Live Report: Amon Amarth + Carcass + Hell a Trezzo Sull’Adda (MI)

Di Vittorio Sabelli - 26 Novembre 2013 - 20:28
Live Report: Amon Amarth + Carcass + Hell a Trezzo Sull’Adda (MI)

Quanta gente aspettava con ansia questo giorno? Mesi, anni, decenni dall’ultima apparizione dei Carcass in terra italiana. Finalmente il giorno è giunto, e i re del grindcore (e del death metal) sono oltretutto in ‘scaletta’ con un’altra band di culto per gli amanti del viking-death metal, gli svedesi Amon Amarth. Un’accoppiata a dir poco sensazionale di cui ci prepariamo a godere dopo i 700Km affrontati per esser presenti al ‘grande ritorno’. E come il sottoscritto, decine e decine di appassionati del metallo che non vogliono/possono assolutamente lasciarsi scappare quest’occasione unica. 

 

 

 

Ore 20:00. Finalmente si rompono gli indugi e l’attesa per questa serata che ha tutte le carte in regola per essere esplosiva. Dopo oltre venti anni di assenza dalle scene, tocca agli inglesi Hell calcare per primi lo stage del Live Club e subito scaldano l’atmosfera con “The Age Of Nefarious”, che mette presto in luce tutta la loro teatralità e drammaticità: dal corpse(face)paint alla ‘linea gotica’ scelta per gli abiti. Tutta la performance ruota intorno alla figura del vocalist David Bower, a petto nudo, con una corona di spine in testa e un frustino in costante movimento. L’impatto scenico è senz’altro quel che la band si propone, ben amalgamato al sound d’altri tempi che mette in risalto le doti canore e sceniche del leader, che si dimena, striscia e addirittura scende nel pit per praticare esorcismi a qualche (fortunato) malcapitato ‘in transenna’.
 
Ma il tutto fatto con cognizione di causa, passando da “On Earth as It Is in Hell“ alla drammatica “Blasphemy And The Master”, con la messa in latino al suo interno (tra i primi brani scritti dalla band e appartenente al primo demo omonimo), il tutto scorre via con grande presa tra un King Diamond e un Alice Cooper d’annata. Il teatro continua con “Something Wicked This Way Comes” dal recente “Curse and Chapter” uscito proprio qualche giorno fa per la Nuclear Blast, e “The Quest” (dal demo “Scheming Demons”), che solitamente è il brano di chiusura delle loro performance. Ma non in questo caso, perché richiamati a gran voce dai presenti, gli Hell regalano un’ultima “Save Us From Those Who Would Save Us“, tra scroscianti applausi. La domanda nasce spontanea: la linea futura sarà sempre più piena di act come Hell e Ghost B.C.? Il lato scenico inizia davvero a prendere il sopravvento su quello prettamente musicale? Nemmeno il tempo di approfondire questo pensiero che un urlo si alza violento in contemporanea con la proiezione della copertina di Surgical Steel sullo sfondo. 
 
Setlist:
01. The Age Of Nefarious 
02. On Earth As It Is In Hell 
03. Blasphemy And The Master 
04. Something Wicked This Way Comes 
05. The Quest 
06. Save Us From Those Who Would Save Us
 

Ore 20:40. Sono troppi gli anni che separano i fan italiani dalla leggenda tornata pericolosamente in attività dopo uno stop di quasi 15 anni. L’attesa per vederli nuovamente, seppur orfani di Owen e Amott, è pari a quella che ha preceduto l’uscita del loro ultimo lavoro “Surgical Steel”. Senz’altro la scelta di prender parte al tour degli Amon Amarth da ‘gregari’ lascia  un disappunto tra i seguaci del combo inglese, ma lo stesso Walker ha ammesso in una sua recente intervista per True Metal che attualmente i Vichinghi svedesi sono più famosi dei Carcass. La scelta di proporre il nuovo disco in club non enormi spinge la band a riavvicinare (anche fisicamente) i fan, per prepararsi al meglio per un tour da headliner. Ma bando alle ciance, dopo soli dieci minuti di cambio set le note dell’intro strumentale “1985”, anno di formazione del primo nucleo dei Carcass chiamato Disattack, echeggiano nell’aria colma di attesa del Live Club. Qualche decina di secondi e si parte: “Buried Dreams” sembra affermare dai primi riff che il tempo si è fermato venti anni fa, a quell’Heartwork che li ha resi al mondo con la svolta dal grind al death metal melodico. E quello che i quattro propongono è una sorta di excursus della loro carriera: i brani si susseguono a ripetizione dalla loro discografia (ad esclusione di Swansong”), passando da “Incarnated Solvent Abuse” che dà inizio al pogo terrificante a centro parterre, fino agli slow di “This Mortal Coil” e l’intro storica di “Corporal Jigsore Quandary”. Solo “Genital Grinder” è tratta dal primo “Reek Of Putrefaction”, e usata come intro per “Exhume To Consume“, che vede Steer impegnato anche alla voce. L’aria è rovente e carica di energia, sotto i colpi inflitti dal quartetto. Il drumming di Daniel Wilding è killer (e non necessario paragonarlo per tutta la vita a Owen), e non solo su Surgical Steel. La precisione dei suoi colpi è ormai parte integrante dello stile Carcass, soprattutto sui brani del nuovo disco, che vengono messi in maggioranza rispetto agli altri (“Unfit For Human Consumption”,”Cadaver Pouch Conveyor System”,”Captive Bolt Pistol”), a causa del breve tempo messo a disposizione della band.
 
