Live Report: ANTTU + laCasta + Neid + Implore @Garagesound (Bari) – 5 Maggio 2018
Il Garagesound di Bari è una delle nuove realtà che si stanno affacciano nell’ormai sempre più affollato bosco dei locali in grado di offrire al pubblico, oltre che alla scena pugliese, un’ulteriore aumento di serate dedicate alla musica dal vivo, soprattutto quella più dura nelle sue più molteplici sfaccettature. E, a tal proposito, di sfaccettature nella serata in oggetto ne abbiamo avute molte: partendo dal Gore/Slam Death Metal degli A Nail Through The Urethra infatti, si è passati al Blackened Hardcore dei laCasta, per poi concludere con il Grindcore puro & duro dei Neid e il Blackened Crust dei tedeschi Implore.
L’evento, organizzato grazie ad una collaborazione tra Mal The Core e Deep Core Prod., ha sicuramente riscosso un buon successo di pubblico ma, aldilà di tutto ciò, com’è andata?
TrueMetal.it, tra le varie cose, era anche lì proprio per trarre un resoconto il più possibile fedele della serata.
Trovare un posto auto dove parcheggiare a Bari oltre una certa ora è difficile, sapete?
Infatti, per tale ragione, sono entrato nel locale proprio mentre gli A Nail Through The Urethra stavano già suonando da un pezzo, al che l’unica cosa che mi son potuto permettere di fare è arrivare di netto e scattare foto all’impazzata cercando allo stesso tempo di capire cosa stesse succedendo sul palco.
E ciò è una cosa assolutamente non facile, ve lo assicuro, soprattutto considerando il pienone di gente e le dimensioni non certo eccelse in larghezza (il Garagesound, nome non mente, è un vero e proprio garage al cui interno è stato costruito un Live Club, quindi si tratta di un ambiente esteso in lungo e con ben poca larghezza) del locale: faceva molto, molto caldo ma di colpo, schivo la folla e, come già detto, certo di raccapezzarmi all’ultimo minuto, di getto e senza preliminari (ehm…non fraintendete, che già con quel “esteso in lungo e con poca larghezza” già i fraintendimenti sono al limite…).
Comunque, una volta acquisita conoscenza, mi ritrovo gli A Nail Through The Urethra a danzare su una base dance, con tanto di frontman allegriccio che urla “Su’, danzate con noi” e tante belle mossette che di sicuro saranno molto di tendenza nelle serate a tema glamour del Demodè (a Modugno, sempre vicino Bari, altra grande meta dei metallari locali), non di certo su un piccolo palco dove ci si aspettava delle sonorità ben più incalzanti e cattive!
Il frontman Big D in uno dei rari momenti in cui non rutta…
Ma…ehi, sono gli A Nail Through The Urethra! Ah già, mi rendo conto che sono una band ancora poco nota oltre i confini locali quindi ve li provo a descrivere.
Quindi, immaginate un sano e tecnicissimo Brutal Death Metal in salsa Slam, infarcito però di introduzioni improponibili che campionano i peggiori inni e luoghi comuni del trash musicale italiano e mondiale: una volta ottenuto il composto, spruzzate sul tutto una sana dose di humour demenziale a far da capolino tra testi ed immaginario della band (una delle foto promozionali vede uno dei componenti spruzz…ehm,”in direzione dell’intervento di un fallo stilizzato stile bimbo delle elementari’ diciamo, altrimenti credo che mi caccerebbero dalla redazione seduta stante, ma voi concentratevi su “intervento” e “fallo” e reinterpretate il tutto in chiave calcistica così tutto vi sembrerà più sobrio), ed avrete ottenuto questi simpatici signori sulla quarantina che amano danzare al ritmo di Death Metal, blast beat, macarene e maschere di cavallo tra il pubblico (uno dei presenti tra il pubblico ne indossava una, nota conoscenza dei live locali).
…e qui invece, mentre rutta!
