Live Report: Bang Your Head!!! 2009 a Balingen (D) (parte I)
Dal 1996, Bang Your Head!!! è sinonimo di Heavy Metal «loud as it can be», come insegnano i profeti di Auburn. Per l’undicesimo anno consecutivo, il festival ha scosso le fondamenta di Balingen, ridente cittadina del Baden-Württemberg a ottanta chilometri da Stoccarda. D’intorno, le meraviglie incontaminate della Schwarzwald (la Foresta Nera), vigilata da un cielo che scotta e annaffia in un batter d’occhio. La minaccia di un acquazzone ciclopico (poi mitigato dai venti della Baviera) non ha scoraggiato l’adunanza di metalheads, giunti da ogni dove, che hanno popolato i dintorni di voci e colori. Un fine settimana gioioso, variopinto, con tutto il corollario di topos che caratterizza ogni open-air made in Deutschland: fiumi di birra squisita, organizzazione meticolosa e la proverbiale affabilità del popolo tedesco, che perde il controllo di sé quando ha tracannato pinte su pinte. Tacendo della musica – per cui vi rimando ai paragrafi successivi – il Bang Your Head!!! vanta una reputazione decennale per logistica e servizi offerti: dalle proposte culinarie (carni grigliate di ogni foggia e dimensione, spuntini etnici e, naturalmente, bevande a prova di cirrosi) ai banchi stipati di merchandising, in testa l’ambita Metalbörse. Non mancano tendoni e ombrelloni per affrontare l’arsura pomeridiana, bagni chimici, un inedito servizio bancomat e un pronto soccorso. Un tour de force metallico a prova di qualsiasi pubblico: dai borchiati irriducibili delle prime file all’insospettabile headbanger in bermuda e cappello di paglia, più allegre famigliole al completo, adolescenti ruspanti, baby rocker in divisa e chi più ne ha, ne metta. Cartoline da Balingen.
Federico Mahmoud
Venerdì 26 giugno 2009
HATSTIK ALESTORM KISSIN’ DYNAMITE ROSS THE BOSS VOIVOD PRIMORDIAL SACRED REICH SODOM LITA FORD U.D.O. JOURNEY |
Ross the Boss
Persi Hatstik, Alestorm (seguiti da lontano: la ciurma di Perth scalda i cuori e le tonsille dei più mattinieri) e Kissin’ Dynamite, la maratona del sottoscritto – ancora impegnato a familiarizzare con la Metalbörse – ha un sussulto a mezzodì: è giunta l’ora di alzare i pugni al cielo e acclamare Ross “the Boss” Friedman, a real american hero. L’imbattibile spadaccino dei Manowar prende a sciabolate gli astanti con una selezione musicale che ripercorre tutta una carriera, da Battle Hymns a New Metal Leader, pubblicato lo scorso anno. Se brani quali We Will Kill e May The Gods Be With You non valgono il repertorio dei Kings (per tacere dei compagni di squadra), d’altra parte solo un pubblico di sofisti rimarrebbe impassibile al rombo di Death Tone. Gloves of Metal e il martello di Thor (The Powerhead) gli highlight del concerto, piacevole nonostante gli evidenti limiti tecnici della formazione. Chiusura in pompa magna con Hail and Kill, tra gli applausi di chi non ha dimenticato il guerriero del Queens.
Voivod
Dopo un rapido cambio di palcoscenico – lo staff del BYH è maestro di soundcheck – è tempo di allacciare le cinture: destinazione Hypercube! Denis “Piggy” D’Amour ha lasciato questo mondo, ma l’incredibile gruppo che risponde al nome di Voivod non ha ancora gettato la spugna. C’è un album da promuovere, Infini, che racchiude come uno scrigno le ultime registrazioni del chitarrista, e un fratello da commemorare. La formazione è quella da recitare a menadito, leggendaria: Denis “Snake” Belanger, Michel “Away” Langevin, Jean-Yves “Blacky” Thériault (che sostituisce il titolare Jason Newsted) e l’ultimo arrivato, Dan Mongrain, già ascia dei connazionali Martyr. Un’ora di show ipnotico, emozionale, per celebrare i fasti del quartetto canadese: da War and Pain (Voivod è un’opener micidiale) all’indecifrabile cubo di Rubik forgiato nel 1989, Nothingface. Il mood schizofrenico di Tribal Convictions è una tappa gradita nei labirinti di Dimension Hatröss, ma Killing Technology fa la parte del leone: Overreaction, Ravenous Medicine e la pirotecnica Tornado valgono ai pionieri del Quebec uno scroscio di applausi. Note di merito per un divertito Snake e Away, impeccabile dietro le pelli
Primordial
In barba a un pomeriggio torrido, Alan A Nemtheanga sfida il termometro pittato di tutto punto – la maschera di cerone colerà, inesorabile, sul petto del temerario. Il bizzarro esemplare immortalato nella fotografia è cantante e leader di Primordial, formazione black/folk originaria di Dublino che, a dispetto di sonorità poco consone ai canoni del Bang Your Head!!!, annovera parecchi seguaci nelle prime file. Cinquanta minuti per onorare la convocazione e solleticare il palato dei neofiti, forti di una proposta musicale intrigante e genuina: il prolungato marciare di Sons of the Morrigan, condito di squisiti fraseggi celticheggianti, ne incarna l’espressione più significativa.
