Live Report: Belluno Metal Fest – 15 giugno 2024

Di Valentina Rappazzo - 19 Giugno 2024 - 14:09
Live Report: Belluno Metal Fest – 15 giugno 2024

Che cos’è l’underground?

Cosa rende un festival appetibile, oltre ai gruppi che ci suonano?

Oggi, per voi, sono stata a prendere un po’ di fresco (e di pioggia a fine serata) sulle dolomiti bellunesi. Ma non per corroborarmi della fresca e sana aria di montagna, ma bensì per entrare nel vivo di una manifestazione che da qualche anno si sta facendo sentire e scoprire sempre di più, la cui caratteristica più importante è quella di essere organizzata direttamente dalle band: Il Belluno Metal Fest, arrivato alla sua terza edizione.

Molti di voi si chiederanno che cosa c’è di tanto diverso rispetto a qualunque altro evento, ma cari lettori, questa volta la differenza sta nella prospettiva.

Perché quello che voglio offrirvi oggi è uno spaccato di punti di vista, una piccola, timida ricerca che vuole portarci a capire: ma chi ci va a questi festival?

In fondo ognuno di noi, almeno una volta durante un concerto, ha avuto uno scambio di opinioni con qualcuno che non conosceva: nel pit, in fila per una birra o in un momento di relax sul prato.

E questa volta io, per voi, mi sono permessa di raccogliere un po’ di queste opinioni, di punti vista, dalla gente che ho incontrato tra una band e l’altra.

Vorrei iniziare da coloro che sono quasi sempre tra i primi ad arrivare, e che (sfortunatamente per loro) spesso sono gli ultimi ad andare via.

In questo Belluno Metal Fest le prime vittime delle mie domande, sono stati proprio loro: onnipresenti, silenziosi, spesso sottovalutati e ancora più spesso bistrattati… i FONICI.

Lo sappiamo tutti: quando ad un concerto il suono non è di nostro gradimento diventiamo tutti tecnici. “Il fonico era un incapace” è la frase che spesso sento e mi chiedo quanti di noi sarebbero in grado di fare, anche solo decentemente, questo lavoro.

I due fonici presenti al festival mi hanno parlato un po’ del loro lavoro, di come ci si trova a stare dietro la tastiera (oggi si fa tutto con i tablet, che stregoneria moderna) e di quanto ogni band sia diversa nelle richieste, nei suoni, a volte anche nelle pretese.

Il loro è un lavoro fondamentale e mi hanno confessato che gestire i suoni di un festival, anche piccolo, non è cosa da niente.

E, sorpresa delle sorprese … anche che preferiscono che gli si dica non solo se il suono va bene ma anche se è orrendo. Fanno così tanto per noi, ogni tanto facciamogli un complimento!

Prima della prossima persona di cui vorrei raccontare il punto di vista, vi parlerò un po’ dell’esibizione della prima band, i Corte de Grasa.

Fanno un trash spedito vecchia scuola, e mi sono sentita come se i Mayhem e gli Slayer avessero fatto un figlio, e questo figlio sia cresciuto fino a diventare un adolescente che vuole solo fare casino e ti sbatte la porta di camera sua in faccia. I Corte de Grasa non hanno vocals, ma solo chitarra e batteria.

Questa è la loro trackilist … lascio a voi il giudizio

253

345

258

150

231

253

311

244

435

Ed i Corte de Grasa sono

Giulio Fabbro – batteria

Alan Zanetto – chitarra

E la prima mezz’ora di festival è passata così, ormai convinti di aver scampato il pericolo pioggia, ma ci sbagliavamo.

Aspettando mi sono cominciata a guardare intorno: hanno colto la mia attenzione, il banchetto del merch (che si sa è una delle mie tappe fisse) e una signora gioviale, dal viso rilassato, che osservava attentissima le cose che si stavano svolgendo intorno a lei.

Tra tante maglie nere dai loghi truci, la sua camicetta azzurra e la quasi certezza che avrebbe potuto offrirmi una caramella (le nonnine hanno sempre una caramella in borsa!) mi hanno portato da lei per chiederle se aveva voglia di scambiare due chiacchiere con me. Le ho chiesto cosa ci faceva lì, se le piace il genere. E me lo ha detto forte e chiaro, a lei, quel rumore, non piace per nulla.

