Live report: Amon Amarth a Milano
Magazzini Generali, Milano 25/05/2011
I Magazzini Generali di Milano ospitano la nuova calata italica degli Amon Amarth, combo svedese dedito ad un massiccio death metal dalle tematiche prettamente vichinghe, freschi del nuovo uscito “Surtur Rising”. L’affluenza di pubblico è notevole, il locale si riempie piuttosto presto anche per via dell’orario di apertura dei cancelli, avvenuto alle 19, e girando tra il pubblico non si fa certo fatica a capire che sono tutti lì per i titani svedesi, sebbene anche ai Black Dahlia Murder venga riservata una più che discreta accoglienza. Al momento del nostro arrivo questi ultimo hanno appena iniziato il loro spettacolo, quindi tuffiamoci subito nella calura dei Magazzini, ancora una volta segnalatisi per l’acustica non particolarmente soddisfacente ma diventati ormai un punto di riferimento importante per gli eventi metal ospitati a Milano.
Report a cura di Luca Trifilio.
Nonostante fossimo stati regolarmente accreditati per le foto, la sicurezza non ci ha permesso di accedere al pit per ragioni a noi ignote, pertanto ci scusiamo con i lettori per la mancanza della consueta galleria di immagini.
THE BLACK DAHLIA MURDER
Dal Michigan con furore e con la voglia di far fuoco e fiamme . L’intenzione di Trevor Strnad e soci risulta evidente fin dalle prime battute, e mantengono alta la tensione durante tutta la loro performance, accolta da una buona risposta e da un locale già praticamente pieno. Nel corso della quarantina di minuti a disposizione dei Black Dahlia Murder, tra anticipazioni dall’album in arrivo (“Moonlight Equilibrium”) e cavalli di battaglia assortiti (“What A Horrible Night To Have A Curse”, “Miasma”, “Funeral Thirst”), la band non risparmia energia e grinta nel tentativo di proporre al meglio la propria musica e di coinvolgere la platea, presente quasi esclusivamente per gli headliner a giudicare dalle magliette viste in giro, ma che non lesina applausi ed incitamenti anche per i BDM. Tuttavia, dei dubbi rimangono, e sono gli stessi che emergono ascoltando i loro album: i brani soffrono di scarso dinamismo ed inevitabilmente si finisce per confonderli tra di loro, aspetto che provoca qualche sbadiglio dopo i primi dieci minuti di concerto. Tuttavia, se di live si parla, non si può certo rimproverare a questi ragazzi di suonare male, anzi l’impatto è possente e nonostante i suoni male amalgamati e le chitarre impastate la performance nel complesso si è rivelata soddisfacente ed anche genuina.
Dagli Amon Amarth si sa perfettamente cosa aspettarsi.
Quando pochi minuti prima delle 21 i cinque svedesi si impossessano del palco dei Magazzini Generali, l’atmosfera è quella sovreccitata ed allegra che tante volte si respira ai concerti nei minuti immediatamente precedenti allo scatenarsi della tempesta di metallo.
I mastodontici vichinghi danno il via allo show con “War Of The Gods”, dall’impianto e dalla melodia tipicamente swedish. I suoni si dimostrano fin da subito non eccezionali né per definizione e pulizia né per mixaggio, con una prevalenza piuttosto netta dei bassi. A sentirsi invece molto bene è la voce di Johan Hegg, da subito in palla e che metterà in mostra, oltre ad un timbro notoriamente adatto alla proposta musicale della band, anche discrete doti da frontman: infatti, al termine di quasi ogni canzone le luci si spengono lasciando un riflettore puntato su di lui, che visibilmente divertito e soddisfatto interagisce col pubblico a volte coinvolgendolo – lanciandosi anche in qualche breve frase in italiano – altre semplicemente annunciando il titolo o il tema della canzone successiva.
La scaletta , pur cercando di abbracciare tutta la discografia della band, pesca a piene mani dagli ultimi due lavori e dal recentissimo “Surtur Rising” in particolare, con brani che sia stilisticamente sia a livello di impatto riescono ad integrarsi bene col resto della setlist. I suoni non ideali non riescono a togliere la potenza e l’onda d’urto portata on stage dai nostri, la cui presenza scenica è notevole. Performance rocciosa la loro, senza particolari sbavature e con un pubblico partecipe ed a tratti esaltato.
Tra gli highlights della serata vanno senza dubbio segnalate le ottime esecuzioni di “Varyags Of Miklagaard” e della festaiola “Guardians Of Asgaard”, la terremotante “Twilight Of The Thunder God” posta in apertura dell’encore ed ovviamente la conclusiva e coinvolgente “The Pursuit Of Vikings”, autentico cavallo di battaglia che ha visto un pubblico totalmente in preda all’esaltazione e chiamato ad intonare il ritornello durante un break di basso. Immancabile anche il windmill, il tipico movimento rotatorio della testa durante l’headbanging che crea appunto l’effetto di un mulino: fatto dai quattro elementi – ovviamente escluso il batterista – durante la conclusione del brano, è uno dei trademark che indubbiamente regalano ulteriore riconoscibilità ed impatto ai live degli Amon Amarth.
Su di loro rimane ben poco da dire: così come su disco, continuano a dimostrarsi granitici e quadrati, una band di livello che non fa certo dell’innovazione o del tentativo di evolversi il proprio punto di forza ma che riesce comunque a confezionare ottimi prodotti che, dal vivo, guadagnano molto in termini di impatto e di emotività. Avevo avuto l’opportunità di vederli cinque anni fa, in occasione dell’Evolution Festival del 2006, ma posso affermare di aver ritrovato una band più navigata e sciolta anche dal punto di vista dell’atteggiamento on stage, in particolare per via dell’interazione maggiore di Hegg col pubblico.
Per tutti questi motivi, pollice alto per i vichinghi del death metal.