Sacred Reich
Ore 16:00, minuto più, minuto meno: l’orda di thrashers è già schierata ai piedi del palcoscenico. Sacred Reich figura senza dubbio tra le band più attese della giornata, non foss’altro che per la cronica latitanza dei Nostri dal vecchio continente. Un trend invertito già due anni or sono (Wacken Open Air) e negli ultimi mesi, sui binari di un mini-tour itinerante che ha rotto il ghiaccio – corsi e ricorsi storici – al Dynamo di Eindhoven. Wiley Arnett e co. hanno riunito il gruppo dopo un break di sette anni ma, presumibilmente, non cederanno alla tentazione di registrare nuova musica. Niente di nuovo sotto il sole (cocente) di Balingen, dunque, e va bene così: un’ora di best-of show è quanto di meglio si possa chiedere ai G.I. Joe di Phoenix, Arizona. Della dozzina di brani eseguiti, undici sono ripartiti tra Ignorance, Surf Nicaragua e The American Way; solo Independent, dall’omonimo platter datato 1993, fa eccezione. Se Death Squad e Surf Nicaragua (micidiale!) riscuotono ovazioni da stadio, altrettanto meritano Love… Hate, il rifferama granitico di One Nation e Administrative Decisions. Il concerto, impeccabile, è figlio di un quartetto coriaceo e navigato, che riconosce nel batterista Greg Hall (già nel mirino degli Slayer) l’indiscusso punto di forza. Da segnalare una piacevole cover di War Pigs, classico di sabbathiana memoria, peraltro già incisa ai tempi dell’EP Surf Nicaragua.
Sodom
Stufi di ascoltare i Sodom a volumi da oratorio? In Germania, tanto per cambiare, hanno la bacchetta magica. Herr Tom Angelripper e soci marchiano a fuoco la quattordicesima edizione del Bang Your Head!!! con una performance a dir poco strepitosa, candidata al podio della due-giorni metallica. Si punta, non senza una certa sorpresa, su una carrellata di mid-tempo schiacciasassi, da Napalm in the Morning al più recente Axis of Evil, che fa strage di vertebre cervicali. Agent Orange, una feroce Blasphemer e Wanted Dead placano la sete di adrenalina dei più turbolenti, ma è la deriva rockeggiante di Ausgebombt e The Saw Is The Law a fare la differenza. Il prode Bernemann macina riff senza tregua, Bobby Schottkowski è un caterpillar di vecchia scuola e lo Zio Tom, paladino di Balingen, si agita sul palcoscenico come fosse un ragazzino. Tra una battuta e l’altra, fioccano le dediche a Michael Jackson (!) e, soprattutto, al compianto Christian “Witchhunter” Dudeck, scomparso un anno fa. Come da copione, la protratta Bombenhagel suggella un concerto magnifico nella sua tracotanza.
Setlist: Napalm in the Morning / Outbreak of Evil / Axis of Evil / Surfin’ Bird / The Saw Is The Law / Blasphemer / Agent Orange / Wanted Dead / M-16 / Ausgebombt / Remember the Fallen / Bombenhagel
Lita Ford
Cinquant’anni e non sentirli: se l’eterna giovinezza è pura utopia, Lita Ford concede il beneficio del dubbio. La bionda Carmelita è protagonista di uno show adrenalinico, focoso, sculettante, alla faccia di chi esclude il sesso “debole” dai giochi del rock & roll. Un’ora abbondante a cavallo di Lita e Dangerous Curves, senza dimenticare Stiletto (Hungry) e Dancin’ On the Edge (la spumeggiante Gotta Let Go); la voce l’abbandona presto, ma la biondocrinita axewoman sopperisce tatticamente con ardore e movenze feline, tanto basta alla platea per intonare le sue hit. Se Back to the Cave e la sinuosa Falling In And Out of Love incontrano i favori del pubblico, gli inediti Piece (Hell Yeah) e Betrayal, che ospita un Jim Gillette irriconoscibile, non lasciano traccia di sé: Wicked Wonderland è un comeback atteso da quindici anni, ma l’aperitivo non è dei più stuzzicanti. Gran finale con Kiss Me Deadly e l’eterna ballad Close My Eyes Forever, degno epilogo di un concerto non privo di sbavature, ma senz’altro piacevole e frizzante.