Anzi, mi ha chiesto cosa ci trovo io di bello. La signora era lì per sostenere suo figlio, che avrebbe suonato di lì a poco. Mi si è aperto un piccolo spiraglio di fiducia nell’umanità: non importa quanto tu possa fare brutal, quanto sia pesante o cattivo il tuo gruppo, la mamma è sempre la mamma!

E il mio accorato appello va a tutti i genitori: sostenete i vostri figli nel coltivare il dono e l’arte della musica! Andate a vederli ai concerti, urlate, fate il tifo per loro. Un applauso della mamma sarà sempre superiore alle folle adoranti, anche se a lei, quello che fai, proprio non piace.

Prossimi a salire sul palco gli In Torment I Die. I nostri ragazzoni bellunesi non deludono mai con il loro melodic death metal dal sapore swedish e con la batteria che scotta ancora dall’esibizione precedente e i loro pezzi sono filati liscissimi. Nonostante abbia avuto il piacere di vederli live già diverse volte, la vecchia scuola sa sempre di casa, di qualcosa di sicuro, rasserenate e casalingo.

La scaletta è concisa, ma merita una menzione speciale.

Visto il tempo incerto, hanno preferito suonare un pezzo in meno rispetto alla scaletta già breve per lasciare spazio anche agli altri e nonostante me l’abbiano raccontato con il sorriso sulle labbra ho deciso di parlarvene per aprire un nuovo, piccolo capitolo: la collaborazione e lo spirito di adattamento tra band.

Soprattutto nell’ambiente underground, lo spirito di collaborazione e di amicizia è quello che fa andare avanti le scene locali. Lo sappiamo tutti, se una band riceve un aggancio, spesso e volentieri chiamerà a unirsi a lei per lo stesso concerto band con cui ha già suonato. È la logica dei piccoli festival. E qui signori, al Belluno Metal Fest, di amicizia ne ho vista tanta.

La loro setlist è stata la seguente:

Buried

Awakenings

All Shall Fall

Innermost Slaughter

Desolation of the Higher

Universae

Warring Equilibrium

e gli In Torment I Die sono:

Luca (voce e chitarra)

Gabriele “Nabo “(Basso)

Francesco “Pich” (chitarra)

Giulio Fabbro – batteria

Per la rubrica “Nuovi punti di Vista” sull’underground è toccato proprio all’organizzatore di questo evento, Nabo, raccontare come è andata, parlando delle tante peripezie che si possono incontrare e che si devono affrontare giornalmente nei mesi precedenti ad un evento del genere.

Nonostante le difficoltà di contattare, organizzare e mettere d’accordo tante band dagli stili così diversi, Nabo si è detto soddisfatto dell’esperienza di aver tirato le fila di questa edizione.

Nonostante qualche defezione dell’ultimo secondo e la relativa ansia da “rimettere le cose in ordine” secondo lui l’asticella si è decisamente alzata rispetto alle edizioni precedenti.

Peccato però per il tempo, che ha spaventato sicuramente e giocato un brutto scherzo all’affluenza, e che è stato clemente quasi fino alla fine.

Nota di merito anche alla Fabbrica della Birra Belluno che ha ospitato l’evento e che ha sfamato (ma sopratutto dissetato) i presenti con una super organizzazione.

Spiedi di carne, panini con ingredienti localissimi e via che la festa l’abbiamo fatta anche a tavola!

Però da loro aspetto ancora un dato importantissimo, che mentre scrivo questo articolo non è ancora stato rivelato. Non sappiamo ancora quanti litri di birra siano stati bevuti durante il festival, dato FO-N-DA-ME-N-TA-LE per sapere se è stata superata la quota dell’edizione precedente, dove ne sono stati bevuti 400 litri.

Non male per un festival locale no?

Terza band a salire sul palco sono stati i No Hiding Place, gruppo di 4 componenti da Bassano.

 

Questi giovanissimi ragazzi si sono dimostrati una delle scoperte della serata. Nonostante il loro look fresco e direttamente out dagli anni novanta (Non me ne vorranno, ma mentre salivano sul palco la sigla di Dawson’s Creek andava a ruota nella mia testa) mi hanno stupita con il loro progressive Rock con punte di Death Metal. Sicuramente una band da tenere d’occhio!

