurre a qualche contrasto, con conseguente critica da parte del pubblico più attempato e meno avvezzo ai suoni duri, pronto a schifarsi (alla faccia dell’apertura mentale del prog) all’ascolto di una proposta condita da chitarre distorte al limite del djent, qualche scream, growl e tanti scapocciamenti,
Dal proprio punto di vista, i cinque norvegesi – detto per correttezza – non hanno comunque brillato come da attese, lanciandosi in una performance sì molto intensa e potente ma non tanto ricca e fascinosa quanto sperato. Un ora e mezza di spettacolo in cui saccheggiare il monumentale “Bilateral” ed il recente “Coal”, condita però da un che di confusionario e da un approccio estremo che, pur divertendo a tratti, non ha saputo rivelarsi coinvolgente e davvero pieno di quell’enfasi ascoltata più volte su disco. Nulla da dire sulle corde vocali di Solberg e sull’impegno (ammettiamo di aver sentito dolori al collo noi per loro, tanto è stato l’headbanging profuso!): l’impatto però, ha ceduto in parecchi punti.
Di certo un ottimo gruppo, ma ancora non del tutto padrone della scena quando presente on stage: li aspettiamo in contesti magari più consoni…
Fabio Vellata
Quando arriva il momento atteso, quello della PFM, la quantità di pubblico presente è tale da rendere quasi impossibile muoversi in libertà all’interno della piazza.
Lo storico gruppo milanese gradisce e non tarda a mostrarsi benevolo nei confronti di una tale attestazione di stima, regalando uno show ricco di tutte le particolari raffinatezze tipiche di chi, il Prog inteso come forma d’arte musicale, lo pratica da quasi quarantacinque anni: eleganza, stile ed energia per un nucleo di musicisti ancora oggi in grado di posizionarsi tra i punti di riferimento della scena.
Lo ammettiamo: data la folla presente (con rischio certo di restare imbottigliati nel traffico) e la successiva giornata di lavoro ad incombere, abbiamo abbandonato la tenzone in anticipo rispetto alla conclusione dello spettacolo.
Non prima però, di aver potuto apprezzare ancora per un po’ la degna chiusura di questo sesto capitolo del Veruno Prog Festival ed una grande PFM, impegnata nel riproporre grandi classici, tra i quali, con particolare magia, ha riecheggiato per le vie ed i vicoli del piccolo borgo novarese l’evocativa ed immancabile “Impressioni di Settembre”.
Fabio Vellata
Organizzazione perfetta, location deliziosa, prezzi ristoro abbordabili, clima familiare e musica, con la M maiuscola, assolutamente gratuita.
Lo seguiamo da tempo e lo possiamo affermare con totale certezza: il Veruno Prog Festival è, senza dubbi di sorta, uno dei festival migliori – a livello internazionale – cui si possa partecipare. Una solida ed incrollabile certezza di qualità.
Arrivederci all’anno prossimo Veruno!