Gran peccato non aver ascoltato altri storici capolavori immortali, ma il pubblico è rovente e il pogo non si attenua un attimo. La band continua a picchiare a mille, concentratissima e interessata solo al presente. E il presente sono le figure di Steer e Walker, macchine da guerra alle quali sembra non sia affatto passato un briciolo dell’entusiasmo iniziale, anzi, si direbbe tutt’altro dal loro modo di ‘porsi’ verso i fan, con la classe del biondo chitarrista le cui mani scivolano sulla Gibson con una delicatezza che sembrerebbe in contrasto con i suoi riff devastanti, a loro volta ripresi dall’ottimo Ben Ash, per lasciar esprimere lo stesso Steer nei suoi soli melodici: una poesia nella follia totale. Jeff Walker, adrenalina pura e voce da annali della musica, cerca di distillare al minimo i tempi morti tra un brano e l’altro, rivolgendosi al pubblico con la seguente frase: “Quanti vichinghi ci sono tra voi? E quanti patologi?”. Il tempo sembra dilatarsi sotto l’assedio dei quattro che si incamminano verso fine concerto, con le note di “Ruptured In Purulence” che fanno da preludio all’inno “Heartwork”, che fa trapelare nell’aria la voglia di godere di quest’ultima bordata, che regala ancora emozioni fortissime a distanza di due decadi dalla sua uscita e il cui tema principale è ‘intonato’ da tutto il Live Club. Lo show giunge al termine e la domanda nasce spontanea: già finito? Purtroppo si, ma mai come in questo caso ‘breve ma intensissimo’, perché i Carcass hanno dato (qualora ce ne fosse ancora bisogno) sfoggio di una performance devastante, con la loro classe e la loro voglia di restare a lungo nel regno di cui loro sono tra i padri fondatori e innovatori! 
E dopo tutto ciò cosa aspettarsi? 
 
Setlist:
1985 (Intro)
01. Buried Dreams 
02. Incarnated Solvent Abuse 
03. Unfit For Human Consumption 
04. This Mortal Coil 
05. Cadaver Pouch Conveyor System 
06. Genital Grinder
07. Exhume To Consume 
08. Corporal Jigsore Quandary 
09. Captive Bolt Pistol 
10. Ruptured In Purulence
11. Heartwork 
1985 (Outro)
 

 
Ore 22:05. Dopo un cambio stage di ben 35 minuti, ci apprestiamo a passare dagli dei del grind/death ai figli di Odino, splittando a fatica la mente verso nuove e diverse sonorità rispetto al superbo set precedente. Agli headliner Amon Amarth tocca l’onere di chiudere questa meravigliosa serata di metallo rovente, con un palco a loro completa disposizione (mentre a Hell e Carcass era ‘riservata’ la sola parte anteriore). Quando lo striscione con la copertina del loro ultimo album “Deceiver Of The Gods” – dalla mitologia norrena rappresentante l’astuto dio Loki che combatte contro il dio Thor – è alzato sopra il palco, si alza il boato dei fan del quintetto svedese. E mentre l’intro strumentale inizia a prendere il sopravvento ricordando le gesta degli antichi Vichinghi, la band appare sul palco in un lampo di luce, come gli dei scendono da Asgard, e si presenta con l’accoppiata tratta dal loro ultimo lavoro “Father of the Wolf” e “Deceiver Of The Gods”. Il pubblico si trova di fronte una macchina rodata ormai da quindici anni, con una costanza discografica e concertistica da far invidia. Le chitarre del duo Söderberg/Mikkonen si allineano (nonostante un problema tecnico dopo il primo brano per quest’ultimo), si sovrappongono e si armonizzano, proponendo quello stile che la band ha mantenuto coerente per tutto il suo percorso, mantre il ritornello della title-track dell’ultimo disco è cantato all’unisono da tutti i presenti.
 