Qui il loro ultimo video

Questa è la loro setlist:

Garden Of a Dream

Phobia

Beneath the Appearance

Nihilism

Elucubration

Lust for Penance

I No Hiding Place sono:

Davide Peserico –  batteria

Francesco Vianello – chitarra e voce

Gianluca Gallio – basso

Giosuè Zanocco – chitarra

Intanto che i padovani Alzhagoth si preparavano a salire sul palco, la mia personale piccola inchiesta tra il pubblico è proseguita.

Secondo voi, quanto influisce la presenza della possibilità di campeggiare ad un festival?

Sabrina ci ha raccontato quando per lei sia fondamentale un camping per un festival come questo, che dura tutta una giornata. In eventi molto più grandi e ben noti è un’opzione ormai consolidata, ma nelle piccole realtà locali invece spesso non è presente.

Secondo Sabrina, e altri presenti che si sono uniti alla conversazione, la possibilità di fermarsi ad un festival in campeggio è la migliore delle soluzioni, sia per praticità che per spirito di gruppo. Tra le tende infatti, lo spirito del festival riecheggia ancora molte ore dopo la fine, anzi anche nei giorni a seguire.

Per lei è anche una questione di sicurezza. L’idea di non dover guidare, spesso per qualche ora dopo aver passato una giornata a godersi del sano e buon metallo è sempre una spinta in più a preferire un evento piuttosto che un altro.

E più avanti vi racconterò perché il suo punto di vista è stato uno dei più importanti della serata.

Ora parliamo della performance degli Alzhagoth, accompagnati nella loro esibizione  da tre sacerdotesse che, inneggiando alla band e al dio Alzagoth ci hanno chiesto di sollevare i bicchieri.

Il loro è un death metal sinfonico, condito da atmosfere pagane e primordiali, ricco di arpeggi e armonizzazioni che si riversa sul pubblico come fiume in piena fino al tramonto.

Ottima la prestazione live, seppur condita da qualche problemino tecnico con l’audio (che dicevamo prima dei fonici???).

Questa è la loro setlist:

Sermon of the blind

Herald of Chaos

Sacrifice

Grievous diorama

Usque ad Finem

Resurrection of the fallen

Blood Red Dawn

Ultramonster

Ancient Blood

Gli Alzhagoth sono:

Matteo – voce

Nicolò – chitarra

Raffaele – tastiera

Michele – chitarra

Antonio – batteria

Marco – basso

E filiamo lisci lisci alle ultime due band della serata, tra un cambio palco, una birretta, una chiacchiera e l’onnipresente banchetto del merch.

Si sa che i cambi palco sono i momenti migliori (e anche i più incasinati) per recarsi al merch. Nonostante questa volta non si possa dire che non ci fossero magliette da donna, la cosa che ha catturato il mio occhio è il prezzo “normale” del merch.

Il termine virgolettato non è messo lì a caso, ma per portarvi, cari lettori, nell’ultima digressione della serata.

Quanto dovrebbe costare una maglietta al merch? I miei occhi in questo anno hanno visto prezzi INDICIBILI, parliamo di una normalissima maglia a maniche corte a CINQUANTA EURO.

Non è questo il caso, sia ben chiaro, e la domanda si pone spontanea: ma perché una maglia dovrebbe costare così tanto?

Nella logica dei grandi numeri, gruppi ben più grandi hanno produzioni di magliette molto più abbondanti, e con più potere di acquisto il prezzo dovrebbe abbassarsi.

Dico dovrebbe, perché da quello che ho potuto vedere più grosso è il gruppo, più il merch costa.

Ho personalmente toccato cotoni, tipo di stampe, visto le tenute e le consistenze delle tramature delle felpe, e in molti casi sono identiche (se non migliori) di quelle vendute dai grandi gruppi.

E allora dove sta l’inghippo? L’ho chiesto direttamente a chi le maglie le fa stampare, le indossa prima degli altri e le sistema con dovizia prima di iniziare a suonare.

E tutti mi hanno portato alla stessa considerazione: spesso i gruppi, specialmente nell’ambiente underground, scelgono di ridurre il loro guadagno su una maglietta per poter avere un prezzo abbordabile per l’utente finale.

Si punta quindi su un guadagno minore per la gioia di far conoscere il proprio gruppo? Anche.

Non mi nasconderò dietro finti buonismi, è ovvio che l’underground locale non potrebbe reggere prezzi superiori.

Certo se facessero più magliette da donna… ok la smetto.