La serata è importante perché gli ANTTU, la sigla con cui loro stessi si fanno chiamare, su quel palco presentano tutti e otto i brani facenti parte del disco di debutto, dal titolo di “The Hangover Avodkalypse” (…niente, è amore) e riescono, con non troppo stupore (il frontman Ettore, che noi ora chiameremo Big D come la loro biografia impone altrimenti si offende, è già parte degli eccellenti Bibliopegia Antropodermica), a scuotere un po’ tutto il pubblico. Certo che stasera, nella breve porzione di set che San Parcheggio da Bari mi ha concesso di ammirare in Grazia Divina, mancano i “falli in azione”, ma a sostituirli ciò ci pensa una performance granitica, precissima e con un frontman che a livello di Pig Squeal non teme concorrenti, tutti segni del fatto che il quartetto è sì di giovane formazione ma già pronto per calcare palchi di una certa caratura: ho visto una band eccellente infatti su quel palco, che sa scuotere il pubblico con un sound che, sebbene di suo non sia esattamente originalissimo (il Brutal Slam quello è, facciamocene una ragione), ha comunque dalla sua un’attitudine decisamente caciarona e personale, ben oltre gli standard tipici che lo stesso genere propone a volte propone.
Su un palco come quello dell’Obscene Extreme farebbero faville e, son certo, spacchebbero le gonadi ad act ben più noti oggigiorno di loro.
Unica pecca dell’esibizione, non certo imputabile alla band, è il suono di palco: una chitarra che pare un sottofondo, un basso sin troppo in evidenza e voce e batteria che sovrastano tutto, ma la band non ha accusato il colpo ed è andata avanti come se non ci fosse stato un domani!
Insomma: divertiti e divertenti, scuramente l’esatto opposto dell’effetto che ti provoca un chiodo che ti passa attraverso la vescica!
Signore e signori, l’udienza è tolta: questo è quanto posso descrivervi della breve porzione di esibizione a cui ho potuto assistere.
(Che sia chiaro, aldilà del mio stile scanzonato nel descrivere le cose che a chi mi conosce e legge di solito le mie righe qui sopra credo sia conosciuto, questa parte di Report è volutamente scritta in tono ironico proprio per veinire incontro allo stile della band…)
Setlist ANTTU:
Let’s fill this inner void with a Gin Tonic
Avodkalypse now
The time to chill is now
Blackzilla’s rampage pounds again – Pure fuckin’ beermageddon
There’s a Maelstrom in my Martini
Mannaja Tequilamuerto
The anal fissure holocaust – You suffer, but wine?
Hemorrhoid Android
Slam e divertimento a iosa…comunque ve lo confesso, voglio la t-shirt del bassista al banchetto del merch!
Dopo il demenziale apripista in salsa Slam, è arrivato il momento di tornare a fare terribilmente sul serio inasprendo i toni ed abbassando la luminosità del sound: arrivano i laCasta, vere e proprie icone del’underground locale (e a quanto pare, forse anche nazionale). Ora però spiegatemi, cari addetti alle luci, perché a parità di toni chiusi ed atmosfere meno pregne di luce avete ben pensato di sparare a mille proprio le luci di palco, con il risultato di rendere impraticabile un qualsivoglia tentativo di fotografia della loro esibizione! E, oltre a ciò, come se non bastasse la band barese (di Monopoli) ha sofferto lungo tutta l’esibizione di numerosi problemi tecnici quali la testata del basso che per qualche minuto è rimasta inspiegabilmente muta, oppure un sound di chitarra che qui è apparso davvero eccesivamente impastato e confuso, zanzaroso. I synth, la voce e la batteria sono, in contrasto, fin troppo nitidi e dai volumi eccessivamente alti rispetto al lato strumentale degli strumenti a corda.
Insomma, non certo un buon biglietto da visita, ma la band non si perde d’animo.
Il chitarrista Mario Morgante non pare accusare troppo il pessimo sound di palco e ripiega sul lato fisico della performance.