Setlist: Larger than Life / Black Widow / Can’t Catch Me / Gotta Let Go / Back to the Cave / Hungry / Falling In And Out of Love / Mr. Crowley (intro) / Piece (Hell Yeah) / Betrayal / Close My Eyes Forever / Kiss Me Deadly
U.D.O.
Se il Bang Your Head!!! ha un presidente onorario, il suo nome è Udo Dirkschneider. L’ex-frontman degli Accept incassa autentici plebisciti a ogni uscita pubblica, tanto che la folla adunata per la sua esibizione è pari, se non superiore, a quella che seguirà le gesta degli headliner. L’appeal futuristico di Metal Heart è il primo tassello di un concerto sensazionale, che si barcamena tra passato, presente e futuro del Colonnello di Wuppertal. Se Midnight Highway (da Breaker) costituisce una gradita sorpresa, non possono mancare all’appello Living For Tonite e la mitologica Princess of the Dawn, accolta da ovazioni fragorose. D’altro canto, il repertorio degli U.D.O. non teme confronti: They Want War, 24/7, Man And Machine parlano la stessa lingua. Heavy Metal. Le raffiche di Animal House, officiata da un grande Igor Gianola, preludono al terzetto di encore, da Holy a Balls to the Wall (intonata alla stregua di un inno nazionale), con balzo finale di tre decenni. Correva l’anno 1980: gli Accept, ancora lontani dal successo planetario, giocavano la carta I’m A Rebel. Un refrain orgoglioso, per non dire sfacciato, che risuona tuttora dalle parti di Balingen. I’m a rebel, rebel, don’t you just know it…
Setlist: Metal Heart / Midnight Highway / They Want War / 24/7 / Vendetta / Princess of the Dawn / Living For Tonite / Man And Machine / Thunderball / Animal House / Holy / Balls to the Wall / I’m A Rebel
Journey
Magia: «capacità di affascinare o ammaliare qualcuno per dolcezza, bellezza, armonia». Perfezione: «stato o condizione di ciò che manca di lacune, errori difetti / eccellenza in doti e qualità». E via dicendo. Quando le parole non bastano, probabilmente c’è lo zampino dei Journey. Difficile cogliere in poche righe l’essenza di un concerto memorabile, fiabesco, etereo… nemmeno la poesia, in uno slancio emotivo, può rendere giustizia allo spettacolo firmato dai cinque. Quando la chitarra prodigiosa di Neal Schon abbraccia l’estro di Jonathan Cain (diviso tra pianoforte, tastiere e armonica), non resta che abbandonarsi alle melodie suadenti di Separate Ways (Worlds Apart). Che il viaggio abbia inizio. Una collana di perle, da Infinity (Lights, un’acclamata Wheel in the Sky) al più recente Revelation, doppio album che ha tenuto a battesimo il talento cristallino di Arnel Pineda. Sì, proprio lui, il tanto bistrattato emulo di Steve Perry è un campione: la sola interpretazione di Faithfully vale il prezzo del biglietto. Chi lamenta il forfait di Send Her My Love od Open Arms si consoli con Only The Young, una brillante Chain Reaction, Stone In Love, per citare alcuni fra i tanti gioielli della serata. Le più giovani Wildest Dream e Never Walk Away, d’altra parte, non sfigurano al cospetto delle hit leggendarie, certificando la bontà del nuovo corso. Ma più che la musica, di comprovata eccellenza, occorre magnificare la perfezione “formale” di uno show che per emotività, produzione e potenza immaginifica non avrà eguali. Neal Schon, Jonathan Cain, Ross Valory, Dean Castronovo, Arnel Pineda: signore e signori, Journey!
Setlist: Separate Ways (Worlds Apart) / Never Walk Away / Stone In Love / Rubicon / Only the Young / Ask The Lonely / Change for the Better / Lights / Edge of the Blade / Wheel in the Sky / Chain Reaction / One More / Wildest Dream / Faithfully / Don’t Stop Believin’ / Be Good To Yourself / Any Way You Want It