Live report: Amon Amarth, Entombed all’Academy di Dublino (Irlanda)

Di Alberto Fittarelli - 27 Ottobre 2009 - 17:10
Live report: Amon Amarth, Entombed all’Academy di Dublino (Irlanda)

Quando ti trovi di fronte un concerto che vede nel bill solo Entombed e Amon Amarth, è difficile aspettarsi nuove emozioni. Ma vecchie o nuove che siano, sempre emozioni sono: e il concerto della strana coppia a Dublino ne ha fornite anche più del previsto. Iniziamo col mettere un paio di puntini sulle “i”.

Prima di tutto, ci si potrebbe scandalizzare di fronte al fatto che gli Entombed, che il genere l’hanno inventato, suonino di spalla a un gruppo “degli ultimi arrivati”: lo si potrebbe fare se fossimo degli ingenui e non conoscessimo le leggi del mercato. Gli Amon Amarth vendono di più e attirano di più, ergo suonano headliner, punto. Giusto o sbagliato non interessa, questo è quanto: ma va anche detto che suoneranno un’ora e mezza a fronte dell’ora piena del “gruppo spalla”, e quindi nessuno si può lamentare. Finiamo inoltre col ricordare che in origine il cartellone mostrava anche il nome dei thrasher inglesi Evile, colpiti però improvvisamente dalla tragica scomparsa del bassista Mike Alexander proprio durante le prime battute di questo tour europeo; inutile dire che la loro presenza è stata cancellata dal tour, per scelta stessa della band.

Andiamo quindi a parlare della serata, una vera e propria festa death metal con accenti nordici che ha investito una Dublino ormai dormiente, dal punto di vista dei concerti metal.

ENTOMBED:

 

 

Restano sempre i più grandi, in Europa. Dopo i famigerati anni in cui la loro identità vacillava, incapaci di creare qualcosa di davvero buono in quello stoner rock che tanto li affascinava, il ritorno al death metal originario ha dato nuova vita agli Entombed, del cui nucleo originario restano oggi solo LG Petrov e Alex Hellid. Un gruppo rinnovato nell’ispirazione, che ha dato vita all’ottimo Serpent Saints – The Ten Amendments e oggi se ne va in giro per concerti senza nemmeno avere un’uscita da promuovere, per il puro gusto di farlo (e perché è il loro mestiere, ovviamente). LG è in palla come sempre, Hellid fa alla grande il suo mestiere e il bassista Victor Brandt, preso in prestito dai Satyricon, si dimostra importante per la presenza scenica del gruppo, sapendosi atteggiare a dovere (ed essendo alto due metri buoni); i suoni sono perfetti, LG scimmiesco come da regola e il pubblico risponde con un’onda di energia pura.

Tutte le canzoni vedono infatti l’audience cantare in coro e spaccarsi di mosh, in un Academy pieno da subito: pezzi classici come “Chief Rebel Angel“, “Out Of Hand“, “I For An Eye” e soprattutto “Stranger Aeons” scivolano via che è una bellezza durante uno show senza pausa né cali di tensione. Il mestiere c’è tutto, e lo si vede. Un’ora abbondante di grezzaggine e ignoranza, chiusa dalla solita, terrificante “Left Hand Path“, con il pubblico che intona le note della tastiera finale all’unisono: un’ora che rimetterebbe ogni death metaller che si rispetti in pace col mondo.

Almeno all’Academy, e considerando quanta gente era lì principalmente per loro, missione compiuta.

AMON AMARTH:

 

 

Ma la vera sorpresa viene da colui da cui non te l’aspetti: gli Amon Amarth visti in concerto in Italia negli ultimi tour erano stati tutt’altro che perfetti, spesso addirittura svogliati, scolastici nell’impatto on stage. Non aveva aiutato qualche disco un po’ troppo fiacco, vedi Fate Of Norns, e una tendenza a ripetersi decisamente accentuata; ma due album come With Oden On Our Side e Twilight of the Thunder God cambiano tutte le carte in tavola, e allora sì che si fa sul serio.

Proprio con la title-track dell’ultimo, ottimo disco si parte questa sera: con un chorus così melodico è impossibile restare zitti e fermi, ed ecco quindi che gli Amon Amarth riescono nell’impresa di scatenare il crowd surfing sin dal primo pezzo, per la felicità di security e fotografi. Poche parole, molti fatti: Johan Hegg si prende giusto il tempo di salutare la folla e (fingere di) bere dal corno che porta alla cintola, e via con le canzoni seguenti: una vera e propria razzia su Dublino, con pezzi come “Valkyries Ride“, “Asator“, “Varyags Of Miklaagard“, “Runes To My Memory” ad arroventare definitivamente l’atmosfera.

Amon Amarth

Energia, coinvolgimento del pubblico e ispirazione del gruppo arrivano agli apici con brani attesissimi: “Death In Fire” (l’unica in cui i suoni si fanno un attimo confusi, a dire il vero) e “Live For The Kill“; sorprende invece la mancanza di LG Petrov degli Entombed sul palco a cantare “Guardians Of Asgaard” insieme a Hegg, ma la resa è identica: un macigno in piena faccia, col pubblico che ruggisce il ritornello e fa tremare i muri.

Amon Amarth

Si chiude, ovviamente, con “Victorious March“, almeno prima dell’esecuzione dei bis: una lunga intro strumentale/ambient porta infatti a “Cry Of The Blackbirds“, per terminare la lunga serata con “Pursuit Of Vikings“, una bandiera irlandese al collo di Hegg e i ringraziamenti a un pubblico ormai stremato. Come si diceva, una sorpresa: gli Amon Amarth tornano a guadagnare un’enorme quantità di punti dal vivo, e lasciano il segno, specie in una zona – si diceva poc’anzi – non troppo inflazionata quanto a concerti. E fossero tutti così, ci sarebbe davvero da divertirsi.

Alberto Fittarelli