Infatti, i laCasta hanno ormai una certa esperienza con i palchi e cercano, non invano, di lasciar trasparire un lato fisico On Stage non indifferente: ogni nota, ogni mossa è sparata via con il massimo delle forze proprio allo scopo di recuperare ciò che pare, almeno in apparenza. ormai inevitabilmente perduto. Ma si sa, molto spesso le apparenze ingannano e le prime impressioni sono fasulle circa il risultato finale. Molti dei presenti, almeno a giudicare dalle t-shirt indossate, sembrano essere qui per loro: si poga, si beve e si incita pure al bis. La band, tra brani dell’ormai arcinoto (da queste parti) EP di debutto “Encyclia” (qui la recensione) e brani nuovi di zecca, fornisce un set muscoloso (aldilà dei muscoli del chitarrista, s’intende…), carico a mille e che evidenzia certi avanzamenti dal punto di vista stilistico: i nuovi brani sono infatti molto più Black Metal rispetto a quelli dell’EP di debutto, segno di una evoluzione che ormai pare tangibile e che di sicuro in fase di disco di debutto vero e proprio (attualmente tuttora in registrazione, se non erro) si farà notare. Per ora il primissimo debutto dal vivo di queste nuove composizioni è positivo: la band continua a farsi adorare dai propri beniamini e lasciare del tutto indifferente chi finora proprio non digerisce il loro sound sebbene ora lo stesso sia, a conti fatti, molto meno ‘Crossover’ di quanto lo fossero i precedenti brani. Ma ciò non importa perché i laCasta sono comunque lì, inarrestabili, pronti a sciorinare un set che, anche quando la cattiva sorte dell’acustica pare affossare definitivamente sin dal suo esordio, brilla comunque da altri punti di vista, segno di una band completa al 666% che, ormai, va avanti alla faccia dei detrattori.
Troppo fumo e sound fumoso? Niente paura, i laCasta mica si fermano per simili bazzeccole!
Così si fa. Non si può piacere a tutti e la band barese lo ha capito, garantendo un set fumoso, rumoroso e carico di elementi Harsh Noise e sibili come da loro tradizione ormai. Alla fine di tutto, il bassista Marino scuote il suo Fender Precision nero come la notte nervosamente, forse in segno di disprezzo dal pessimo sound di palco, ma forse non si era ancora reso conto di quanto aveva offerto assieme all’altra triade, oltre lui, che compone la band.
Solo i migliori riescono a uscire vincitori anche quando la sorte pare avversa e mantenersi persino modesti, oltre che stupiti.
Setlist laCasta:
Intro + No Hope
The Reaction will never Come
You are Nothing
Lifeless
Black Mold
Vultures
Rejection of Life
Goddess
Descent Towards the Dephts
La rabbia On Stage la si sfoga in svariate maniere: i laCasta ci mostrano la maniera giusta.
Dear Folks, it’s Grindcore time!
Con l’arrivo dei Neid sul palco arriva anche, finalmente, il primo set di suoni decente della serata: le chitarre sono al loro posto e pure il basso e la batteria stanno dove devono stare, senza invadere le frequenze degli altri strumenti. La voce di Guru Renato, frontman dei grindsters viterbini, è bella in evidenza nel mix senza sovrastare alcunchè: a quel punto, era anche inevitabile che il fonico non si fosse reso conto della pessima resa sonora che aveva acontraddistinto le due esibizioni precedenti.
I Neid sparano a tutta velocità un set in grado di far capire a tutti i presenti perché loro siano ritenuti, non a torto, tra i massimi esponenti del grindcore italiano.
Oh Renà, smettila di urlarmi così vicino!
Il frontman, così come tutta la band all’unisono, è in grande spolvero e sciorina una dietro l’altra le cartucce di una scaletta praticamente perfetta sia dal punto di vista dell’efficacia live che quello prettamente esecutivo, grazie ad una precisione millimetrica soprattutto a livello ritmico: Fausto Jr Idini, batterista della formazione, insegna a tutti i presenti cosa sia davvero la vecchia scuola dell’hardcore con il suo stile minimale, ma non per questo privo di carica, appunto nel più puro stile punk/hardcore dell’epoca d’oro. Le due chitarre sono affilate come rasoi e la distanza tra i pezzi, tutti piuttosto brevi ed estremamente concisi del più puro stile del grindcore, appare anch’essa estremamente limitata per via delle brevi introduzioni del vocalist.
