Live Report: Batushka + Arkona @Revolver Club, San Donà di Piave (VE)
“PRE-MESSA”
Ed arrivò infine il giorno, quel giorno dove per la prima volta i Batushka, calcarono la terra Italica per la prima volta, era il 14 Gennaio 2017. Così fa troppo telegiornale, cambiamo registro via. Revolver Club, San Donà di Piave, c’è molta attesa per la prima calata del nuovo progetto Batushka, nati dalle ceneri degli oramai incompresi Hermh, portano quella che è la “novità del momento” per ricordare come nel black metal nulla si crea ma tutto è plasmabile e visibile sotto un aspetto sempre distante e differente. Accompagnati dai connazionali Arkona ci si aspetta una serata all’insegna del black più viscerale e ferale possibile, quel Blck metal, che a prescindere dai canoni con cui viene eseguito, porta quella ventata di polonia fatta di gelo e cattiveria. Non è proprio andata così al 100% ma credo sia doveroso andare passo passo e concentrarci in questo momento sul gruppo d’apertura; venite prego, seguitemi.
Forti di un disco quale “Lunaris” che ha piacevolmente colpito molti degli amanti del black Europeo gli Arkona tornano in Italia con alle spalle 24 anni di carriera forgiato negli istinti più primordiali e intransigenti. La band, completamente rinnovata per tre quarti dal 2015 tiene le righe grazie all’unico fondatore Khorzon dietro le pelli; i nuovi innesti sono di discutibile aspetto estetico come presenza sul palco, ma non per questo non offrono il loro impegno e lavoro al risultato finale. Una set-list violenta e con pochi momenti per respirare, tutto è stato volontariamente disegnato al fine di portare quell’essenza old-school di stampo prettamente Scandinavo all’interno della sala, proprio questa venatura innestata in percentuale ancora maggiore dopo l’uscita sul mercato di “Lunaris”, ha lasciato un sorriso agrodolce alla conclusione dell’esibizione. Minuto dopo minuto sul palco ciò che viene a formarsi è quella sensazione amara che alla base della proposta dei nostri vi sia un facile copia e incolla di ogni band classica del passato Nord Europeo, andando a perdere la vena prettamente polacca che solitamente emerge dirompente da band di questo tipo. In preda a qualche incognita chiedo al mio collega di redazione accanto a me per essere sicuro della sensazione venendo sorprendentemente appoggiato, non sono il solo in fin dei conti. Il pubblico è molto partecipe, incita, inizia ad avere qualche idea di pogo, ma guardandosi bene intorno è notabile come la maggior parte sia alquanto impassibile; gli Arkona hanno ottime potenzialità ma non riescono ad andare oltre il criteri che li vede quale band normale, figlia di un’era che oggi va bene solamente per i romantici oltranzisti. Solitamente, la prova del nove con una band la si ottiene in sede live, in studio tutti sappiamo che può uscire qualsiasi cosa, stasera abbiamo avuto la conferma di come spesso il digitale frega parecchio. Tre quarti d’ora più o meno di concerto che a dispetto di tutto ha scaldato gli animi, preparandoci al gran-finale. Sufficienti e non oltre.
Un copione già scritto, bene o male sapevamo tutti come sarebbe andata a finire questa serata: entrata in scena ritualistica e tutti rigorosamente a piedi scalzi, il sacerdote che per ultimo compare sul palco, i coristi sul lato e un reliquario di ossa e candele acceso nella penombra. Il disco, l’unico disco uscito ad oggi rispettato pienamente suonandolo dall’inizio alla fine senza nemmeno una pausa in mezzo, quei cinquanta minuti scarsi che scivolano via come un sospiro nelle catacombe del tempo ammutoliscono ammaliando. Di acqua ne è passata dai tempi degli Hermh, oggi questa proposta ha visto elevare quelli che all’epoca erano dei semplici dettagli della band verso lidi che tendono a consacrare una visione prettamente antireligiosa, attraverso il rituale compiuto sul palco in modalità quasi maniacale. Da band semplice a oggetto di culto che porta tutti i presenti a sbavare dai loro vestiti per comprendere chi e cosa possa eventualmente esserci dentro le vesti. Il Totenkopf sulla tunica, i testi in paleoslavico e la posa succinta sul palco ci ricordano alcune delle caratteristiche che contraddistinguono questo gruppo al di la della musica: una non poco celata vocazione al “romanticismo storico” a tratti patriottico e controtendenza. Comprendendo come la band, originaria di Bialystok (area propensa ad una visione filo ortodossa in ambito religioso), si rapporti ai testi e alle musiche, si riesce a comprendere alla perfezione come il messaggio alla base sia semplicemente quello di ripudiare gli ostacoli mentali e religiosi radicati in quelle aree polacche. Una battaglia a senso unico. Andando oltre possiamo notare come l’aiuto dietro il Mixer di Malta, fonico storico dei Behemoth, abbia avuto un deciso impatto sulla riuscita della serata visto che i suoni lungo tutta l’esibizione potevano essere definibili quali perfetti e senza lacune. L’aspetto che differenzia maggiormente la riuscita del live da ciò che possibile ritrovare su disco è una propensione al decellerare su alcuni aspetti compositivi, l’utilizzo del cantato in parlato pulito, come a rimarcare certe frasi ben specifiche e una dilatazione degli intermezzi atmosferici ci offro una visione leggermente rimaneggiata dell’ ascolto su nastro. Come da copione ovviamente il Batushka esce di scena a fine esibizione dove aver omaggiato i presenti, in silenzio come nel momento dell’ingresso, le luci si accendono e tutto torna come prima, ritrovi gli amici persi in giro durante il concerto e dentro percepisci quella sensazione di smarrimento, come a dover decifrare cosa sia veramente accaduto attraverso un alone di mistero nei visi di molti dei presenti. Ora la domanda che ci siamo posti, noi della redazione post concerto è molto semplice: perfetta l’esibizione, perfetto il concept artistico e visivo alla base, ma una volta finita l’ondata di questo primo album, come potrebbe proseguire l’effetto live dei nostri? Diventeranno la copia degli oramai inutili Ghost, cadendo in un calderone di cattivo gusto oppure sapranno rinnovarsi? Attendiamo fiduciosi, ma dalla mente di Bart, oggi il Bathuska, qualche lampadina si accenderà e noi saremo lì a accogliere la sua creatività.
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“POST-MESSA”
Corsa al Merchandising come da tradizione, birra di consolazione e il locale si svuota mano a mano, a conti fatti la serata è stata confermata al 90% su quelle che erano le aspettative della vigilia; il 10% mancante è dovuto alla staticità compositiva di fondo che attanaglia gli Arkona, ma sono elementi su cui possiamo discretamente soprassedere. Per 20€ questa serata è un’ottima serata, anzi forse qualcosa di più e il pubblico ha risposto discretamente bene, andando a riempire il locale quasi nella sua interezza; ottimi i livelli dei suoni, il palco alto ha permesso a tutti di vedere da qualsiasi angolazione per cui non rimane altro che salutarci con la consapevolezza di avere trascorso una bella nottata e avere finalmente svelato il mistero sui famelici Bathuska. Un pensiero in conclusione ci conferma come girando in lungo e largo per l’Italia nelle sedi concertistiche le facce dentro il locale alla fine sono sempre quelle; qualcuno ha la passione dentro, qualcuno impegni come normale, qualcun’altro…