Live Report: Adler’s Appetite a Romagnano Sesia (NO)
Nuovo appuntamento di prestigio per l’ambiziosa Rock n’Roll Arena di Romagnano, locale ormai inserito in un circuito concertistico di rilievo che sta traghettando nelle verdi lande valsesiane, alcune realtà di notevole importanza e carisma in ambiti rock e metal.
In perfetta sintonia con il nome del luogo, va in scena questa sera un evento decisamente devoto al più classico e vigoroso Hard Rock, partendo dalle classiche nuove proposte, per sconfinare in ambiti ai confini della leggenda. Protagonista sulle assi del palco, sarà, infatti, un personaggio dalla valenza eccezionalmente storica quale Steven Adler – primo batterista dei Guns n’Roses all’epoca del seminale “Appetite For Destruction” – accompagnato dai suoi Appetite, all star band del rock statunitense che sin dal moniker, sottintende uno stretto legame con i trascorsi scintillanti e fastosi del batterista.
Live Report a cura di Fabio Vellata
Sono trascorse da poco le ventuno, quando si schiudono per la prima volta i tendoni di un’Arena già piuttosto affollata, pronti ad ospitare il gruppo d’apertura, gli italianissimi Backstage Heroes.
Nato da poco più di un biennio, il quartetto torinese ha già all’attivo un primo EP ed un full length totalmente autoprodotto, materiale che consente un’autonomia più che solida di brani da proporre in occasione d’esibizioni dal vivo. Fautori di un suono che, pescando dalla radice tradizionale riconducibile a Guns n’Roses e Ac/Dc, si sposta verso il glam ruvido ed intransigente dei primi anni novanta e si connette con l’irruenza stilistica del nord europa (Hardcore Superstar e Backyard Babies i punti di riferimento primari), il gruppo mostra una già interessante capacità di fronteggiare la prova dal vivo, forte di una corposa serie di show sostenuti quali opening act di nomi prestigiosi.
Brani piuttosto veloci e dalla ruvidità accesa, mettono in evidenza il chitarrismo di Valerio Ricciardi – anima e fondatore del gruppo – ed una sezione ritmica che riesce a mantenersi su livelli più che buoni. Manca tuttavia, complice forse ancora un pizzico di sicurezza da acquisire in via definitiva, un po’ più di verve e volontà di coinvolgere direttamente il pubblico.
L’impressione di molti spettatori e quella di una band decisamente preparata e di valore, ma forse un po’ fredda ed ingessata nei movimenti, ancora sprovvista dell’incendiaria carica imprescindibile onde far esplodere in sede live, buone canzoni come “C’mon” e “Anybody”.
Una quarantina di minuti abbondanti per scaldare la platea, prima dell’entrata in scena del secondo gruppo in scaletta, gli sconosciuti ed esordienti Knock Out Kaine.
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Piacevolissima sorpresa della serata, il gruppo inglese guidato dall’esuberante frontman Dan Foxx sale on stage qualche istante prima delle ore ventidue, promettendo, sin dalle note iniziali, un’esibizione a base di suoni energici e vigorosi, in cui non vengono a mancare ottime peculiarità strumentali ed una potenza scenica davvero coinvolgente.
Eccellente il chitarrista Jimmy Bohemien, un validissimo incontro tra la pura tecnica ed il classico feeling rock, ben supportato dall’irruenza del bassista Lee Burns e dal drummer Danny Krash, ognuno a proprio modo, protagonista di una prova sopra le righe.
Ma è proprio il singer Dan Foxx, la vera arma in più del combo londinese. Un autentico animale da palco che non lesina in grinta e sudore su ogni singolo brano, costruendo nota dopo nota, un rapporto con il pubblico fatto d’energia e simpatica giocosità. Canzoni grintose ed immediate, figlie dirette del grande hard rock losangelino degli eighties, quali “Little Crystal” e “Going Down”, sono l’ingrediente principale di una performance intensa, carica di feeling ma soprattutto divertente.
I Knock Out Kaine nel corso del 2008, sono stati nominati dalla rivista Kerrang quale miglior live band senza contratto attiva in territorio inglese. Alla luce di quanto visto stasera, gli elogi del popolare magazine britannico non sembrano affatto casuali, così come risulta decisamente chiara la ragione per cui Adler abbia voluto il focoso quartetto delle Midlands quale gruppo spalla per l’intero tour europeo.
Simpatia, vitalità, brani trascinanti e presenza da rocker consumati, hanno conferito, a posteriori, un ulteriore ed inatteso motivo di soddisfazione all’evento.
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Chiamato a gran voce dal pubblico, richiesto dalla folla e ricordato con affetto dalla gran parte dei presenti, nonostante una produzione discografica fondamentalmente cristallizzata in un unico capolavoro edito più di vent’anni fa, mr. Steven Adler si accomoda al proprio drum kit quando sono passate le ventitré da un quarto d’ora circa.