Un colpo di cassa dal suono particolare mi ha riportata all’ordine, riconoscendo il suono ma non il timbro della nota. Ad un punto non ben definito della serata la pelle della cassa si è danneggiata, mostrando un bel taglio proprio al centro. Il bello della diretta!

E’ il momento del penultimo gruppo della serata, vi sto per parlare degli Shiver Down.

Il loro è un mix vecchia scuola, un death metal molto acuminato, con una spolveratina di Doom.

Federico della Benetta, frontman della band, vince a mani bassi il titolo di miglior voce della serata. Non me vogliano gli altri, ma Federico spodesta tutti con la sua voce, lo scream tagliente ed il timbro oscuro.

Quest è la loro setlist:

Divine

Nether Reality

Dead Silence

Father

Tourniquet

Slumber

In your Absence

Gli Shiver Down sono:

Federico Dalla Benetta – Voce

Tomas Valentini – Basso & Voce

Francesco Gambarini – Chitarra

Al Pia – Chitarra

Gabriele Cardilli – batteria

Manca poco alla fine di questo Live Report e vi lascio con un ultimo pensiero.

Quello che ho visto non è stato un semplice festival, un evento a cui vai, mostri il biglietto, ti godi la serata e torni a casa felice (si spera). Quello che ho vissuto oggi è stata un’esperienza.

La musica, quello che ascoltiamo tutti i giorni, quello che viviamo ai concerti, è fatta sì dagli artisti, da quelli che salgono su un palco e ci regalano qualche ora di emozione.

Ma tutti i tasselli che la compongono non possono essere lasciati da parte. I fonici, chi ti spina una birra, la ragazza che hai conosciuto in campeggio, la mattina passata a montare, gli infiniti sound check, i “non mi sento” urlati da un palco, sono tutte componenti che ci portano ad apprezzare la miglior ricetta del mondo.

Gli ultimi a salire fieri sul palco sono stati i Membrance.

Non so se siano state le sacerdotesse, la giornata, la stanchezza, ma sono corsa sotto il palco come se fossero state ancora le 5 del pomeriggio.

Accidenti, Il metal scorre potente dal microfono di Davide Lazzarini, cassa divelta o meno.

Ma è qui che il cielo ha tradito. Una pioggia fredda, infida, vigliacca ha cominciato a venire giù, inzuppandoci per bene. Noi, le pedaliere, il gazebo!

I Membrance ci hanno raccontato della loro Venezia in chiave orrifica, non si sono fatti spaventare dal tempo, continuando imperterrita la loro fitta scaletta, con il loro death metal non banale, che anzi definirei territoriale. I nostri infatti, hanno persino alcuni testi in dialetto veneto.

Non sono certo un mistero le band che devono averli influenzati, sento profumo di Cannibal Corpse e Sepultura, ma con una sferzata di freschezza. E si salta, si scapoccia e salta la corrente, maledetta pioggia!

Questa è la loro setlist:

Zombie Massacre

Endless Torture

Spettro Malcontenta

Spirar nel Caigo

Marubio

Escape From Hell

Acid Satanism

1348

Riva de Biasio

Open Sewer

Poveglia

Tarantula

I Membrance sono:

– Davide Lazzarini – Voce & Basso

– Giovanni de Fraja – Batteria

– Giacomo Rusconi – Chitarra

– Mattia Guzzonato – Chitarra

Purtroppo per i Membrance (ma soprattutto per noi) la serata si è conclusa così, almeno per la parte musicale.

Perché la famiglia che sì è creata in questa sera non era affatto stanca e, nonostante la pioggia e il fango, tutto è continuato ancora per qualche ora ancora.

Per qualcuno, sottoscritta compresa, anche il giorno dopo. E vi riporto all’opinione di Sabrina sul campeggio:  i campeggiatori della serata si sono ritrovati la mattina dopo, proprio grazie all’aver avuto la possibilità di campeggiare, per continuare assieme la festa.

Scambiare opinioni con le persone introno a me, musicisti compresi, mi ha dato la spunto per vivere i festival in maniera diversa.  Spero che questo piccolo (ma dove??) Live report vi abbia fatto venire voglia di andare a quel festival su cui eravate dubbiosi.

E se ci sono altri aspetti che si dovrebbero affrontare su un festival underground, beh fatecelo sapere.

Al prossimo pit.