D’altronde nessun punto debole si riscontra per il quintetto svedese, che consta di una ritmica solida composta dal duo Andersson/Lundström (prestazione sopra le righe di quest’ultimo), non spettacolare ma di ‘sostanza’. I brani che si susseguono a partire dalla successiva “Death In Fire“ vengono presi da tutti i dischi ad esclusione dei primi tre, con una maggior predilezione per l’ultimo con ben cinque brani (oltre ai due iniziali, “As Loke Falls”, “We Shall Destroy” e “Warriors Of The North”), seguito da “Twilight Of The Thunder God”, che oltre alla title-track dà in prestito “Varyags Of Miklagaard”, “Live For The Kill” e “Guardians Of Asgard”. Senz’altro la setlist è vincente e non è facile non sentirsi coinvolti dalla presenza e dalla voce superba e unica di Johan Hegg, che agita la sua enorme figura sul palco col suo corno vichingo sprigionando adrenalina a fiumi. E non solo, perché la sua presenza scenica è invidiabile e riesce a coinvolgere l’intero Live Club, col suo growl disumano e un sorriso che lascia trapelare come si diverta a raccontarci storie di altri mondi. Momenti di apparente calma come “The Last Stand Of Frej“ (in cui il trio ‘corde’ davanti la batteria sincronizza un headbanging da incorniciare) e “Cry Of The Black Birds” s’alternano con le pietre miliari “Destroyer Of The Universe”, “War Of The Gods”, “Twilight Of The Thunder God”, nelle quali il pubblico non esausto (evidentemente) dopo i Carcass, si fa sentire con tutto il suo calore, intonando a gran voce i ritornelli insieme a Hegg, che spietato sputa fuori con la sua gran voce. Il gioco di luci è adatto allo show degli Amon Amarth, così come le scenografie, non invadenti ma in linea con la direzione intrapresa dalla band. La cosa che più impressiona è il pogo costante e continuo durante tutta la loro performance nei momenti in cui la band scatena il panico, incluso il ‘wall of death’ dopo l’intermezzo sinfonico di “Live For The Kill”. L’eloquente Hegg comunica continuamente col pubblico, pronunciando benissimo anche la più classica delle bestemmie…in italiano! Considerando che siamo a fine serata i Nostri si congedano con il loro inno “Pursuit Of Vikings”, che segna la chiusura delle danze con una performance di alto livello. 
 
Setlist:
Intro
01. Father Of The Wolf 
02. Deceiver Of The Gods 
03. Death In Fire 
04. Live For The Kill 
05. As Loke Falls 
06. We Shall Destroy 
07. Runes To My Memory 
08. Varyags Of Miklagaard 
09. The Last Stand Of Frej 
10. Guardians Of Asgaard 
11. Warriors Of The North 
12. Destroyer Of The Universe 
13. Cry Of The Black Birds 
14. War Of The Gods 
15. Twilight Of The Thunder God 
16. The Pursuit Of Vikings 
 
Che dire! Serata esemplare, ottimo bill e una risposta calorosissima da parte del pubbico del metallo, che trasmette tutto il suo calore e partecipazione durante queste intense ore. Non cadiamo nel facile errore di paragonare Amon Amarth e Carcass, con l’ago della bilancia che naturalmente penderebbe dalla parte del quartetto inglese. Entrambi hanno offerto prestazioni di altissimo livello, seppur partendo da due basi completamente diverse, accontentando tutto il pubblico accorso al Live Club, che ha contraccambiato con un meritatissimo sold-out! Un plauso finale all’ottima organizzazione, all’acustica in grado di mettere in risalto le caratteristiche delle tre band, e l’ottimo lavoro dei cinque uomini ‘sotto-stage’, che hanno avuto un gran da fare col pubblico scatenatissimo da queste terribili band! 
 
Live Report a cura di Vittorio ‘versus’ Sabelli