Un boato assordante accompagna l’apertura del sipario e la calata in scena dei componenti del gruppo assemblato con cura dallo stesso Adler: gli affidabili Alex Grossi ex Quiet Riot (a quanto pare, sostituito all’ultimo minuto da un rimpiazzo non meglio specificato) e Michael Thomas (Fatser Pussycat) alle chitarre, il leggendario Chip Z’Nuff (Enuff Z’Nuff) al basso ed il nuovo entrato, il singer canadese Rick Stitch (Lady Jack), al microfono.
Grazie ad un’eccellente resa sonora che per tutta la sera ha garantito suoni all’altezza, l’attacco offerto da quella che, dopo tutto, potremmo definire una sorta di cover band extra lusso dei Guns n’Roses, è decisamente straripante.
Il trio “Reckless Life”, “Night Train” e “Out Ta Get Me”, scalda gl’animi a livelli incandescenti, scatenando addirittura il pogo tra le prime file. La band appare rodata e carica: presenza scenica d’impatto per le due chitarre, con particolare menzione per l’istrionico Michael Thomas, ed ottimo dominio dell’audience da parte del poco conosciuto Rick Stitch. Inutile sottolineare come il “modello” d’ispirazione sia un certo Axl Rose: movenze e look sono quelli, sebbene, una T-shirt degli acerrimi “rivali” Nirvana (l’atavica antipatia tra Guns e Nirvana, è storia) sfoggiata per l’intero concerto, funga un po’ da elemento di rottura.
Ben in forma anche il “vecchio” Adler, superstar di serata. Composto e mai sopra le righe, sfoggia una prestazione asciutta e priva di sbavature, pur mantenendo un buon feeling con il pubblico presente in sala, grazie a costanti “arrampicate” sulla batteria ogni qualvolta una minima pausa conceda un saluto o un ammiccamento. Unico membro forse un po’ più “fermo”, ci è sembrato il buon Chip Z’Nuff: completamente avvolto in un lungo soprabito di pelle nera, con tanto di basco calato sugl’occhi ed occhiali da sole, il celebre bass player degli Enuff Z’Nuff ha concesso ben poco, assumendo un ruolo sulla scena piuttosto defilato.
Solo tre pezzi propri, tutto materiale composto di recente con nessun estratto dal primo ed unico EP edito nel 2005 (nell’ordine d’esecuzione, “Stardog”, “Fading” e l’ottima “Alive”), sono stati il semplice contorno del piatto forte della scaletta, come sempre, quasi interamente incentrata sul capolavoro dei Guns, “Appetite For Destruction”.
Come da copione, il pubblico va in visibilio all’ascolto di “My Michelle” ma, ancor di più, alle prime note di “Civil War” (lunga intro di chitarra per l’unico pezzo di “Use Your Illusion” cui Adler abbia contribuito) e “Sweet Child Of Mine”, inframmezzate dalle altrettanto leggendarie “Mr. Brownstone” e “Rocket Queen”, con il saltellante singer, impegnato – microfono in mano – in un’improbabile e “scenografica” scalata sui riflettori a bordo palco e la coppia di asce semplicemente impeccabile.
Gli “encore”, ovvero quello che tutti attendevano, sono, inutile sottolinearlo, gli attimi più intensi dell’intera esibizione. Roba capace di far smuovere anche il più compassato degli ascoltatori. Dopo il classico rito del finto saluto e del rientro in scena, è tempo finalmente delle straordinarie ed immortali “Paradise City” e “Welcome To The Jungle”, attimi di storia eruttati a tutta forza, dall’impatto adrenalinico a dir poco dirompente sulla folla.
Una chiusura a tempo di leggenda, con due delle canzoni (forse “LE” due canzoni) più celebri dei Guns, a suggellare un concerto che ha saputo coinvolgere i giovanissimi, ma soprattutto, i meno giovani. In particolare coloro che, come il sottoscritto, più di vent’anni fa trascorrevano le giornate ascoltando brani come questi, destinati poi a divenire frammenti riconosciuti di storia del rock.
Ottima cornice, perfetta organizzazione, suoni senza pecche e concerti carichi d’energia. Una serata davvero riuscita per la Rock n’Roll Arena.
A mente fredda, è stato ad ogni modo significativo constatare la notevole risposta d’audience procurata da una band che in quasi otto anni di carriera ha sinora composto solo un’esigua manciata di pezzi propri, sopravvivendo essenzialmente sulle fortune derivate da un unico, singolo, album ed un EP (“Live Like A Suicide”) prodotti molti anni fa. Ai quali ha, oltretutto, contribuito un unico membro della formazione di questi Adler’s Appetite, Steven Adler per l’appunto, primo “vero” batterista dei Guns.
Un segno tangibile di quanto abbia significato per la storia di molti la musica dei Guns n’Roses, un nome oggi un po’ bistrattato, ma destinato a rimanere, sin negli interpeti meno appariscenti e celebrati, un sinonimo di mito e leggenda cui accostarsi sempre con immutato entusiasmo.
Fabio Vellata
Setlist:
01. Reckless Life
02. Nightrain
03. Out Ta Get Me
04. My Michelle
05. Stardog
06. Civil War
07. Mr. Brownstone
08. Fading
09. Rocket Queen
10. Sweet Child O’ Mine
11. Alive
Bis:
12. Paradise City
13. Welcome To The Jungle