Urla, gioia e blastbeat: puro spirito Grindcore!
La band onora il modesto palchetto del Garagesound aggredendolo come se si trattasse di uno dei palchi dell’ Obscene Extreme (seconda volta che lo cito, forse dovrei cominciare a preoccuparmi), offrendo un set che pesca da tutta la discografia della band, che non disdegna affatto l’ultimo “Atomoxetine” ma che allo stesso tempo ci presenta uno spaccato fedele di quello che erano e soprattutto sono oggi i Neid, in 11 anni di onoratissima carriera. La band inoltre ci mostra anche uno spaccato di chi ha dato loro ispirazione, introducendo a sorpresa la cover di “Nato per essere Veloce” degli storici Crash Box, ovviamente riproposta…veloce, ma molto più veloce (logicamente) ed estremizzata rispetto all’originale oltre che, in chiusura, la ormai tradizionale cover di “All Cops Are Bastards (A.C.A.B)”, storico e vecchio classico dei 4 Skin.
Una band modestissima, decisamente unita quanto efficace ed anche decisamente simpatica On Stage: il merito ci sta tutto.
Ciao Renato & friends: alla prossima, sarà un vero piacere reincontravi quando succederà!
Setlist Neid:
Intro
La preda
Nei Secoli Fedele
Puro Anacronismo
Painting Death
Il Cuore della Bestia
Noise Treatment
The Failure
Velo di Bugie
Rhabdoviridae
L’egoista
Discesa all’ Inferno
Vultures of Incorporation
Atomoxetine
Nato per essere Veloce (Crash Box Cover)
Cannibale
Carne Bruciata
Fase Replicativa
Il Boia
20 Anni
I Hate Work
A.C.A.B. (4 Skin Cover)
Per intensità e feeling, i Neid tramutano il Garagesound in un fumoso locale hardcore di metà anni ’80…
L’atmosfera si fa trepidante, il caldo dell’ambiente (data la buona dose di gente accorsa all’evento) quasi insopportabile, quindi quale momento migliore per salire sul palco se non proprio quello in cui l’aria si fa maggiormente irrespirabile? Gli Implode approdano sul palco causando una reazione del pubblico forse troppo tiepida, ma ciò è solo dovuto alla stanchezza di quest’ultimo che comincia a farsi sentire.
La prima battuta…e sottolineo la prima, ed è subito furia! Non so davvero quali termini siano più adatti per descrivere l’energia cieca e spietata che anima la formazione Black/Crust di origini tedesche, ma di sicuro credo che le mie foto in oggetto riescano a descrivere ciò a cui ho assistito meglio delle mie parole. Un sound sporco, sibilante, basato su chitarre dall’accordatura fortemente ribassata e da un’impressionante carica percussiva, tipica del Death/Black Metal più furioso e nichilista (il drumming mi ha a più riprese ricordato quello ascoltato sui dischi degli Angelcorpse a tratti, ma in una veste più hardcore). Così come furiosa e nichilista è la performance che questa sera la band ha mostrato sul palco, pescando soprattutto dall’ultimo album “Subjugate“, uscito lo scorso settembre su Century Media Records, ed aprendo proprio con ‘Birth of an Era’, pezzo di apertura mappunto dell’ultimo disco. Dal primo album, “Depopulation” viene estratta la sola ‘Sentenced’ mentre tutto il resto proviene dai numerosi EP/Mini Album rilasciati dalla formazione.
Che il marciume vecchia scuola sia con voi…
La band, come già citato ampiamente, offre una presenza sul palco davvero spettacolare con i diversi componenti che si sbattono come degli ossessi senza per questo perdere in precisione sonora: la formazione, che come sempre ruota attorno al leader bassista/cantante Gabriel “Gabbo” Dubko, si lancia in un tripudio di suoni distorti dal timbro totalmente saturo in grado di far sanguinare le orecchie, un basso che spesso e volentieri viene lasciato sibilare nell’eco del feedback (con il frontman che spesso e volentieri si avvicina all’amplificatore proprio per causare tale effetto) e due chitarristi che sono due veri e propri animali da palco (soprattutto il ‘biondo’). L’interazione con il pubblico è sì presente ma mantenuta volutamente minimale, con giusto qualche “Thank You” a fine pezzo e ben poche volte dove vengono annunciati i titoli dei pezzi che verranno eseguiti, suppongo proprio allo scopo di ottenere un assalto sonoro che fosse il più compatto e massiccio possibile.
Gli Implore mantengono vivo lo spirito dell’assalto sonoro più estremo e malvagio che possa mai esistere su questa dimensione terrena.
Nel finale, uno dei due chitarristi si abbandona ai deliri Harsh Noise, chino di fronte alla sua pedaliera, con il frontman che alle spalle lascia un sibilo finale in grado di annichilire definitivamente i timpani di noi, poveri presenti.Il massacro è finito, la sporcizia sonora ha termine, così poterte finalmente andare a casa a ripulirvi di cotanto amato lerciume sonoro. Sempre che lo vogliate: sappiate che si perde il gusto dei quanto vissuto. Il sound sul palco, rispetto ai Neid, ha solo leggermente perso di definizione, ma è sempre rimato tutto sommato accettabile lungo l’arco dell’intera esibizione.
Nel complesso, un set di Serie A che ci ha mostrato una prestazione Maiuscola (notare la M iniziale) che ha ricordato a tutti cosa è il vero suono estremo del Sottobosco, quel suono che molti angolofonicamente definiscono, appunto, Underground.
L’atmosfera era pesante, massiccia, intensa: e ciò lo si percepiva facilmente. E tanto.
Momenti indimenticabili, per chi tiene davvero a simili concetti e sensazioni: noi sappiamo cosa abbiamo vissuto questa sera.
Setlist Implode:
Birth of an Era
Loathe
Paradox
Disconnected from Ourselves
Sentenced
Disgrace
Two Legged Damnation
Boundary
Thorns Ov Devotion
Gazing Beyond
Patterns to Follow
Una di quelle serate che fan sì che tu voglia sempre render grazie a chi l’underground, quello vero, continua a mantenerlo vivo e vegeto, sia da parte del pubblico che soprattutto degli organizzatori. Il suono On Stage si è rivelato purtrppo altalenante, avendo pesantemente penalizzato la performance sonore dei primi due gruppi, ma tutto sommato il Garagesound, a patto di un certosino missaggio preparato ad hoc prima dell’esibizione vera e propria, si rivela un locale in grado di poter offrire anche un’acustica decente, a dispetto delle dimensioni ridotte in larghezza che l’ambiente offre.
Un saluto a tutti gli amici e conoscenti accorsi all’evento, tutte le band, ai ragazzi dei team Mal The Core e Deep Core Prod. per la splendida occasione offerta, più un saluto speciale ai ragazzi del Breaking Sound e al buon Renato dei Neid con cui ho avuto una lunghissima e piacevolissima chiacchierata spalmata in più occasioni nel corso della serata. A tutti i guerrrieri da social che hanno osato lamentarsi dell’evento, dato il costo davvero esiguo del biglietto (5€), non so che dire, davvero…se non che è stata una serata memorabile, ma memorabile sul serio e che le chiacchiere, come al solito, stanno a zero.
Perché, come sempre, sono i fatti che contano e i fatti qui, stasera, noi li abbiamo visti. Purtroppo, d’altro canto, pare che dovremmo anche vedere, o meglio leggere, le svariate lamentele dei veri pionieri della misantropia da social network, incontrastati paladini della loro sedia su cui, comodamente seduti a mo’ di trono, ci costruiscono attorno il loro regno immaginario e sparano a iosa opinioni di lamentela senza scopo alcuno se non quello di inquinare l’etere digitalizzato della rete, fatto di codici binari e chissa quale altra anomalia digitale.
Ma la realtà è fatta di ben altra pasta, che puoi praticamente toccare con mano con i tuoi stessi sensi.
Tali personaggi non contano nulla, qui la gente che conta davvero è altra.
Come sempre: Forza Ragazzi, che la scena cresce solo grazie a tutti voi, sia pubblico che organizzatori.